Nuovi ogm, in Italia è stato raccolto il primo riso “TEA”, tra innovazione agricola e dibattito etico
Si è conclusa la prima sperimentazione italiana in campo aperto di riso ottenuto con editing genetico (TEA/NGT). Le tecniche promettono colture più sostenibili, ma restano controverse.
In provincia di Pavia e Novara è stato raccolto, nei giorni scorsi, il primo riso italiano sviluppato con tecniche di evoluzione assistita (TEA), note anche a livello europeo come NGT (New Genomic Techniques). Il progetto è condotto dall’Università Statale di Milano e rappresenta una prima assoluta nel panorama pubblico italiano, avendo ottenuto l’autorizzazione dal Ministero dell’Ambiente e da ISPRA.
Le TEA, chiamate anche comunemente “nuovi ogm”, sono un insieme di nuove tecnologie genomiche. A differenza degli ogm “classici”, che introducono geni estranei nel DNA dell’organismo, queste tecniche modificano specifici tratti genetici già presenti all’interno del genoma della pianta. Questo consente, ad esempio, di replicare in tempi rapidi mutazioni che potrebbero verificarsi spontaneamente in natura, ma con maggiore precisione e controllo.
Nel caso del riso sperimentale, l’intervento ha mirato a rendere la pianta più resistente al brusone, una malattia fungina particolarmente dannosa. La sperimentazione è avvenuta in tre campi “anonimizzati” per evitare sabotaggi — un rischio concreto, considerando che in passato simili progetti in Veneto e Lombardia sono stati compromessi da gruppi contrari alla manipolazione genetica delle piante.
È la prima volta che una filiera pubblica italiana conclude una fase di sperimentazione sul campo con piante geneticamente editate. Il passo successivo sarà l’analisi genetica dei semi raccolti e la pianificazione di nuovi cicli di semina. Il progetto RIS8imo, finanziato anche dalla Fondazione Bussolera Branca e sostenuto dall’Ente Nazionale Risi, rientra in una più ampia rete di otto sperimentazioni TEA/NGT attualmente attive in Italia, riguardanti anche pomodoro, vite e melo.
L’innovazione scientifica, però, va di pari passo con un dibattito molto acceso sulla sicurezza alimentare, all’impatto ambientale e alle implicazioni etiche. . Le TEA vengono presentate dai sostenitori come una risposta alle sfide della crisi climatica: colture più resistenti, minor uso di pesticidi, maggiore efficienza produttiva. Ma non mancano perplessità e critiche.
Sul piano ambientale, ci si interroga sugli effetti a lungo termine di queste tecniche, anche se non introducono geni “estranei”. Cosa accade se le piante editate si incrociano con varietà tradizionali o selvatiche? Quale sarà il loro impatto sulla biodiversità, sui suoli, sugli ecosistemi?
Nel maggio scorso la Rete semi rurali aveva lanciato un appello per fermare i nuovi ogm, che a detta dei promotori renderebbero sempre più fragili i territori e aumenterebbero la dipendenza dei coltivatori e dei consumatori dalle multinazionali agroindustriali interessate a smantellare gli obblighi di tracciabilità, etichettatura e valutazione dei rischi oggi in vigore per questi prodotti.
A livello normativo, la questione è altrettanto delicata. In Italia, gli OGM sono vietati in campo aperto, e le NGT sono in attesa di una nuova regolamentazione europea che distingua tra le diverse tecniche e ne stabilisca limiti e controlli. La recente proposta della Commissione UE di ammettere alcune NGT anche in agricoltura convenzionale ha acceso ulteriori controversie, tra chi teme un allentamento delle tutele e chi auspica uno slancio verso un’agricoltura più innovativa.
Il caso del riso TEA non è solo una questione di biotecnologia. È una sfida collettiva che riguarda la relazione tra scienza, società e ambiente. Per affrontarla servono dati trasparenti, monitoraggi indipendenti, regole chiare, ma soprattutto un dibattito aperto, inclusivo e informato. Solo così sarà possibile capire se le TEA/NGT possono essere strumenti al servizio di un’agricoltura realmente più giusta, sostenibile e resiliente.







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