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7:00 20 Settembre 2025 | Tempo lettura: 5 minuti

Oggi è il World cleanup day, ma ripulire non basta: urgono sistemi di deposito cauzionale

In occasione della giornata mondiale della raccolta dei rifiuti, l’indagine annuale della campagna “A Buon Rendere” rilancia la necessità di un sistema di deposito cauzionale.

Autore: Redazione
world cleanup day a buon rendere

Oggi, 20 settembre, è il World Cleanup Day, la giornata internazionale dedicata alla pulizia del pianeta dai rifiuti abbandonati, in cui milioni di persone in oltre 200 Paesi partecipano ad azioni collettive di raccolta dei rifiuti in strade, parchi, spiagge e corsi d’acqua. In questa occasione la campagna “A Buon Rendere” ha diffuso i risultati di un’indagine durata un anno nel territorio milanese.

Oltre 21.000 contenitori per bevande sono stati raccolti e analizzati da Helena Boers, cittadina volontaria di origine olandese che vive in Lombardia e che da anni si dedica a iniziative di sensibilizzazione ambientale. La sua azione ha permesso non solo di sottrarre questi rifiuti a inceneritori e discariche, ma anche di quantificare in 3,02 tonnellate di CO₂ le emissioni evitate.

Tuttavia, come mostra la campagna A Buon Rendere, ripulire è uno sforzo vano se contemporaneamente non si interviene sulle cause che portano i rifiuti nelle nostre città, spiagge, cosi d’acqua. L’indagine si è concentrata sul cosiddetto littering, termine che indica i rifiuti abbandonati in spazi pubblici come strade, parchi, fossi e spiagge. Si tratta di uno dei principali problemi ambientali legati al consumo quotidiano: bottiglie, lattine e contenitori che sfuggono al sistema di raccolta differenziata e si accumulano nell’ambiente, con effetti negativi sul paesaggio, la biodiversità e i costi pubblici di pulizia.

L’indagine condotta da Boers nei comuni di Grezzago, Trezzo sull’Adda e Pozzo d’Adda ha identificato 11.686 contenitori riconoscibili per marca, scoprendo che solo 10 marchi rappresentano il 67% del totale. Tra questi spiccano Moretti, Red Bull, Coca-Cola e San Benedetto. A livello industriale, la responsabilità si concentra in pochi gruppi: Heineken, Coca-Cola Company, AB InBev e San Benedetto in testa.

I contenitori più frequenti sono in plastica (42,2%), seguiti da alluminio e vetro. Il settore della birra rappresenta il 35% dei rifiuti, superando le acque minerali (31%) e le bibite analcoliche (26%). Una situazione che rivela un’anomalia tutta italiana: la quasi totale assenza del sistema del vuoto a rendere, ancora marginale sugli scaffali rispetto ad altri paesi europei.

Per affrontare questo problema, “A Buon Rendere” propone l’adozione in Italia di un Sistema di Deposito Cauzionale (DRS – Deposit Return Scheme), già attivo in 17 Paesi UE. Il DRS è un meccanismo che aggiunge un piccolo deposito – ad esempio 10 o 20 centesimi – al prezzo di vendita delle bevande confezionate. Questo importo viene interamente restituito al consumatore quando riporta il contenitore vuoto in appositi punti di raccolta. Si tratta di un sistema collaudato che consente tassi di restituzione superiori al 90%, fino al 98% in Germania.

A differenza del modello attuale, che affida la responsabilità al cittadino e ripartisce i costi tra tutti attraverso le bollette dei rifiuti, il DRS trasferisce i costi della gestione post-consumo ai produttori, secondo il principio “chi inquina paga”. Questo riduce i rifiuti abbandonati, migliora la qualità del materiale riciclato, sgrava i Comuni e valorizza risorse altrimenti perdute.

La dipendenza italiana dall’importazione di materie prime è un altro nodo cruciale. Secondo i dati europei, l’Italia importa materie prime al doppio della media UE (48%) e ogni anno perde oltre 8 miliardi di contenitori che non vengono recuperati. Una parte di questi finisce incenerita, un’altra dispersa nell’ambiente. Il mancato riciclo ha anche un costo diretto per lo Stato: oltre 100 milioni di euro l’anno versati all’UE in Plastic Tax per le bottiglie in plastica che non vengono riciclate.

A fronte di questi dati, il messaggio di “A Buon Rendere” è chiaro: ripulire non basta. Le azioni volontarie e il senso civico, come quelli dei volontari che partecipano a “Puliamo il Mondo” di Legambiente in questi giorni, sono fondamentali, ma non risolvono il problema alla radice. Serve un’azione sistemica.

Alcune aziende iniziano a muoversi. Acqua Sant’Anna ha aderito alla campagna sostenendo da tempo l’introduzione del DRS, in linea con le posizioni delle associazioni europee UNESDA (bibite analcoliche) e NMWE (acque minerali). “Non c’è più tempo da perdere – afferma Alberto Bertone, presidente dell’azienda –. Per raggiungere gli obiettivi ambientali serve un approccio sistemico che coinvolga governo, imprese e cittadini”.

Anche Enzo Favoino, coordinatore scientifico della campagna, sottolinea l’urgenza: “Siamo già in ritardo rispetto a molti paesi europei. Portogallo, Spagna e Regno Unito introdurranno il DRS entro il 2027. Con la partenza della Polonia il 1° ottobre, i Paesi europei che hanno adottato il sistema saliranno a 18”.

Attendere fino al 2029, come ipotizzato in Italia, significherebbe continuare a pagare i costi dell’inazione, aggravando l’inquinamento ambientale e i bilanci pubblici. Come spesso accade, a farne le spese sono i cittadini più responsabili, che si trovano a pagare per gli errori altrui, mentre una riforma equa potrebbe liberare risorse e costruire una filiera del riciclo più efficiente e sostenibile.

L’indagine di Boers non si limita a denunciare, ma offre una direzione. Sulla base di dati concreti, invita a cambiare paradigma: dal consumo usa e getta a un modello in cui ogni contenitore abbia un valore, e ogni gesto conti davvero.

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