18 Luglio 2025 | Tempo lettura: 6 minuti

I pesci provano dolore e sofferenza molto a lungo prima di morire

Grazie a un recente studio si è scoperto che i pesci soffrono e provano dolore come gli altri animali. Sono state individuate delle tecniche per ridurre le sofferenze prima di morire.

Autore: Salvina Elisa Cutuli
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Un pesce vive almeno 24 minuti di agonia per ogni kg di peso prima di morire per asfissia. È uno dei risultati emersi dallo studio del Welfare Footprint Institute pubblicato su Scientific Reports. I pesci sono per noi quasi alieni, vivono in un mondo molto distante dal nostro e questo ci ha portato a sviluppare delle credenze spesso false sulla loro natura

“Muto come un pesce” è, ad esempio, l’espressione utilizzata solitamente per indicare personalità silenziose che ha origine in un’idea popolare diffusa nel tempo e oggi finalmente superata grazie alla scienza. I pesci non solo emettono suoni, ma comunicano tra di loro in maniera piuttosto elaborata: è l’orecchio umano a non essere in grado di captare rumori in ambienti diversi, come nel caso dell’acqua. 

Questi animali sanno trasmettere informazioni apprese dalle generazioni passate e hanno una sofisticata memoria spaziale. Inoltre, come gli altri vertebrati, provano dolore e sofferenza in condizioni prolungate di stress. La scienza ha dimostrato che soffrono come gli umani, ma la nostra incapacità di comprenderne il linguaggio ci rende – assieme ad altri elementi come l’assenza di mimica facciale, che nella nostra specie inconsciamente associamo alla presenza di emozioni – più indifferenti nei loro confronti rispetto ad altre specie.  

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Alcune persone che scelgono una dieta priva di carne, anche per motivi etici, continuano a mangiare il pesce, al punto che questa dieta ha persino un nome: pescetarianesimo. Secondo un sondaggio IPSOS Mori condotto nel 2018 a livello globale, circa il 3% delle persone si definiscono pescetariane. Un dato equivalente a quello delle persone vegane e non troppo inferiore a quello delle vegetariane (5%).

Per entrare più in empatia con le specie ittiche ci viene in aiuto lo studio del Welfare Footprint Institute pubblicato su Scientific Reports che rivela come i pesci provano un dolore intenso e prolungato quando muoiono per asfissia, una delle pratiche più utilizzate dalla pesca commerciale. Il loro mondo sommerso ci sembra così distante dal nostro che pensiamo di poterli trattare nei modi più atroci senza provare disagio.

Per fortuna, qualcosa si muove. Parliamo comunque – è necessario ricordarlo – di un’industria che ha come fine ultimo quello di uccidere i pesci a fini alimentari, ed è aperto il dibattito su quanto possa esistere una pesca etica o se l’alternativa migliore non sia semplicemente smettere di pescare. Nel frattempo, i ricercatori dello studio, attraverso un metodo scientifico innovativo, il Welfare Footprint Framework, hanno individuato tecniche più efficaci per ridurre questa sofferenza senza rinunciare al consumo ittico.

I dati dello studio 

Utilizzando la trota iridea come caso studio, i ricercatori hanno dimostrato che un pesce vive almeno 24 minuti di agonia per ogni kg di peso: più il pesce è grande, maggiore sarà la sofferenza prima di morire per asfissia. La trota, nel caso specifico, sopporta in media 10 minuti di dolore profondo con variazioni che oscillano tra 2 e 22 minuti a seconda della dimensione del pesce e della temperatura dell’acqua.

I minuti di sofferenza possono essere suddivisi in quattro fasi, dallo stato di allarme iniziale alla depressione dell’attività cerebrale che anticipa l’incoscienza. In questo intervallo il pesce ansima, perde il controllo motorio e vive delle alterazioni dovute alla carenza di ossigeno e all’accumulo di anidride carbonica. Non è solo la maniera in cui vengono uccisi a provocare dolore, anche le fasi precedenti che comprendono il trasporto, l’affollamento e la manipolazione, generano sofferenze addirittura maggiori dell’uccisione stessa. 

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La preoccupazione dell’impatto delle pratiche di produzione rispetto al benessere degli animali per fortuna è in aumento, lo dimostrano i movimenti dei consumatori, le etichettatura, le nuove politiche. Anche la necessità di considerare il benessere degli animali nelle valutazioni di sostenibilità è sempre più riconosciuta. Ma ancora non basta. 

Come sottolineano gli scienziati della ricerca, «l’allocazione efficace di risorse limitate per migliorare il benessere animale dipende dalla capacità di confrontare l’impatto di diverse politiche e pratiche con una metrica comune, quindi potrebbe essere possibile dare priorità ai miglioramenti più convenienti. Ad esempio, i produttori che confrontano potenziali miglioramenti delle pratiche, i sostenitori che selezionano le priorità delle campagne e i responsabili politici che elaborano i regolamenti necessitano tutti di misure quantitative per determinare quali interventi producano i maggiori benefici per il benessere in relazione ai loro costi».

Detto in parole più semplici, le politiche e gli incentivi legati al benessere animale dovrebbero essere basate sulla misurazione scientifica di ciò che fa star bene o fa soffrire gli animali.

Non è solo la maniera in cui vengono uccisi i pesci a provocare dolore, anche le fasi precedenti che comprendono il trasporto, l’affollamento e la manipolazione, generano sofferenze

Una sofferenza moltiplicata per migliaia di pesci ogni giorno

Se moltiplichiamo 24 minuti di sofferenza per i 70.000 pesci selvatici che ogni secondo muoiono nel mondo forse riusciamo a comprendere meglio l’entità di questo dolore. Ogni anno 2,2 trilioni di pesci selvatici e 171 miliardi di pesci d’allevamento vengono uccisi. Nel Mediterraneo e nel Mar Nero il 65% del pesce viene pescato in maniera non sostenibile, mentre dove esistono regolamentazioni più efficaci i risultati sono incoraggianti.

Questo vuol dire che durante la cattura i pesci vengono ammassati all’interno di reti dove possono morire schiacciati dal peso di altri pesci o subire gravi lesioni fisiche. L’agonia prosegue durante lo sbarco quando operazioni come la rimozione dell’amo o dei pesci impigliati tra le maglie delle reti provocano ulteriori lesioni e stress ad animali ancora coscienti. Le sofferenze proseguono fino all’uccisione che di solito avviene per asfissia, immersione in acqua e ghiaccio, dissanguamento e decapitazione. Sorte che viene riservata anche ai pesci allevati. 

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La sofferenza dei pesci si può evitare

Anche pratiche discusse come la pesca possono essere rese meno dolorose, evitando sofferenze inutili per i pesci. Lo studio propone soluzioni concrete come lo stordimento elettrico che, se implementato correttamente, potrebbe evitare da 60 a 1.200 minuti di dolore. Anche lo stordimento percussivo, ovvero un colpo alla testa, rappresenta un’altra alternativa significativa anche se difficile da applicare su larga scala. Ogni pesce ha dimensioni diverse e qualsiasi errore potrebbe lasciarlo cosciente durante lo sventramento. 

Se per i mammiferi e gli uccelli esistono regolamentazioni sul benessere anche durante la macellazione – in Svizzera, ad esempio, da luglio 2025 è obbligatorio indicare sull’etichettatura se gli animali hanno subito pratiche di dolore – per i pesci non sono contemplate delle tutele simili. Lo stesso vale per i pesci d’allevamento.

Qual è il futuro della pesca?

Per rendere la pesca più etica e sostenibile è necessario cominciare a riconoscere il benessere dei pesci e attutire il più possibile la loro sofferenza. La scienza, con dati trasparenti, rigorosi e basati su prove concrete, può aiutare a comprendere meglio altre specie che finora non sono state considerate, ma con cui condividiamo la capacità di soffrire.