1 Agosto 2025 | Tempo lettura: 8 minuti

Biobreeding: il miglioramento genetico “buono” per l’agricoltura biologica

Una pratica antica e attualissima, che seleziona sementi resilienti nel rispetto dei principi dell’agricoltura biologica: il Biobreeding è una tecnica di miglioramento genetico non invasivo basata su incroci naturali.

Autore: Paolo Cignini
Agricoltori e ricercatori impegnati in un campo di grano per osservare e selezionare varietà nel processo di Biobreeding.

In breve

Il Biobreeding è una tecnica di miglioramento genetico non invasivo che unisce metodo scientifico e saperi contadini per rendere davvero efficace l’agricoltura biologica.

  • Si basa su incroci naturali in campo, osservazione partecipata e selezione delle piante più adatte.
  • Non interviene sul DNA e non ha nulla a che vedere con OGM o nuove tecniche genomiche (NGT).
  • Punta a creare sementi capaci di resistere in agricoltura biologica, senza input chimici.
  • Dal 2036 non sarà più possibile usare sementi convenzionali nel bio: questa tecnica è una delle risposte possibili.
  • Richiede tempo, risorse e un cambio di approccio culturale e normativo.
  • Ad oggi manca un quadro legislativo chiaro che ne faciliti registrazione e diffusione.
  • È poco visibile nei mercati globali, che privilegiano varietà standardizzate.
  • Solleva domande cruciali sul futuro dell’agricoltura e sulla libertà di scelta dei contadini.

Sotto il sole, tra le file di grano, un agricoltore osserva le sue piante in cerca di segnali silenziosi: quali varietà resistono meglio alla siccità? Quali attirano meno parassiti? Quali nutrono davvero la terra e chi la lavora? È così che prende forma il Biobreeding: una pratica antica e attualissima, partecipata e profondamente radicata nella terra. Non è OGM. Non è NGT. È un altro modo di migliorare le piante, ma senza manipolare il DNA, senza forzare la natura, semplicemente accompagnandola. Questa pratica coniuga i saperi antichi dell’agricoltura contadina con le competenze della ricerca scientifica, unendo osservazione sul campo e metodo, esperienza e sperimentazione. 

Una strada che non inventa nulla di nuovo, ma dà nuovi strumenti a ciò che funziona da millenni. Ma in cosa consiste davvero? Perché è così importante chiarire che non ha nulla a che vedere con gli organismi geneticamente modificati o con le nuove tecniche genomiche (NGT)? Sono alcune delle domande da cui siamo partiti per realizzare un video con la Fondazione Seminare il Futuro, attiva nella ricerca e divulgazione sul miglioramento genetico per l’agricoltura biologica. In un momento in cui genetica, sementi, autonomia agricola e clima si intrecciano sempre più, questa tecnica torna al centro come una conoscenza costruita sul campo, camminando tra le spighe.

Che cos’è il Biobreeding

Questa pratica agricola è una forma di miglioramento genetico non invasivo. È un processo di selezione naturale delle sementi, realizzato in campo e pensato per l’agricoltura biologica, con il coinvolgimento attivo di agricoltori e ricercatori. «Le tecniche che vogliamo applicare con questa pratica fanno piazza pulita di tutto quello che è stato la modificazione genetica artificiale. Ci rifacciamo agli incroci che sono sempre esistiti in agricoltura, in maniera naturale, in campo aperto», spiega Pierfrancesco Fattori, presidente della Cooperativa Montebello.

In pratica, La tecnica del Biobreeding si basa sull’incrocio di varietà compatibili della stessa specie, effettuato in campo e senza manipolazioni genetiche. Agricoltori e ricercatori osservano insieme come le piante si comportano in condizioni reali, selezionando nel tempo quelle più adatte a crescere senza pesticidi o concimi chimici. Ecco i passaggi fondamentali:

  • Incrocio naturale tra varietà diverse della stessa specie
  • Coltivazione in campo, in regime biologico
  • Osservazione partecipata dei risultati da parte di agricoltori e ricercatori
  • Selezione delle piante migliori per adattamento locale, resistenza e qualità

Il risultato? Sementi pensate davvero per il biologico, resilienti, libere da manipolazioni genetiche e adatte ai territori in cui crescono. È un metodo antico, oggi portato avanti in modo scientifico e partecipativo, nel rispetto del biologico: niente concimi chimici, niente pesticidi, niente laboratorio. Solo osservazione, selezione, cura. «Il miglioramento genetico è sempre esistito», ricorda Daniele Antichi, professore all’Università di Pisa. «L’uomo ha addomesticato specie selvatiche, le ha selezionate e incrociate. Quello che cambia, oggi, è che vogliamo fare a meno delle tecniche troppo invasive, basandoci su un miglioramento genetico classico, rispettoso dell’ambiente e della pianta stessa».

Questa pratica agricola nasce per rispondere a un problema: la maggior parte delle sementi oggi in commercio non è pensata per il biologico. Sono varietà selezionate per l’agricoltura convenzionale, che usa input chimici per resistere a malattie, parassiti, siccità. Nel biologico invece serve che sia la pianta stessa a reggere. Ed è qui che entra in gioco la pratica del Biobreeding.

Perché questa tecnica oggi è così cruciale

Ci sono almeno due motivi per cui il Biobreeding oggi è necessario, a detta di molti addetti al settore biologico. Il primo riguarda il clima. L’agricoltura biologica ha bisogno di varietà capaci di affrontare le nuove condizioni ambientali, senza fertilizzanti chimici o pesticidi. Ma queste varietà oggi non esistono in quantità sufficiente. «Quando si parla di seme per il biologico – spiega Federica Bigongiali, presidente della Fondazione Seminare il Futuro – il consumatore crede che quel seme sia stato selezionato apposta. Ma spesso si tratta di varietà pensate per l’agricoltura industriale».

Agricoltori e ricercatori discutono sul campo davanti a una coltivazione di grano biologico, durante una visita tecnica dedicata al Biobreeding.
Incontro sul campo tra agricoltori e ricercatori per osservare e selezionare varietà di grano.

Il secondo motivo è normativo. Dal 2036 l’agricoltura biologica europea non potrà più usare sementi convenzionali, nemmeno se non trattate. Finora è stato possibile grazie al sistema delle deroghe, ma questa finestra si chiude. «Come arrivare al cento per cento di seme biologico entro il 2036?», si chiede Francesco Solfanelli, professore all’Università Politecnica delle Marche. «È una questione tecnica, ma anche culturale. Servono strumenti adatti e il seme è uno di questi». Anche per questo si tratta di una risposta concreta e urgente: serve a creare sementi biologiche selezionate per il biologico, in modo partecipato e mirato.

Il Biobreeding non è OGM né NGT

Questa pratica non ha nulla a che vedere con gli OGM o con le nuove tecniche genomiche (NGT). Eppure ancora oggi, quando si parla di miglioramento genetico, si pensa a laboratori, DNA riscritto e manipolazioni artificiali. «Trent’anni fa la polemica sugli OGM aveva chiarito di cosa si trattava. Oggi ci vengono proposte nuove varietà, chiamate NGT o TEA – tecniche di evoluzione assistita –, che sono comunque modificazioni del DNA», ricorda Fattori. «Noi, con questa pratica agricola, ci rifacciamo agli incroci naturali, in campo aperto».

OGM e NGT intervengono direttamente sul DNA, modificandolo in laboratorio. Gli OGM introducono geni esterni, spesso da altre specie. Le NGT – come CRISPR/Cas9 – riscrivono tratti del genoma. In entrambi i casi, non si rispetta il ciclo riproduttivo naturale. Questa pratica, invece, non modifica il DNA, ma lo accompagna. Si incrociano varietà compatibili, si osservano in campo, si selezionano le più adatte. Tutto in agricoltura biologica.

«Il Biobreeding fa a meno delle tecniche invasive. Si basa su un miglioramento genetico classico, dove l’intervento umano non forza la natura, ma la affianca», afferma Daniele Antichi. Anche Francesco Torriani conferma: «Non è una forzatura, ma un’evoluzione consapevole. Si scelgono varietà con buone caratteristiche e si favorisce l’incrocio in ambiente biologico». La differenza sta nel metodo: Biobreeding, OGM e NGT operano su piani diversi. Il primo segue i processi naturali, i secondi intervengono sul codice genetico. Capire questa differenza è essenziale, soprattutto quando si parla di biologico.

Stand informativo della Fondazione Seminare il Futuro durante un evento dedicato al biobreeding e all’agricoltura biologica.
Lo stand della Fondazione Seminare il Futuro

Le difficoltà e i limiti di questa pratica

Come ogni pratica, anche questa presenta sfide strutturali e culturali. La prima è legata ai tempi lunghi della selezione varietale: ottenere sementi adattate richiede anni di prove, osservazione e risorse, spesso scarse. Senza sostegno molti percorsi rischiano di interrompersi. Per questo il Biobreeding è ancora poco diffuso. Molti agricoltori non hanno accesso a formazione o reti sperimentali. Inoltre, manca un interesse industriale, come avviene per le biotecnologie brevettabili.

Un altro limite è l’assenza di normative europee chiare. Le varietà nate da questa pratica spesso non rientrano nei criteri ufficiali di registrazione, con difficoltà di accesso al mercato e ai fondi pubblici. Infine punta su diversità genetica e adattamento locale, mentre i mercati globali privilegiano uniformità e resa. Serve quindi una riflessione sul modello agricolo dominante: vogliamo sementi resilienti e adattate, o varietà “perfette” solo in condizioni artificiali?

Raccontare il Biobreeding significa andare oltre la narrazione semplificata del biologico. Non basta eliminare i pesticidi per cambiare paradigma. Serve ripensare il seme, la genetica, il rapporto tra ricerca e agricoltura. È una pratica coerente con l’agricoltura biologica, nata per affrontare problemi reali: varietà più adatte, meno input esterni, maggiore autonomia. Non è la soluzione a tutto, ma una strada possibile, già percorribile, che mette al centro osservazione, collaborazione e adattamento. Capire cos’è davvero questa pratica agricola e cosa non è, aiuta a orientarsi in un dibattito spesso confuso, dove parole e pratiche vengono mescolate. Anche il modo in cui selezioniamo le sementi è una scelta agricola, politica e culturale.

Informazioni chiave

Info chiave

Che cos’è il Biobreeding

Un miglioramento genetico partecipato e non invasivo, pensato per l’agricoltura biologica.

Perché non è OGM né NGT

Non modifica il DNA, ma seleziona piante in campo seguendo i processi naturali.

Sfide e limiti principali

Tempi lunghi, scarsa diffusione, normative lacunose e scarso interesse industriale.

Una scelta culturale oltre che tecnica

Ripensare il seme significa ripensare il modello agricolo e la transizione ecologica.