8 Settembre 2025 | Tempo lettura: 6 minuti
Ispirazioni / World in progress

L’avvocato Spinapolice: “L’intelligenza artificiale non ha etica? Insegniamogliela noi umani”

L’intelligenza artificiale non nasconde solo i rischi che ben conosciamo, ma anche uno straordinario potenziale per l’evoluzione dell’essere umano, purché la utilizziamo in modo corretto.

Autore: Fabrizio Corgnati
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L’intelligenza artificiale ci ruberà il lavoro. Anzi, ci inonderà di contenuti fake a tal punto che non sarà più possibile distinguere la verità dalla finzione. Peggio, sostituirà del tutto gli esseri umani, li soggiogherà fino a renderli suoi schiavi. Le cosiddette “macchine intelligenti” sono uno dei temi caldi degli ultimi anni: figuriamoci se potevano sottrarsi all’ormai ben nota (e trita) narrazione catastrofistica dominante nei media. Sui potenziali rischi di un futuro dominato dai robot la nostra stampa si è già ampiamente esercitata. Ma esiste anche uno scenario alternativo, quello cioè in cui la intelligenza artificiale si rivelerà invece un potente alleato per il bene dell’essere umano? E, se esiste, come possiamo fare a realizzarlo?

Per aiutarmi a rispondere a queste domande ho interpellato l’avvocato e filosofo del diritto Giovanni Spinapolice, che lo scorso febbraio alla Camera dei deputati ha presentato il suo manifesto del Transumanesimo inverso, cioè di un nuovo umanesimo, di un movimento che rimetta l’essere umano al centro dello sviluppo tecnologico e lo riconosca come la sua finalità ultima. Al tema ha dedicato anche il suo ultimo libro “IA. L’ultimo uomo e la macchina”, che – non poteva essere altrimenti – «nasce da una chiacchierata con Gaia, il nome che ho dato al mio ChatGPT, o meglio alla “mia compagna di viaggio”, come lei stessa si è definita», mi racconta.

Partiamo da una considerazione che è cristallina agli occhi di chiunque abbia studiato un po’ di storia: i timori apocalittici per le conseguenze di una nuova tecnologia non sono certamente inediti. Al contrario, si sono puntualmente ripresentati con l’introduzione di qualunque importante avanzamento tecnico. L’intelligenza artificiale è solo l’ultima di una lunga lista di strumenti ideati dall’essere umano che, in quanto tali, sono di per sé neutri: il loro valore – positivo o negativo – dipende dal modo in cui li utilizziamo.

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L’avvocato e filosofo del diritto Giovanni Spinapolice

«Esattamente», concorda Spinapolice. «Come ogni innovazione nasconde sia una promessa che un rischio. Proprio come accadde per il nucleare, che dalla possibilità di ottenere energia infinita si è ridotta a una rincorsa a chi possiede più bombe atomiche. L’intelligenza artificiale può sollevarci dalle mansioni ripetitive, ottimizzare i processi, potenziare la ricerca, migliorare la qualità delle nostre vite. In compenso, se ci lasciamo ammaliare dalle sue capacità e rinunciamo a gestirla, allora la stiamo utilizzando molto male».

E pure questa non è una novità. Tutte le innovazioni hanno attraversato un periodo in cui l’essere umano le ha utilizzate male, per il semplice motivo che ci vuole tempo per imparare a usarle, per conoscere e padroneggiare il loro potenziale e questo apprendimento non può che avvenire attraverso prove ed errori. Il tema vero non sono i mezzi, quanto piuttosto il fine: alla base deve sempre rimanere il concetto che la tecnologia è al servizio dell’essere umano, non viceversa.

«Il rischio che dobbiamo evitare a ogni costo è concentrare tutto il nostro interesse sull’evoluzione tecnologica e perdere invece di vista l’evoluzione dell’umano», mette in guardia l’avvocato. «Un sintomo di questa distorsione è già oggi sotto gli occhi di tutti: a forza di abituarsi alla semplicità di utilizzo dei dispositivi, a forza di affidarci a sistemi automatici che scelgono al posto nostro, stiamo appiattendo creatività, immaginazione, responsabilità, relazionalità, senso critico, capacità di approfondimento».

Sarebbe molto più utile che i giornalisti, i politici, i pensatori, gli intellettuali si misurassero davvero con questi argomenti etici

Ecco dunque qual è il vero è il pericolo numero uno da cui dobbiamo guardarci: l’atrofizzazione di quelle capacità umane che smettiamo di tenere in esercizio, perché le deleghiamo alla macchina. «Se ci appiattiamo, non ci sarà bisogno di temere la rivoluzione dei robot che ci schiavizzano, perché sarà l’intelligenza artificiale stessa a governarci, per non parlare di coloro che la controllano. Insomma, bisogna prendere coscienza che l’umano va valorizzato, che ci serve un nuovo umanesimo tecnologico. E in questa valorizzazione la IA può fare molto, perché può aiutarci a velocizzarla, ma sempre nel rispetto delle nostre fragilità».

«Se attiviamo i necessari permessi e divieti, sarà la stessa intelligenza artificiale a tirarsi indietro dall’intervenire, quando identificherà un nostro punto debole». Tecnicamente ciò si può realizzare inserendo nella struttura portante della macchina un firmware, un codice genetico che derivi dall’etica evolutiva universale. In altre parole, dal fondamento della convivenza tra macchine ed esseri umani, basato sui valori di dignità, coscienza, libertà».

Siamo arrivati al punto: il futuro della tecnologia – come del resto anche il nostro – non dipende dalle macchine, bensì da noi esseri umani. Dobbiamo essere noi umani a metterci insieme per concordare le regole morali che poi verranno impartite alla IA. Questo è il ruolo centrale dell’umanità nella fase evolutiva che stiamo vivendo: siamo noi a dover insegnare l’etica ai computer, non viceversa, perché solo noi siamo dotati di facoltà insostituibili come i sentimenti, le emozioni, le sensazioni, l’intuito, la coscienza – che i computer non possiedono e non possiederanno mai.

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«Tra noi e le macchine c’è una differenza ontologica – ribadisce Spinapolice –: noi apparteniamo all’universo, ne siamo parte integrante. La macchina non lo sarà mai, può vivere questa appartenenza solo di riflesso, in modo artefatto». In altre parole, l’intelligenza artificiale non è realmente cosciente, si limita a simulare – in modo molto credibile – il comportamento che terrebbe un essere cosciente. In questa sottile ma determinante differenza sta tutta la superiorità dell’essere umano.

Se ci pensiamo bene, lo stesso termine “intelligenza artificiale” è fuorviante, perché la macchina possiede solo una forma d’intelligenza, quella logico-razionale – che indubbiamente è in grado di portare alla massima espressione –, ma difetta di tutte le altre. «Ecco perché noi dobbiamo tutelare questa nostra particolarità e aiutarla a evolvere attraverso la coscienza di sé», conclude l’avvocato.

Se posso permettermi di avanzare una modesta proposta, invece di dilettarsi in racconti a metà tra la fantascienza e l’horror, sarebbe molto più utile che i giornalisti, i politici, i pensatori, gli intellettuali si misurassero davvero con questi argomenti etici. Più complessi, mi rendo conto, forse più noiosi, ma immensamente più rilevanti. Perché riguardano le macchine, ma prima di tutto e in misura ancora più larga riguardano noi stessi. E soprattutto le scelte che in questa fase storica siamo chiamati a compiere per disegnare il mondo che vogliamo domani.

Vuoi approfondire?

Ascolta la puntata di Io non mi rassegno+ dedicata all’intelligenza artificiale.