21 Novembre 2025 | Tempo lettura: 7 minuti
Guide / Animali come noi: guida al benessere animale

Verso una nuova cultura della relazione con i cani: il Protocollo Sicurezza di ThinkDog

Razze pericolose, patenti, incidenti, aggressioni. Ultimamente si parla molto dei problemi derivanti dalla relazione con i cani, ma quanto c’è di vero? Ne parliamo con Angelo Vaira, formatore e studioso di scienze cognitive animali e fondatore di ThinkDog.

Autore: Daniel Tarozzi
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Sempre più spesso apprendiamo di “incidenti” che coinvolgono cani aggressivi. Bambini, donne, anziani, “proprietari” o passanti, tutti prima o dopo diventano “vittime” di questi animali. Ma è proprio così? Come sempre, di fronte a un fenomeno mediatico, occorre considerare diversi aspetti della questione. Un primo aspetto sono le “mode del momento”: ci sono sempre stati episodi di questo tipo, ma ora se ne parla. Bisogna anche tenere presente il contesto: una serie di circostanze ha contribuito a questo fenomeno. Infine non vanno trascurati gli aspetti quantitativi: in Italia vivono milioni di cani e solo una percentuale infinitesimale è coinvolta in questi incidenti, ma la percezione – errata – è che siano molti di più.

Dietro al fenomeno mediatico comunque si nasconde un problema oggettivo: chiunque oggi in Italia può prendere qualsiasi cane senza alcuna preparazione o competenza cinofilia. Per ovviare questo problema, ThinkDog – la scuola cinofila fondata da Angelo Vairaha presentato di recente il Manifesto per la Responsabilità nella Relazione con i Cani, un documento che invita a rivedere radicalmente cosa intendiamo per “cinofilia”.

Un invito tanto semplice quanto rivoluzionario: mettere al centro il cane come soggetto e non come oggetto di valutazione estetica, prestazionale o emotiva. Poco dopo ThinkDog ha lanciato anche il Protocollo Sicurezza, uno strumento operativo per prevenire le aggressioni e diffondere un nuovo modello di convivenza. Ho parlato con Vaira per andare oltre l’annuncio e comprendere la visione profonda da cui nasce questo progetto.

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Angelo Vaira

Perché serve una nuova cinofilia

«Oggi nell’immaginario comune la cinofilia coincide con ciò che promuove l’ENCI: razze, standard di bellezza, genealogie, mostre», racconta Vaira. «Ma se cinofilia significa amore per il cane, allora non può ridursi a questo. Amare non significa essere appassionati di una razza o di un modello estetico. Significa riconoscere che davanti a noi c’è un soggetto». Questa impostazione non è solo teorica: ha ricadute concrete.

Un esempio è la proposta di legge P4 della Regione Lombardia, sostenuta dall’ENCI, che esenterebbe dai test comportamentali i cani con pedigree. «È un’impostazione pericolosa – spiega Vaira – perché si basa sull’idea che la genetica garantisca equilibrio. Ma se fosse così, nessun cane iscritto ai libri genealogici avrebbe mai morso qualcuno e invece accade. Il comportamento dipende dalla genetica, certo, ma anche dalla storia di vita, dalle esperienze, dall’epigenetica, dalle competenze del proprietario».

La cinofilia italiana, secondo ThinkDog, deve fare un salto culturale: superare la visione cinotecnica e spostarsi verso una prospettiva relazionale, etica e sociale. Una cinofilia che metta al centro il benessere, la convivenza e la responsabilità civile, e non solo la selezione, l’allevamento o l’addestramento alla performance. Da qui i principi alla base del Manifesto:

  • Educare alla sicurezza, attraverso lo sviluppo di competenze concrete nelle seguenti aree: detenzione,ì stazionamento, conduzione, libertà. Ai fini di garantire una gestione sicura del cane in ogni contesto, tutelando sia i cittadini che gli animali
  • Educare all’ascolto, per sviluppare la capacità di essere permeabili agli altri, animali e umani, in quanto esseri senzienti in comunicazione. Saper leggere e interpretare i segnali del cane, le sue emozioni e i suoi disagi, ma anche le reazioni di chi ci circonda. L’Ascolto si rivela una competenza cruciale per la comprensione e la disponibilità nei confronti degli altri.
  • Educare alla cura, per prendersi cura del cane e ciò significa soddisfare i suoi bisogni fondamentali: salute, sicurezza, appartenenza al gruppo familiare, connessione e amore, libertà responsabile, realizzazione delle sue inclinazioni, capacità di influire sull’ambiente (agentività).
  • Educare al rispetto, considerando la prospettiva del cane in quanto soggetto, essere senziente dalla emozionalità complessa, ma anche rispettare le regole, le norme e i limiti imposti dalla Legge. Il cane stesso ha bisogno di regole e di confini chiari, per poter vivere e crescere sereno.
  • Educaere alla crescita comune, per comprendere l’Educazione in una dinamica di interdipendenza: cane, conduttore, famiglia, ambiente, società, istituzioni sono tutti elementi in relazione di reciprocità fra loro. Il percorso prevede una evoluzione comune.
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Cosa prevede il Protocollo Sicurezza e perché nasce ora

Il Protocollo Sicurezza è un passo ulteriore: non è una risposta impulsiva ai casi mediatici di aggressione, ma un lavoro che affonda le radici nel passato di ThinkDog. Vent’anni fa infatti la scuola aveva creato il “Buon cittadino a quattro zampe”, uno dei primi test italiani dedicati alla competenza relazionale fra persone e cani. «Abbiamo deciso di riprendere quel lavoro, aggiornarlo e ampliarlo», spiega Vaira. Il risultato è un percorso basato su cinque aree, ciascuna delle quali prevede una prova pratica. Non bastano il controllo e i divieti: occorre un apprendimento diffuso, una rivoluzione culturale articolata secondo cinque traiettorie fondamentali.

  1. La prima area è la cura, che riguarda il benessere del cane. Un cane che vive frustrazione cronica, ridotta libertà o mancanza di attività adeguate è più instabile e meno sicuro.
  2. La seconda è la detenzione, ovvero la gestione del cane in casa. «Molte aggressioni avvengono in contesti domestici: cancelli lasciati aperti, ospiti che entrano senza preavviso, bambini che aprono box o stanze sensibili», spiega Vaira.
  3. La terza è la conduzione, il modo in cui ci si muove con il cane fra la gente, scegliendo distanze e leggendo i segnali del contesto.
  4. La quarta è lo stazionamento, i momenti in cui ci si ferma: una coda al bar, un incontro imprevisto, un piccolo assembramento. Situazioni banali che, se gestite male, possono diventare critiche.
  5. La quinta è la libertà, un bisogno fondamentale ma complesso: va concessa nei luoghi e nei momenti giusti, con consapevolezza.

Negli ultimi mesi ThinkDog ha già formato 174 educatori sui contenuti del protocollo, rendendolo operativo e scalabile. L’obiettivo è che in futuro tutte le famiglie possano accedervi facilmente. Fra le proposte più innovative c’è anche un corso pre-adozione obbligatorio: venti minuti di video, un test, un certificato da presentare a canili o allevatori. «Prendere un cane comporta un cambiamento di stile di vita. Meglio saperlo prima», spiega Vaira. Un’idea semplice, ma potenzialmente rivoluzionaria.

Dalle famiglie alle istituzioni: un cambiamento culturale necessario

Il Protocollo Sicurezza sostiene una verità che spesso fatichiamo ad accettare: la sicurezza non nasce proibendo razze o attribuendo patenti di bontà genetica, ma diffondendo competenze. «Non basta dire “dipende dalla razza” né “non dipende dalla razza”: la verità sta nel mezzo. Alcune razze potenti, in mani incompetenti, possono diventare pericolose. Per questo partirei da loro per rendere il percorso obbligatorio».

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Ma la prevenzione non può fermarsi ai test: serve una strategia culturale diffusa. Vaira immagina campagne pubbliche, spot televisivi, materiale nelle scuole, conferenze, apertura dei canili come luoghi di educazione e incontro. «Serve un intervento a bilanciere: profondo su una parte della popolazione, leggero ma capillare sull’altra», dice Vaira, citando Nassim Taleb. perché non tutte le famiglie cercheranno un educatore, ma tutte possono essere raggiunte da un messaggio semplice e ripetuto. Sul fronte istituzionale però il cammino è lento. Alla presentazione del Manifesto erano presenti figure politiche, ma finora non ci sono state risposte operative. Sono programmati incontri a Roma con alcuni rappresentanti politici, ma il lavoro è appena iniziato.

Un settore frammentato e la sfida della non-coercizione

Se il rapporto con le istituzioni è complesso, quello con il mondo cinofilo non è più semplice. «C’è molta competizione», ammette Vaira. «Ho detto che Manifesto e Protocollo sono aperti, migliorabili, condivisibili. Ma quando un progetto è percepito come “di qualcuno”, molti si tirano indietro. Serve un movimento collettivo, non un’iniziativa individuale». Uno dei punti più innovativi – e divisivi – del protocollo è la scelta di superare la coercizione. Nei corsi ThinkDog, Vaira mostra personalmente come intervenire con cani complessi senza ricorrere a strumenti o tecniche punitive. «Si possono dare limiti senza fondare la relazione sull’inibizione. È importante che gli educatori vedano con i propri occhi come farlo, per evitare fraintendimenti o estremismi».

La sfida qui non è solo tecnica: è culturale. Quale idea di cane abbiamo? Quale idea di relazione vogliamo costruire?
«Non penso mai a cosa è possibile o impossibile», conclude Vaira. «Faccio e qualcosa accade». Forse è da qui che può partire un cambiamento duraturo: dall’idea che la sicurezza non nasce dalla paura, ma dalla relazione; che la relazione non nasce dal controllo, ma dalla cura; e che la cura, quando diventa cultura condivisa, cambia davvero la società.