Progettare il futuro ma insieme
L’eredità sociale e culturale delle generazioni che ci hanno preceduto ha causato una forte inerzia nei confronti del cambiamento, rendendo difficile progettare il futuro. Una possibile soluzione? Unire le forze e farlo insieme.
La società che vorremmo può esistere e si tratta solo di costruirla ma per farlo occorre prima progettarla. Insieme. Non c’è un’altra vera, autentica possibilità di raggiungere un obiettivo così ambizioso. Nonostante l’oggettivo benessere economico che abbiamo ottenuto non possiamo più permetterci di continuare “come eravamo”. Le formule del passato riassumibili nella produzione forsennata, l’esasperazione del lavoro, il mantenimento dei ruoli di gestione del potere anche oltre il buon senso, hanno portato, giro dopo giro, a un arricchimento collettivo ma con un prezzo sociale e ambientale enorme.
Mai veramente alla felicità che promettevano. Mai veramente a quella pienezza, quella bellezza, quella capacità relazionale che sarebbe propria dell’umanità intelligente e amorevole. Poteva sembrare così ai testimoni del boom di una società che usciva dalla devastazione totale della guerra e degli schemi ottocenteschi: anzi, probabilmente era vero che a quegli uomini e a quelle donne non era mai stato presentato un piatto tanto ricco, abituati com’erano a vivere di niente, a sopportare guerre e malattie, a dover mandare giù ingiustizie sociali e frustrazioni continue.
Certo, per loro era la soluzione. Ma oggi non lo è più e il problema è che tutta la macchina che avrebbe dovuto portarci in un’era di cambiamento è stata governata sempre dagli stessi soggetti che si sono formati in quegli anni e adesso non vedono – come potrebbero? – che il mondo è andato molto oltre questi modelli. La politica è diventata immobilismo totale: sempre i soliti vecchi anche quando sono giovani – sì, perché il problema non è dato dalle persone ma dagli schemi che sono sempre gli stessi.

Arrivano volti nuovi ma le idee sono sempre quelle: prendere le persone per la pancia, non consentire loro di pensare autonomamente, non permettere a nessuno di farsi un’idea precisa, anche banalmente dei fatti, con una comunicazione attentamente piegata a logiche di conservazione e di indirizzo verso quei luoghi comuni che mantengono le cose come stanno. Così ci siamo ritirati a vita privata, nelle nostre case, aspettando che ci venga detto cosa dovremo fare, aspettando che passi il peggio.
Questa passività che sta bloccando le coscienze da lungo tempo ha costruito un fatto sorprendente: non c’è più futuro. Nel senso che non ci sono prospettive ragionevoli per cui si potrà agire collettivamente verso un futuro sperabilmente migliore. Non ci prova più nessuno. Per questo le forze riformiste sono scomparse e sono rimaste solo quelle conservatrici. Mantenere il livello di benessere raggiunto sembra l’obiettivo principale: negare tutto quello che è emergente in termini di bisogni e aspettative coerenti, per trattarlo con sufficienza, tanto non si può risolvere nulla dato che i grandi paradigmi non possono essere messi in discussione.
Noi europei abbiamo puntato sulla produzione di massa, poi il settore alimentare è andato in crisi, quindi quello produttivo, ora quello dei servizi e tutto per una serie di precisi eventi, in parte prevedibili in parte no: dopo il rampantismo, abbiamo puntato quindi sulla creatività e, in questo primo quarto di secolo, si è parlato della possibilità di rigenerare tutto come era prima grazie alla magia dell’ingegno creativo per scoprire oggi che tutto può essere fatto, almeno con un voto da sufficiente a discreto, da una qualsiasi macchinetta minimamente collegata al web.

D’altra parte quella creatività era barare, era cercare di dire che esisteva una superiorità su prodotti e servizi che non avevano nulla di magico. Erano sempre gli stessi, anzi pure peggiorati a livello qualitativo e per scroccare marginalità ma impacchettati per bene. Ora abbiamo esaurito i consigli dei nonni e i nipoti che si erano attrezzati per seguire i percorsi delle generazioni precedenti, scoprono che non sono più così promettenti, anzi, non portano proprio da nessuna parte.
In questo clima abbastanza cupo, si arriva a parlare di guerra. Tanto la terza guerra mondiale è già cominciata, i segnali sono sempre evidenti a tutti anche se lo si dice da decenni, unitamente a quella crisi ambientale, quella definitiva, quella da cui non potremo uscire. No, non siamo un branco di stupidi e c’è da avere fiducia lo stesso nell’umanità, non certamente nelle idee retrograde e prive di futuro ma nella nostra capacità di cambiare e di pensare.
Anche noi siamo umanità ma non abbiamo mai veramente partecipato. Noi non siamo politici, banchieri, capitani d’industria, gestori di servizi globali, non abbiamo un potere particolare e non siamo nemmeno rivoluzionari, proletari, ideologi: noi siamo tutti gli altri e siamo veramente tanti. Siamo in tutte le nazioni e rappresentiamo la logica comune di chi vuole vivere insieme agli altri senza depredarli e senza imporsi, vivendo al meglio possibile ma partecipando alla costruzione del bene comune.
Possiamo fare molto ma dobbiamo essere insieme
Non abbiamo bisogno di essere inquadrati in norme rigide che ci controllino e ci facciano stare dove non vorremmo essere né fare cose che non vorremmo fare cioè contro quella logica del bene comune. Non rifiutiamo stati, governi, regole, non ci opponiamo e non siamo contestatori, chiediamo di vivere solo al meglio possibile, essendo disposti a partecipare. Non abbiamo un partito, perché se lo facessimo, sarebbe il partito di tutti. Non chiediamo garanzie che non ci possono essere date da nessuno ma vogliamo essere noi stessi garanti del nostro futuro, sempre perché possiamo partecipare e non limitarci ad aspettare che altri facciano per noi.
In fin dei conti, siamo solo persone e chiediamo il rispetto dei fatti elementari che ci riguardano unitamente alla possibilità di essere tenuti in considerazione quel tanto che ci consente di partecipare. Nessuno deve prendersi responsabilità su di noi, siamo in grado di capire ma dobbiamo essere messi nella posizione di poterlo fare. Possiamo essere deboli come tutti ma non è per questo che dobbiamo essere protetti: non ha senso che qualcuno rischi la propria vita per noi dato che la nostra unione deve garantire più vita per tutti.
Non riconosciamo nessun senso superiore al benessere di tutti e non di alcuni a scapito di altri. Diversamente, cadrebbe il senso stesso di società. Per questo non possiamo accettare accomodamenti inutili e dispendiosi. Non siamo tutti uguali ma non per questo qualcuno vale meno o ha meno diritti. Lo dice la nostra costituzione e prima ancora quell’intelligenza che non può non essere amorevole e che troviamo in tutte le persone quando si sforzano di essere migliori. Abbiamo fiducia ma non siamo banalmente ottimisti. Possiamo fare molto ma dobbiamo essere insieme.
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