Il governo italiano ha sbloccato 34 nuove licenze per estrarre petrolio e gas
Il Mase ha riattivato 34 licenze per cercare ed estrarre idrocarburi.
Lo sblocco di 34 licenze per la ricerca e la coltivazione di idrocarburi (petrolio e gas) deciso dal Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica riapre cantieri fermi da anni in Italia. Nella lista figurano permessi sia su terra ferma (onshore), che in alto mare (offshore), in diverse regioni e tratti di mare. Tra i beneficiari c’è anche l’israeliana Energean, come ricostruito da Altreconomia. L’operazione solleva molti dubbi riguardo alla sua coerenza con gli obiettivi climatici del nostro Paese.
I titolari delle licenze potranno ora avviare i rilievi sismici, chiedere di realizzare pozzi esplorativi e – se i risultati lo giustificano – domandare le concessioni di coltivazione, ovvero l’estrazione vera e propria del petrolio e del gas. Non è produzione immediata: è iter amministrativo e tecnico che rimette in moto il ciclo fossile.
Si tratta di una scelta molto controversa, giustificata dal governo con la necessità di garantire una maggiore indipendenza e resilienza dal punto dei vista energetico, ma che secondo molte organizzazioni ambientaliste può mettere in crisi gli obiettivi di decarbonizzazione del nostro Paese. Considerando soprattutto che i “frutti” di queste esplorazione dovrebbero arrivare fra diversi anni, quando si suppone che la transizione energetica sia ormai in buona parte compiuta.
I tempi, infatti, non sono brevi: per i progetti offshore, studi comparativi indicano in media oltre dieci anni dalla scoperta di un pozzo alla prima molecola vendibile; onshore i tempi sono comunque pluriennali e condizionati da autorizzazioni e intese regionali. Le licenze riguardano sia gas che petrolio: nei documenti e nelle cronache istituzionali e locali compaiono aree per la ricerca di greggio e di metano, sia a terra sia in mare.
L’ultima versione del PNIEC, il piano per l’energia e il clima preparato dal governo, punta su risparmio energetico cumulato, rinnovabili ed elettrificazione per ridurre domanda di gas a 58 miliardi di metri cubi al 2030 e proseguire il calo dopo. In quest’ottica, secondo il Mase, una spinta alle estrazioni domestiche potrebbe sostenere la gestione del rischio legata alle importazioni, e aiutare i conti pubblici grazie alle royalties. Tuttavia molti analisti temono l’effetto lock-in: il fatto di investire capitale, tempo e infrastrutture su alcune fonti, ne rallenta l’abbandono.







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