La stagione della caccia si è aperta con un morto e un ferito, fra le proteste
Il 21 settembre si è aperta ufficialmente la stagione venatoria 25–26. Fra preaperture, ricorsi e proteste, il dibattito politico sul tema è acceso.
La stagione della caccia è ufficialmente ripartita in Italia il 21 settembre, e subito si sono registrati un morto e un ferito fra i cacciatori. Proprio nel giorno della riapertura a Carrù (provincia di Cuneo) un uomo di 46 anni è morto perché colpito da un amico durante una battuta di caccia al cinghiale.
Sempre lo stesso giorno, un altro cacciatore è rimasto ferito al volto da pallini in un incidente a Vico Equense (provincia di Napoli). Durante la scorsa stagione venatoria, secondo l’Osservatorio Vittime della Caccia ci sono stati 21 morti e 37 feriti.
Sebbene l’apertura ufficiale sia arrivata domenica, in diverse regioni si spara già da alcune settimane. Le cosiddette preaperture, previste da numerosi calendari venatori regionali, hanno già consentito la caccia ad alcune specie dalla prima settimana di settembre.
La giustificazione più ricorrente per questi provvedimenti è la necessità di contrastare l’espansione di alcune specie considerate invasive o problematiche, in primis il cinghiale. Un’emergenza sanitaria, quella della peste suina africana, che ha dato il via libera ad aperture straordinarie anche durante i mesi estivi in diverse aree del Nord Italia.
Ma la partenza della stagione non è stata ovunque lineare. In varie regioni sono stati presentati ricorsi da parte di associazioni ambientaliste e animaliste, con risultati non irrilevanti: in alcuni casi i TAR hanno sospeso o modificato parte dei calendari venatori, imponendo nuove regole su specie cacciabili e periodi di prelievo. È successo in Toscana, ma anche in Veneto e in Emilia-Romagna, dove i tribunali hanno accolto alcune delle critiche mosse dalle associazioni sulla violazione dei principi di tutela della biodiversità o sull’inosservanza di direttive europee.
L’apertura di quest’anno si colloca inoltre in un contesto politico particolarmente caldo. Al Senato è in discussione una proposta di modifica della legge quadro sulla caccia, la n. 157 del 1992. Il disegno di legge, sostenuto da una parte della maggioranza di governo, mira a rendere più flessibili alcune norme: prelievo nei parchi, uso delle armi, periodi di caccia più estesi. Una direzione che suscita forti preoccupazioni sia tra gli ambientalisti che nella comunità scientifica, che parla apertamente di un tentativo di “normalizzare” la caccia come strumento di gestione faunistica.
Il WWF ha denunciato che negli ultimi tre anni la legge sulla caccia è stata modificata undici volte, in oltre venti punti, con un’impostazione sempre più favorevole al mondo venatorio. Una dinamica che si scontra con un altro dato, difficilmente contestabile: il numero di cacciatori in Italia è in calo da decenni. Negli anni ’80 erano circa 1,7 milioni, oggi si stimano meno di 600.000 licenze attive, secondo i dati riportati da Caccia Magazine. Solo dal 2019 al 2022 si è registrata una diminuzione di oltre 60.000 unità.
Eppure, nonostante questa costante erosione numerica, il mondo venatorio continua ad avere un peso politico significativo. Una parte della risposta sta nella capacità delle associazioni di caccia di strutturarsi come lobby territoriali capillari, con forte radicamento nelle aree rurali. Ma c’è anche un riflesso culturale: in molte zone del Paese la caccia è ancora vissuta come un presidio identitario, legato a tradizioni locali, alla gestione diretta del territorio, a una certa idea di ruralità che si sente minacciata dai cambiamenti in corso.
Nel frattempo, la stagione venatoria è partita e in molte regioni durerà fino al 31 gennaio 2026, con regole che prevedono giorni di silenzio venatorio obbligatorio, limiti di capi abbattibili e divieti in aree protette. Simili i calendari delle altre regioni. Ma resta forte la contraddizione tra un’attività che si va restringendo sul piano sociale e numerico, e una visibilità politica che appare ancora sproporzionata rispetto alla realtà dei numeri.
Forse proprio da questa discrepanza nasce parte del conflitto che, puntuale come l’autunno, accompagna ogni apertura della caccia in Italia.
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