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12:48 23 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 4 minuti

Il Brasile autorizza le trivelle al largo dell’Amazzonia, alla vigilia di COP30

A meno di tre settimane dalla COP30, l’agenzia ambientale Ibama concede il via libera “esplorativo” a Petrobras nel bacino di Foz do Amazonas. Governo e industria parlano di sicurezza ed energia, ambientalisti e comunità contestano.

Autore: Redazione
foce rio degli amazzoni esplorazioni petrolio brasile

A meno di tre settimane dalla COP30, la trentesima conferenza sul clima delle Nazioni Unite, che si terrà in Brasile a Belém, l’Istituto brasiliano per l’Ambiente (Ibama) ha autorizzato la principale compagnia petrolifera nazionale, Petrobras, a perforare un primo pozzo esplorativo nel bacino di Foz do Amazonas. Si tratta di un bacino offshore che si trova a circa 175 km al largo dello stato dell’Amapá e circa 500 km dalla foce del Rio degli Amazzoni, che fa parte del cosiddetto Margine equatoriale, una zona di confine fla placche tettoniche in cui sono stati scoperti grossi giacimenti di petrolio.

È il primo via libera dopo anni di stop e ricorsi: nel 2023 l’istanza era stata respinta per carenze nel piano d’emergenza, poi rivisto con esercitazioni e correttivi. Per ora si parla di esplorazione, non di produzione, ma l’autorizzazione apre la strada all’esplorazione del Margine equatoriale come nuova frontiera petrolifera del Paese.

Il governo Lula rivendica la scelta in nome della sicurezza energetica e della diversificazione delle entrate, sottolineando i miglioramenti nel piano di risposta a eventuali sversamenti. Il Ministero dell’Energia e la stessa Petrobras insistono sul rispetto degli standard internazionali e sulle ricadute economiche e occupazionali di un’area geologicamente promettente, gemella – per caratteristiche – delle scoperte tra Guyana e Suriname. I lavori, secondo l’azienda, sono destinati a iniziare subito con una campagna di circa cinque mesi.

Dall’altra parte, una vasta coalizione di ONG, reti scientifiche e movimenti indigeni denuncia la decisione come un passo indietro rispetto agli impegni climatici e una contraddizione con l’immagine “verde” che il Brasile coltiva sulla scena internazionale. L’Observatório do Clima parla di scelta “disastrosa” per clima e sociobiodiversità e preannuncia azioni legali; Greenpeace accusa l’esecutivo di aprire una nuova frontiera fossile proprio mentre si prepara a ospitare i negoziati ONU. La procura federale è attesa al varco per eventuali rilievi di legittimità.

La regione interessata è considerata ad alta sensibilità socio-ambientale: mangrovie, aree protette, terre indigene, coralli e una ricchissima biodiversità marina. Proprio questo quadro di vulnerabilità aveva motivato il primo no tecnico del 2023, poi superato dopo un lungo braccio di ferro istituzionale e politico. Inoltre, nuove estrazioni creano il cosiddetto effetto “lock-in fossile”, ovvero ancorano ancora di più l’economia brasiliana al petrolio, allontanando la decarbonizzazione e gli impegni climatici.

Il presidente Lula in persona ha spinto per accelerare, criticando la lentezza dell’Ibama e ribadendo la necessità – a suo dire – di usare le entrate fossili per finanziare la transizione. Una contraddizione in termini, contestata da buona parte della società civile e smentita dai dati, che dicono che solo lo 0,2% delle entrate derivanti dal petrolio è destinato alla lotta contro il riscaldamento climatico. Nella cornice internazionale, la mossa rischia di pesare sul ruolo negoziale del Brasile a Belém, dove molti partner chiedono disimpegno dai fossili e traiettorie di decarbonizzazione credibili.

Anche il fronte indigeno è in allerta. Leader storici come Raoni Metuktire hanno espresso netta contrarietà all’espansione petrolifera nella regione, evidenziando i rischi per comunità costiere e tradizionali e per i mezzi di sussistenza. Le organizzazioni ricordano che un incidente in mare potrebbe colpire rapidamente pescatori, turismo e servizi ecosistemici, con danni difficilmente reversibili.

Dal punto di vista giuridico, la licenza esplorativa non equivale a un’autorizzazione alla produzione: ogni fase richiede valutazioni autonome e ulteriori permessi. Tuttavia, chi segue la governance climatica sa che l’inerzia infrastrutturale conta: una volta aperta la frontiera, diventa più probabile che si proceda, in assenza di stop politici o di esiti esplorativi deludenti. Per questo le prossime settimane saranno cruciali per verificare trasparenza dei monitoraggi, coinvolgimento delle comunità e indipendenza dei controlli.

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