Cile, 133.000 ettari di Patagonia salvati dalla speculazione: nasce un modello di conservazione comunitaria
Un’area selvaggia della Patagonia cilena viene salvata da deforestazione e grandi opere grazie a una raccolta fondi locale. Il progetto punta a coniugare tutela ambientale, sviluppo sostenibile e partecipazione comunitaria.
La valle di Cochamó, un’estesa area montana della Patagonia settentrionale cilena, è stata ufficialmente posta sotto tutela ambientale. Si tratta di 133.000 ettari di foreste millenarie, fiumi incontaminati e habitat unici, salvati da progetti di disboscamento, dighe idroelettriche e sviluppo edilizio. L’acquisto dell’area, avvenuto per un valore di 63 milioni di dollari, è il risultato di una campagna di raccolta fondi promossa dalla ONG Puelo Patagonia con il sostegno di realtà locali e internazionali
L’area protetta, ora gestita dalla fondazione cilena Fundación Conserva Puchegüín, ospita circa l’11% delle foreste mondiali di alerce, un albero millenario. Alcuni esemplari presenti nella valle risalgono a circa 1.000 anni prima di Cristo. La zona è anche un importante corridoio ecologico, connesso a oltre 1,6 milioni di ettari di territori protetti in Cile e Argentina.
La mobilitazione per la tutela della valle è iniziata nel 2012, quando le comunità locali – composte da allevatori, cowboy, operatori turistici e residenti – si opposero con decisione a un progetto idroelettrico da 400 milioni di dollari. A questo si aggiunsero, negli anni, ulteriori pressioni speculative come la costruzione di seconde case e l’asfaltatura delle strade.
Di fronte a queste minacce ambientali la comunità si è auto-organizzata per creare un’alternativa. A contribuire significativamente all’acquisto dell’area è stata anche la James M. Cox Foundation, con una donazione di 20 milioni di dollari. Tra i sostenitori anche la Patagonia Inc., azienda da tempo impegnata nella conservazione di Cochamó, e diverse fondazioni filantropiche internazionali come la Freyja Foundation e la Wyss Foundation.
Il progetto si propone di coniugare conservazione ambientale, partecipazione comunitaria e turismo sostenibile. Il modello adottato prevede che l’80% del territorio raggiunga lo status di parco nazionale o equivalente, mentre il restante 20% sarà destinato a usi compatibili, come l’agricoltura familiare e l’ospitalità diffusa. L’accesso sarà regolamentato: il numero massimo di visitatori è fissato a 15.000 all’anno e verrà redatto un piano partecipato per la gestione dei sentieri, dei campi base e delle infrastrutture per cavalli e pack horse.
Importante è anche il lavoro di monitoraggio faunistico e ambientale, avviato con la partecipazione attiva delle comunità. I primi risultati mostrano la presenza di specie rare come il cervo andino huemul, simbolo nazionale cileno, recentemente individuato nella valle. La zona, quasi priva di insediamenti permanenti e senza strade, è alimentata da energie rinnovabili a livello domestico e mantiene un uso tradizionale del territorio che affonda le radici nel passato.
Il modello di Cochamó si ispira al lavoro di Kris e Doug Tompkins, imprenditori che negli anni hanno donato oltre 5,7 milioni di ettari di terre selvagge al sistema dei parchi cileni e argentini. Tuttavia, il progetto di Cochamó introduce un approccio innovativo: creare parchi privati con finalità pubbliche, sostenuti da endowment e attività economiche a basso impatto.
La scarsità di fondi pubblici per la gestione delle aree protette – emersa anche dopo le recenti tragedie nel parco nazionale Torres del Paine – ha spinto molte realtà a immaginare modelli ibridi di conservazione, in cui le comunità non siano solo beneficiarie, ma anche custodi attive del territorio. Cochamó rappresenta oggi uno dei più grandi successi di conservazione partecipata in Sud America, un caso emblematico di come tutela ambientale e sviluppo locale possano coesistere in modo sostenibile.






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