La Commissione Ue vuole semplificare e rimandare di nuovo il regolamento contro la deforestazione
Ha annunciato misure di “semplificazione” per il regolamento che, sostengono le ONG ambientaliste, rappresentano una resa alle pressioni politiche e mettono a rischio l’efficacia dello strumento.
La Commissione europea ha deciso di proporre una semplificazione del regolamento contro la deforestazione, noto come EUDR (Regolamento UE 2023/1115). Secondo molte organizzazioni ambientaliste si tratta di un segnale di cedimento alle pressioni politiche e commerciali, e non un atto di pragmatismo tecnico, come sostiene la Commissione.
Il regolamento, adottato nel 2023 dopo anni di mobilitazione pubblica e negoziati, era stato presentato come uno strumento chiave per impedire che l’Ue producesse o importasse beni e servizi che alimentavano la deforestazione.
Per orientarsi meglio, serve ricostruire la sequenza dei fatti. L’EUDR è entrato in vigore nel 2023, con applicazione prevista dal 30 dicembre 2024 per gli operatori medi e grandi, e dal 30 giugno 2025 per micro e piccole imprese.
il regolamento chiede a chi immette prodotti sul mercato di fare due diligence: vigilare e mappare l’origine con geolocalizzazione delle parcelle, valutare il rischio, mitigarlo e presentare una dichiarazione prima dell’importazione o della vendita. Vale per materie prime come cacao, caffè, palma da olio, soia, carne, legno, gomma e per molti derivati (es. pelle, cioccolato, carta, mobili).
I prodotti devono essere “deforestation-free” rispetto a una data di partenza, definita nel 31 dicembre 2020, e conformi alle leggi del Paese d’origine. Gli Stati membri fanno controlli proporzionati al rischio e possono sanzionare le aziende con multe, sequestro e divieti di commercio.
Nel 2024 la Commissione ha proposto e ottenuto un primo rinvio “tecnico” di dodici mesi: gli obblighi sono così slittati al 30 dicembre 2025 per i soggetti maggiori e al 30 giugno 2026 per i più piccoli. Questa modifica è stata spiegata con l’esigenza di completare strumenti e linee guida, e risulta riportata anche nelle pagine ufficiali dell’UE.
Il 15 aprile 2025, però, la Commissione ha annunciato un pacchetto per “semplificare l’attuazione” dell’EUDR: nuove linee guida, alleggerimenti procedurali, indicazioni operative. Secondo alcune analisi legali si trattava di misure per rendere più praticabile la conformità senza toccare gli obiettivi ambientali di fondo. Ma da quel momento il dibattito si è polarizzato: da un lato alcuni Paesi e settori economici hanno chiesto ulteriore flessibilità, dall’altro ONG e parte delle aziende hanno temuto che, dietro la retorica della semplificazione, avanzasse un indebolimento.
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A fine settembre 2025, la Commissione ha indicato l’intenzione di posticipare di un altro anno l’avvio della legge, motivando la scelta con criticità del sistema informatico per gestire le dichiarazioni di due diligence da parte delle aziende. La mossa ha suscitato immediate reazioni: ClientEarth e altre organizzazioni hanno parlato di “scusa” che non regge, mentre osservatori internazionali hanno messo in fila le ricadute sulla credibilità dell’UE in materia di clima e biodiversità. Nelle stesse ore, però, Bruxelles ha precisato che l’obiettivo era evitare blocchi operativi ed errori su larga scala, non fare passi indietro sugli standard. È qui che le letture su quello che accade cominciano a divergere.
Da ieri, 21 ottobre 2025, la Commissione è passata dalle intenzioni alle proposte formali: “misure mirate” che mantengono per gli operatori medi e grandi l’entrata in applicazione al 31 dicembre 2025, mentre per micro e piccole imprese si propone un differimento di un anno e requisiti semplificati, con alleggerimenti anche per alcuni operatori a valle. È la fotografia che emerge dal comunicato ufficiale e da analisi indipendenti pubblicate nelle stesse ore. Secondo il World Resources Institute i principi cardine della legge restano in piedi, ma l’attenzione si sposta su come saranno scritti, e approvati, i dettagli tecnici.
Nel frattempo però diverse ONG contestano la direzione di marcia. E un gruppo di grandi imprese del food e dei beni di largo consumo – tra cui Ferrero, Nestlé e Olam – ha criticato l’ipotesi di un ulteriore slittamento, sostenendo che penalizzi chi ha investito per tempo in tracciabilità e due diligence, aumenti l’incertezza regolatoria e indebolisca la reputazione europea. Queste aziende chiedono di procedere con la scadenza già fissata, eventualmente prevedendo una finestra di tolleranza sanzionatoria, e un tavolo tecnico per risolvere i nodi operativi. La frattura, insomma, non è solo tra ambientalisti e industria: attraversa il mondo produttivo.
Dall’altra parte WWF, Greenpeace e altre organizzazioni parlano apertamente di “resa” alle pressioni politiche, accusando la Commissione di nascondersi dietro i problemi tecnici per allentare obblighi e controlli. In particolare, criticano l’idea di una proroga generalizzata nei controlli iniziali (un periodo-cuscinetto in cui la legge formalmente entra in vigore ma i controlli e/o le sanzioni vengono sospesi o molto attenuati) e l’alleggerimento per i trader e i retailer, che potrebbe aumentare il rischio di illegalità nelle catene di fornitura proprio nei mesi più delicati dell’avvio.
Cosa significa tutto questo per chi opera o acquista nell’UE? Per le aziende medie e grandi, allo stato attuale, la data chiave resta il 31 dicembre 2025; per micro e piccole imprese potrebbe profilarsi un anno in più, ma il perimetro esatto dipenderà dal testo che passerà il vaglio di Parlamento e Stati membri. Per la società civile, e il mondo dell’informazione il punto è vigilare sui contenuti: se la semplificazione riguarda davvero solo carichi amministrativi e interfacce informatiche, la finalità ambientale può rimanere intatta; se invece tocca i requisiti di tracciabilità, le esclusioni o i criteri di rischio Paese, allora l’efficacia della legge verrebbe intaccata proprio dove conta.
Il contesto politico non aiuta. A luglio il Parlamento europeo ha riaperto il dibattito su come classificare i Paesi a rischio, mentre vari governi chiedono di alleggerire le regole e alcuni partner extra-UE temono effetti sui piccoli produttori. In questo contesto, ogni rinvio può diventare un precedente e ogni deroga aprire la strada ad altre. La sfida è chiara: semplificare dove serve senza svuotare la legge, pretendendo risorse, strumenti e una gestione seria che la facciano funzionare davvero.







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