Senza consenso è violenza: alla Camera il primo via libera alla riforma del reato di stupro
Un emendamento approvato all’unanimità in Commissione Giustizia introduce nel codice penale il concetto di «consenso libero e attuale» per definire la violenza sessuale, avvicinando l’Italia agli standard della Convenzione di Istanbul.
La Commissione Giustizia della Camera ha approvato all’unanimità un emendamento che riscrive il cuore dell’articolo 609-bis del codice penale: d’ora in poi, se il testo sarà confermato da Aula e Senato, sarà punito con il carcere da sei a dodici anni chi «compie o fa compiere o subire atti sessuali a un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima».
L’intesa è frutto di un accordo bipartisan tra Partito Democratico e Fratelli d’Italia, mediato direttamente dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dalla segretaria PD Elly Schlein, e rappresenta un passaggio definito “storico” dalle stesse forze politiche coinvolte.
Fino a oggi il modello italiano è stato centrato sul principio di costrizione: la violenza sessuale era configurata quando un rapporto veniva imposto con violenza, minaccia o abuso di autorità, oppure approfittando dell’inferiorità fisica o psichica della vittima. Non compariva in modo esplicito il riferimento al consenso, che veniva ricostruito dai giudici caso per caso, spesso attraverso la presenza o meno di segni di resistenza.
Un’impostazione che, come denunciano da anni esperte e associazioni, rischiava di lasciare in ombra quelle situazioni in cui la persona aggredita si blocca, non riesce a opporsi o resta in silenzio per paura, shock o per la speranza di ridurre i danni. L’introduzione del consenso libero e attuale offre quindi una cornice più aderente a ciò che molte persone raccontano quando descrivono uno stupro: non sempre ci sono urla, graffi, tentativi di fuga, ma spesso paura, paralisi, dissociazione.
Negli anni la giurisprudenza italiana aveva già iniziato a spostarsi verso un modello più consensuale, valorizzando la volontà della persona offesa più che gli elementi di violenza fisica. La modifica approvata in Commissione porta però questo cambio di prospettiva direttamente nel testo di legge. Il nuovo articolo chiarisce che la violenza non è solo ciò che viene imposto con la forza, ma qualsiasi atto sessuale in assenza di un sì libero, esplicito e presente nel momento in cui il rapporto avviene. È un passaggio che recepisce l’impostazione della Convenzione di Istanbul, secondo cui lo stupro è un «rapporto sessuale senza consenso», che deve essere dato volontariamente e valutato alla luce del contesto.
C’è poi un’altra novità importante: l’ampliamento del concetto di «particolare vulnerabilità» della persona offesa. L’emendamento prevede che sia punito con la stessa pena anche chi abusa non solo dell’inferiorità fisica o psichica, ma anche di una condizione di fragilità emotiva, economica o psicologica riconducibile all’articolo 90-quater del codice di procedura penale. In pratica, viene riconosciuto che la violenza sessuale può consumarsi anche facendo leva su dipendenze materiali, ricatti affettivi, insicurezze profonde, situazioni di subordinazione lavorativa o familiare: non serve più un’aggressione nel senso tradizionale, basta approfittarsi di chi non è davvero libero di scegliere.
Questo passaggio avvicina l’Italia a un movimento più ampio che attraversa l’Europa: sempre più paesi hanno introdotto definizioni di stupro basate sull’assenza di consenso, e non solo sulla violenza fisica. Belgio, Spagna, Svezia, Danimarca, Germania, Grecia e, da poco, anche la Francia hanno scelto questa strada, spinti da campagne di associazioni e organismi internazionali che da anni chiedono leggi esplicite sul tema. Secondo Amnesty International e altri osservatori, mettere il consenso al centro è un passo decisivo per superare la “cultura dello stupro” e costruire una “cultura del consenso”, in cui la responsabilità non ricada più sulle vittime chiamate a difendersi, ma su chi ha il dovere di accertarsi che l’altra persona sia davvero d’accordo.
L’accordo tra destra e centrosinistra segue altre convergenze avvenute negli ultimi anni sul tema della violenza maschile contro le donne, spesso sotto forma di inasprimenti di pena o di introduzione di nuove fattispecie di reato, come il femminicidio. La novità di questo emendamento è che lo sforzo non si limita ad “alzare le pene”, ma prova a cambiare il presupposto giuridico da cui si parte.
Allo stesso tempo, molte giuriste e realtà femministe ricordano che il diritto penale da solo non basta, ma va accompagnato da una formazione adeguata per magistrati, forze dell’ordine, personale sanitario e da risorse per centri antiviolenza e servizi territoriali.







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