Disabilicidio, media e caregiver: la tragedia di Corleone e lo sguardo abilista
Il drammatico omicidio-suicidio di Corleone, in provincia di Palermo, ci mette di fronte all’emergenza della situazione dei caregiver e del concetto di disabilicidio.
«Giuseppina Milione, 47 anni, disabile, è stata uccisa strangolata da sua madre due giorni dopo la giornata internazionale delle persone disabili. Questo non è un “omicidio compassionevole”, come la stanno rigirando i giornali, è un crimine d’odio». Scrive così l’attivista Sofia Righetti commentando la tragedia che si è consumata a Corleone e criticando l’approccio di molti media che ancora non accettano di parlare di disabilicidio.
Eppure il tema esiste ed è anche urgente: come fa notare L’Avvenire, quello di Giuseppina non è un caso isolato: “Nel modenese, lo scorso ottobre, due omicidi-suicidi in quattro giorni, in entrambi i casi la vittima era una moglie affetta da una malattia neurodegenerativa; nel Lodigiano, a luglio, un uomo di 89 anni ha ucciso la moglie con disabilità prima di tentare il suicidio; ancora nel Modenese, ad aprile, un anziano ha ucciso la moglie malata e il figlio disabile, togliendosi poi la vita”.
Il caso di Corleone risale al 7 dicembre, quando una donna di 78 anni – rimasta da pochi mesi vedova – ha strangolato la figlia 47enne con una diagnosi di autismo, a cui recentemente si erano aggiunti problemi di deambulazione, per poi suicidarsi. “Scusatemi, ma non ce la faccio più. Chiedo perdono a tutti”, ha scritto l’autrice del disabilicidio in una lettera che ha lasciato sul luogo del delitto. Nell’analisi della tragedia, Sofia Righetti insiste sul fatto che spesso la narrazione di eventi come questo è profondamente abilista, con l’attenzione che si concentra sul “dramma dei caregiver”, arrivando a volte a giustificare i crimini commessi.
Valentina Tomirotti, autrice e attivista, denuncia la giustificazione del gesto e il tentativo di “depenalizzarlo” a livello mediatico: “Questa narrazione è fuorviante e profondamente violenta. Se c’è disabilità, allora il reato viene raccontato come comprensibile? Come se l’omicidio potesse essere attenuato dal contesto assistenziale? No. È un omicidio di una persona. Punto. Inserire la disabilità nel titolo in questo modo non informa: giustifica, edulcora, sposta la responsabilità. Trasforma la vittima in un peso e l’assassino in una figura schiacciata dalle circostanze. È una distorsione gravissima, che alimenta un immaginario pericoloso: quello per cui alcune vite valgono meno. Il carico assistenziale, il lutto, la fatica non sono attenuanti di un delitto. Raccontarlo così non è cronaca: è violenza culturale”.
Le enormi criticità che si celano dietro al disabilicidio sono platealmente aggirate anche dall’Arcivescovo di Monreale, che ha celebrato il funerale, secondo cui “il gesto di Lucia è stato inaspettato, senza segnali premonitori si è abbattuto su questa comunità. È stato inutile cercare di capirne il perché. Tutti i nostri ragionamenti e calcoli sulle difficoltà, la solitudine, lo stato d’animo, l’assistenza, il sostegno, non trovano conferme nella concreta realtà di Lucia e di Giusi”.
Sul tema sono intervenuti anche i Tetrabondi, che dal 2021 si occupano di tematiche legate alla disabilità: “Questa è la disabilità nel nostro paese”, scrive l’associazione. “Giuseppina era autistica, una donna autistica di 47 anni; Lucia, sua madre, ne aveva 78. Lei ha scelto ancora una volta per due, o ancora una volta non ha potuto scegliere. Quando parliamo di cura parliamo di questo. Spesso ci sentite parlare di segregazione e sgranate gli occhi ma eccola, eccola davanti a voi in una notizia di cronaca che sfuggirà a molti. Quando con Cura è Diritti parliamo di co-progettare progetti di vita indipendente, di costruzione di reti solidali, di cura collettiva… parliamo proprio di questo”.







Commenta l'articolo
Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi
RegistratiSei già registrato?
Accedi