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12:16 1 Agosto 2025 | Tempo lettura: 3 minuti

A Genova i portuali bloccano i container con le armi per Israele

La mobilitazione per la Palestina avviene anche nei porti del Mediterraneo. A Genova bloccati tre container con armamenti.

Autore: Redazione
genova portuali container
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«Solo con l’annuncio di uno sciopero siamo riusciti, anche grazie anche al coordinamento internazionale dei porti, a far sì che una compagnia marittima come la Cosco Pisces rinunciasse allo sbarco di tre container con dentro armamenti diretti a Israele». Ad annunciarlo con un breve video sono i componenti del Calp, il collettivo autonomo lavoratori portuali del porto di Genova, in prima fila nella lotta al traffico di armi, che ha fermato i tre container che non verranno sbarcati né a Genova né a La Spezia e rientreranno verso l’Estremo Oriente.

Al collettivo Calp si unisce anche l’Unione Sindacale di Base (Usb) che aveva proclamato 24 ore di astensione dal lavoro per il 5 agosto al terminal PSA Genova Pra’. Alla luce dei fatti, lo sciopero è stato revocato, ma sono state indette due giornate di assemblea internazionale dei portuali contro la guerra per il 26 e 27 settembre prossimo

«Dalla Grecia alla Liguria, come in precedenza con il contributo dei portuali francesi, la rete dei portuali in Europa e nel Mediterraneo ha dimostrato che fermare la logistica bellica è possibile, legittimo e necessario. Le proteste dei lavoratori, da Brescia Montichiari a Genova, continuano a spezzare la catena che alimenta massacri e conflitti anche attraverso lo strumento collettivo dello sciopero contro il carico e scarico delle armi», spiega Usb.

Le proteste procedono infatti da mesi. All’inerzia e all’indifferenza delle istituzioni nazionali e internazionali, i portuali di tutto il mediterraneo si sono organizzati per impedire le operazioni di carico e scarico di materiale bellico su navi dirette in Israele. Una prima opposizione era stata realizzata dai lavoratori del porto di Marsiglia, poi al Pireo il 16 luglio scorso, adesso a Genova. I Calp ribadiscono con forza “Non lavoreremo per la guerra“, in coerenza con i principi del manifesto “Il lavoro ripudia la guerra”, redatto dall’Usb e dal Centro Iniziativa Giuridica (Ceing) e sottoscritto da molti costituzionalisti, giuristi, avvocati e associazioni.

Il manifesto critica il piano di riarmo dell’Unione europea, l’aumento delle spese militari deciso dalla NATO, la folle corsa agli armamenti. Secondo i promotori, «oggi più che mai si pone per i lavoratori il tema della “non collaborazione” con una economia di guerra e con un sistema di relazioni internazionali fondato sulla palese violazione del diritto internazionale e umanitario. Si tratta di andare oltre il motto “non in mio nome” e proclamare con azioni concrete “non con le mie mani, non con le mie conoscenze, non con il mio lavoro”».

Le operazioni militari non rientrano tra i servizi essenziali tutelati dalla legge, secondo i portuali. Scioperare per la pace, per la sicurezza collettiva e per il rispetto dei principi costituzionali è invece un atto dovuto, non solo legittimo, per non trasformare i porti italiani in piattaforme logistiche di conflitti internazionali e fare sì che tornino invece a essere luoghi al servizio delle comunità, della vita e della solidarietà.

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