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18:10 22 Luglio 2025 | Tempo lettura: 2 minuti

Giustizia climatica: ENI può essere portata in tribunale per i danni climatici. La sentenza della Cassazione

È stata pubblicata ieri la sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito che è possibile portare le aziende inquinanti in tribunale per chiedere giustizia climatica.

Autore: Redazione
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giustizia climatica

Ieri, lunedì 21 luglio, è stata pubblicata la sentenza delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione in merito alla procedibilità in casi di giustizia climatica. È iniziato tutto nel 2023, quando Greenpeace, Re-Common e altri 12 privati cittadini e cittadine hanno intentato una causa civile nei confronti di ENI, Cassa Depositi e Prestiti e Ministero delle Finanze per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni.

I tre convenuti avevano contestato “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, sostenendo di fatto che in Italia fosse impossibile fare causa per un caso di giustizia climatica. Ma la Cassazione, a cui Greenpeace e Re-Common avevano fatto ricorso, ha stabilito il contrario. «Questa sentenza storica dice chiaramente che anche in Italia si può avere giustizia climatica», commentano gli attori. «Nessuno, nemmeno un colosso come ENI, può più sottrarsi alle proprie responsabilità. I giudici potranno finalmente esaminare il merito della nostra causa: chi inquina e contribuisce alla crisi climatica deve rispondere delle proprie azioni».

Questa sentenza allinea l’Italia ai paesi in cui c’è più attenzione per la giustizia climatica e lo fa superando i confini nazionali poiché, come fa notare la stessa Greenpeace, «la Cassazione ha chiarito che i giudici italiani sono competenti anche in relazione alle emissioni climalteranti emesse dalle società di ENI presenti in Stati esteri, sia perché i danni sono stati provocati in Italia, sia perché le decisioni strategiche sono state assunte dalla società capogruppo che ha sede in Italia».

D’ora in poi dunque le cause climatiche saranno ammissibili e i tribunali italiani saranno chiamati a entrare nel merito, anche in termini di condanna delle aziende che producono combustibili fossili. La sentenza della Cassazione infatti ha ribadito che un contenzioso climatico come quello portato avanti da Greenpeace e Re-Common non è affatto un’invasione nelle competenze politiche del legislatore o delle aziende, quali ENI.

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