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9:42 4 Settembre 2025 | Tempo lettura: 3 minuti

L’iceberg più grande del mondo si sta frantumando, dopo 40 anni

Il colosso A23a, staccatosi nel 1986 dall’Antartide, si sta sgretolando. Un evento normale e atteso, ma che offre importanti spunti di riflessione.

Autore: Redazione
iceberg

A23a, l’iceberg più grande attualmente in circolazione – e uno dei più antichi mai osservati – si sta disintegrando. Dopo quasi 40 anni in mare, e un’estensione iniziale pari a più del doppio di Londra, il colosso si sta sgretolando sotto l’azione combinata di onde e temperature oceaniche in aumento. Oggi misura meno della metà della sua estensione originaria, e secondo gli scienziati del British Antarctic Survey potrebbe scomparire del tutto nel giro di poche settimane.

Questo fenomeno, pur essendo parte di un processo naturale di distacco e scioglimento dei ghiacci antartici, appare oggi accelerato da fattori legati al cambiamento climatico. L’iceberg si è formato nel 1986, rimanendo incagliato per oltre trent’anni nel Mare di Weddell. Solo nel 2020 ha ripreso a muoversi, spinto verso nord dalla corrente circumpolare antartica, seguendo la rotta nota come “iceberg alley”. Durante il tragitto, si è avvicinato all’isola di South Georgia, suscitando timori per l’impatto sugli ecosistemi locali, come le colonie di pinguini e foche. Ma si è poi spostato, continuando il suo viaggio verso acque più calde.

Andrew Meijers, oceanografo fisico del British Antarctic Survey, ha detto al Guardian che il gigante di ghiaccio si sta “disgregando molto rapidamente” e non sarà più riconoscibile “nel giro di poche settimane”. Le immagini satellitari di Copernicus, il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea, confermano una dissoluzione accelerata man mano che l’iceberg avanza verso acque più calde e mosse.

A colpire è non solo la dimensione del fenomeno, ma anche la sua eccezionalità: pochi iceberg sopravvivono così a lungo o percorrono distanze tanto grandi. Il fatto che A23a abbia resistito per decenni, per poi soccombere in pochi mesi, mostra quanto sia fragile l’equilibrio di questi giganti di ghiaccio una volta lasciata la protezione del continente antartico.

Il distacco degli iceberg è un processo naturale, parte del ciclo vitale delle calotte glaciali. Tuttavia, la frequenza e la dimensione di questi eventi stanno aumentando. La comunità scientifica è concorde nel ritenere che i cambiamenti climatici di origine antropica abbiano un ruolo sempre più determinante in questa accelerazione. Il riscaldamento globale contribuisce allo scioglimento delle piattaforme di ghiaccio, alterando l’equilibrio che per millenni ha governato l’ambiente antartico.

Via visa che il clima e le acque si fanno più caldi, e con l’avvicinarsi del nuovo appuntamento con l’annuale conferenza sul clima, che quest’anno si terrà a Belem, in Brasile, è importante accelerare sulle strategie di mitigazione – come la riduzione delle emissioni, il passaggio alle energie rinnovabili, la riforestazione – e sugli interventi di adattamento, capaci di preparare territori e comunità agli impatti già in corso: dalla gestione delle risorse idriche alla protezione delle coste, fino a nuovi modelli agricoli resilienti.

In molte parti del mondo, queste pratiche esistono già, spesso sperimentate dal basso, da amministrazioni locali o movimenti sociali. Dare loro visibilità e sostegno è parte di una narrazione costruttiva che può trasformare l’allarme in azione consapevole.

Da decenni, il dibattito pubblico su crisi ecologica e riscaldamento globale è dominato da toni catastrofici, immagini apocalittiche, linguaggi da fine del mondo. Eppure, come ricordano diversi studi, questo tipo di comunicazione – se non accompagnato da visioni, soluzioni e alternative – rischia di paralizzare più che mobilitare. La psicologia ambientale parla di “eco-ansia”, una reazione diffusa tra le persone esposte costantemente a notizie che mostrano solo scenari di collasso.

Accanto agli allarmi, crescono anche le azioni. Sempre più comunità, istituzioni e movimenti stanno cercando di ridurre le emissioni, ripensare i modelli economici, tutelare gli ecosistemi.

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