Agli Oscar Israele sarà rappresentato da un film pro Palestina
Il film The Sea racconta il viaggio di un bambino palestinese verso il mare. Ha vinto un importante premio in Israele e quindi sarà automaticamente candidato agli Oscar.
Israele parteciperà agli Oscar 2025, nella categoria Miglior Film Internazionale, con un film apertamente filopalestinese. Si tratta di The sea, diretto da Shai Carmeli‑Pollak. Il film infatti ha ottenuto il riconoscimento come miglior film agli Ophir Awards, il più importante premio cinematografico israeliano, che determina la candidatura ufficiale del Paese all’Academy. La candidatura sta sollevando polemiche e malumori nel governo e in parte dell’opinione pubblica ed è sintomo di una profonda spaccatura nella società israeliana.
Ambientato in Cisgiordania, racconta la storia di Khaled, un bambino palestinese di 12 anni che sogna di vedere il mare per la prima volta nella sua vita. Quando un checkpoint militare israeliano gli impedisce di partecipare a una gita scolastica a Tel Aviv, il ragazzo decide di partire da solo, affrontando un viaggio carico di ostacoli. Il padre, operaio senza permesso in Israele, mette a rischio la propria libertà per cercarlo.
Il film è girato in arabo, con alcune parti in ebraico, e interpretato da un cast misto israelo-palestinese. Con 13 candidature agli Ophir, The Sea ha raccolto premi anche per la regia, la sceneggiatura e la fotografia, guadagnandosi un posto di rilievo nel panorama cinematografico israeliano contemporaneo.
La scelta, tuttavia, non è stata priva di conseguenze. Il ministro della Cultura Miki Zohar ha accusato il film di essere “pro-palestinese” e di offendere i soldati israeliani. Ha annunciato l’intenzione di tagliare i finanziamenti pubblici agli Ophir Awards, ritenendo inaccettabile che fondi statali vengano utilizzati per premiare un’opera che, secondo lui, delegittima l’operato dell’esercito.
Alcuni attori, come Khalifa Natour, hanno rifiutato di partecipare alla cerimonia in segno di protesta per il genocidio in corso a Gaza. Allo stesso tempo, l’Accademia israeliana del cinema ha difeso la libertà artistica e la qualità dell’opera, sottolineando che la selezione è avvenuta secondo criteri cinematografici e non politici.
Agli Oscar, ogni Paese può presentare un solo film per la categoria Miglior Film Internazionale, che deve essere in prevalenza in lingua non inglese e distribuito nel paese d’origine per almeno una settimana. La selezione è affidata a un organismo nazionale, come nel caso di Israele dove il vincitore degli Ophir Awards diventa automaticamente il candidato ufficiale. Una volta raccolti tutti i film, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences seleziona una shortlist e poi i cinque finalisti. Questo meccanismo, pensato per valorizzare il cinema mondiale, è spesso oggetto di dibattito culturale e politico, specie quando la scelta riflette tensioni interne, come accaduto con The Sea.
Il film, al di là delle polemiche, porta all’attenzione internazionale una storia semplice ma potente, che parla di sogni negati, barriere invisibili e resistenza quotidiana. La decisione di Israele di candidarlo rappresenta, allo stesso tempo, un’apertura narrativa e un cortocircuito politico. In un momento segnato da conflitti e chiusure, The Sea si inserisce come esempio di come l’arte possa restituire complessità, umanità e punti di vista divergenti. Resta da vedere quale sarà l’accoglienza da parte dell’Academy e del pubblico mondiale. Intanto, il dibattito che il film ha innescato può rappresentare un’occasione per riflettere sul ruolo della cultura come spazio di dialogo, anche – e soprattutto – quando fa emergere ferite ancora aperte.







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