Polo petrolchimico: per la transizione a Priolo Eni punta su “bioraffineria” e riciclo
Eni ha avviato la VIA per trasformare il polo petrolchimico di Priolo in una biorefinery da 500.000 tonnellate l’anno e un impianto di riciclo plastico, ma non mancano i dubbi.
Eni ha ufficializzato l’avvio delle procedure per ottenere l’autorizzazione ambientale per il nuovo progetto industriale a Priolo Gargallo, in Sicilia, nel cuore di quello che è conosciuto come polo petrolchimico siracusano, uno dei più estesi e controversi d’Italia.
Il piano prevede la costruzione di una biorefinery integrata (o bioraffineria, ovvero un impianto industriale che utilizza biomasse per produrre energia o carburanti) e di un impianto di riciclo chimico delle plastiche. Entro la fine del 2028, la struttura dovrebbe produrre fino a 500.000 tonnellate l’anno di carburanti ottenuti da rifiuti vegetali, oli esausti, grassi animali e plastiche miste non riciclabili meccanicamente. L’investimento stimato è di 2 miliardi di euro in cinque anni.
Il sito scelto da Eni si inserisce in un contesto industriale tra i più complessi del Paese. Il polo Augusta‑Priolo‑Melilli, nato negli anni ’50 come simbolo della modernizzazione industriale del Sud, ha ospitato per decenni raffinerie, impianti chimici, depositi di carburanti e centrali elettriche. Le conseguenze ambientali e sanitarie sono ben documentate: falde contaminate, terreni inquinati da metalli pesanti e idrocarburi, emissioni nocive e una lunga storia di incidenti industriali e conflittualità con il territorio.
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Leggi il nostro Focus sul Polo petrolchimico di Siracusa.
Oggi, il progetto di riconversione proposto da Eni si presenta come una possibile svolta. Ma è davvero così? L’intenzione di ridurre l’impatto ambientale della produzione energetica è positiva. Tuttavia, è necessario interrogarsi sulla sostenibilità effettiva dei biocarburanti, soprattutto quando impiegati come sostituti per la mobilità convenzionale.
Molti studi indipendenti segnalano come i biocarburanti avanzati, pur teoricamente meno impattanti di quelli tradizionali, presentino criticità non trascurabili. La loro produzione implica comunque uso di energia, trasporti, impianti industriali e — se spinta oltre certe soglie — può innescare dinamiche distorsive, come la competizione con la produzione alimentare, la conversione di suoli naturali o agricoli marginali e un bilancio di emissioni ambiguo, quando si considera l’intero ciclo di vita.
Nel caso specifico di Priolo, la materia prima dichiarata è costituita da scarti vegetali e grassi animali. Ma la quantità realmente disponibile di questi residui, in Sicilia e nel Sud Italia, resta da verificare. Inoltre, i benefici ambientali di questi combustibili dipendono fortemente dall’efficienza del processo industriale e dalla gestione della logistica.
Soprattutto, i biocarburanti non rappresentano una soluzione strutturale al problema climatico dei trasporti: possono forse accompagnare la transizione nei settori difficilmente elettrificabili (come l’aviazione o il trasporto pesante), ma applicati all’automobile rischiano di ritardare le scelte più urgenti: elettrificazione, riduzione dei consumi, mobilità pubblica, modelli di trasporto più razionali.
Anche sul fronte del riciclo, il progetto Eni punta su tecnologie innovative come il riciclo chimico (pirolisi), promesse come soluzioni per plastiche non trattabili meccanicamente. Tuttavia, diversi studi e osservatori indipendenti evidenziano come il sistema del riciclo, in Italia e in Europa, sia in forte crisi strutturale: i tassi reali di riciclo restano bassi, gran parte delle plastiche raccolte vengono incenerite o esportate, e la pirolisi richiede temperature elevate e alti consumi energetici, spesso senza garantire prodotti di qualità riutilizzabile.
Inoltre, la promozione del riciclo chimico rischia di distrarre dalla vera urgenza: ridurre la produzione a monte, ripensare design e materiali, incentivare sistemi riutilizzabili. Senza una governance rigorosa e trasparente, il riciclo chimico può diventare un alibi tecnologico che legittima la sovrapproduzione di plastica, anziché affrontarne le radici.
Insomma, il progetto Eni a Priolo si presenta come un esempio virtuoso di transizione post-industriale, e probabilmente presenta degli aspetti migliorativi rispetto alla situazione di partenza: riconversione di un sito inquinato, valorizzazione di scarti, riduzione delle emissioni.
Ma è una transizione dal respiro corto: una vera transizione non può basarsi su combustibili alternativi e dovrebbe presto superare l’idea del riciclo della plastica.







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