Salici al posto del cemento: negli Usa le rive del fiume Ohio vengono stabilizzate con le radici degli alberi
In Ohio si usano talee vive di salice per ridurre l’erosione delle rive. Tecnica di bioingegneria fluviale già presente in Europa e applicabile anche in Italia, con cautele.
In Ohio (Stati Uniti), nel bacino dell’Ohio River, gruppi di conservazione e aziende agricole specializzate stanno adottando una tecnica di live staking: migliaia di talee di salice vengono inserite nelle sponde, a intervalli regolari, per farle radicare e trasformarle in una rete vegetale capace di consolidare il terreno.
Un lungo reportage sul magazine di solution journalism Reasons to be Cheerful racconta come le radici così inserite servano sia a contenere l’erosione che ad aumentare la resilienza delle rive rispetto a portate variabili e piene, riducendo la dipendenza da soluzioni più impattanti come massi, pietrame o colate di cemento.
Questa tecnica viene descritta come più economica e adattabile rispetto alle soluzioni tradizionali. Una volta attecchite, le radici migliorano la coesione del suolo e la vegetazione offre benefici collaterali, tra cui ombreggiamento, habitat, filtrazione di nutrienti nell’acqua; al tempo stesso, gli operatori coinvolti sottolineano che non è una soluzione universale perché richiede tempo di attecchimento e può fallire in condizioni idrauliche sfavorevoli.
Nel progetto statunitense, le specie di salice utilizzate crescono rapidamente in condizioni riparie e sono facili da propagare, qualità che rendono questa pratica interessante per i tecnici ambientali e i conservazionisti. L’esperienza comprende l’impiego di salici neri e di salici fluviali in diversi affluenti della regione e la partecipazione di volontari e enti locali nella raccolta e nell’installazione di talee di salice
Questa tecnica non è un unicum statunitense. Nel Regno Unito è documentata e praticata da decenni una soluzione affine, la willow spiling, che intreccia aste di salice tra pali vivi per proteggere la sponda: una rassegna di progetti britannici riporta chilometri di rive trattate e indica che i risultati dipendono molto dalla corretta valutazione del sito e delle condizioni idrauliche. Anche iniziative locali e programmi pubblici di gestione spondale citano la willow spiling tra gli interventi “verdi” finanziabili, accanto ad altre misure di ripristino.
In Italia, l’impiego di vegetazione viva (inclusi i salici) è già parte del lessico tecnico dell’ingegneria naturalistica per la difesa spondale e la riqualificazione fluviale: manuali e linee guida regionali descrivono opere come palificate vive e strutture con talee, riportando anche esempi fotografici di sviluppo nel tempo. Documenti di settore e materiali formativi richiamano inoltre la necessità di dimensionamento, scelta delle specie, tempi di attecchimento e integrazione con la dinamica fluviale.
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In Italia una tecnica simile è presente nelle Linee guida alla progettazione degli interventi naturalistici di AIPIN Marche.
L’esperimento dell’Ohio è quindi potenzialmente riproducibile anche in Italia laddove servano interventi leggeri e diffusi, con disponibilità di materiale vegetale locale, cantieri a basso impatto e obiettivi anche ecologici, ma richiede verifiche caso per caso su velocità di corrente, rischio di sradicamento in piena, gestione della vegetazione e compatibilità con vincoli idraulici e manutentivi.






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