Il tifone Ragasa sta causando decine di vittime fra Taiwan e Filippine, mentre la Cina si prepara
Dopo aver causato almeno 24 morti tra Taiwan e Filippine, il super tifone Ragasa si dirige verso la Cina meridionale. Intanto il mondo si prepara alla COP30 sul cambiamento climatico.
Il super tifone Ragasa, il ciclone tropicale più potente del 2025, ha attraversato l’Asia orientale lasciando dietro di sé una lunga scia di devastazione. Dopo aver colpito duramente il nord delle Filippine, ha investito Taiwan con piogge torrenziali e frane che hanno provocato la morte di almeno 14 persone e la scomparsa di altre 124. La tempesta ha poi proseguito verso la Cina, dove quasi due milioni di persone sono state evacuate in via precauzionale.
Le immagini che arrivano da Hualien, a Taiwan, mostrano auto rovesciate, strade allagate, barriere naturali cedute. A preoccupare in modo particolare è stata la rottura di un lago di sbarramento montano, che ha causato una piena improvvisa e travolgente. Il premier taiwanese Cho Jung-tai ha richiesto un’inchiesta per chiarire le eventuali responsabilità nelle procedure di evacuazione. Ma nel frattempo, la priorità resta ritrovare i dispersi.
Nelle Filippine, Ragasa ha causato almeno 10 vittime, tra cui sette pescatori travolti da onde alte e venti impetuosi al largo della provincia di Cagayan. Oltre 700.000 persone sono state colpite direttamente dal tifone, con migliaia costrette a rifugiarsi in centri di emergenza.
In Cina, l’impatto diretto del tifone è previsto tra le città di Yangjiang e Zhanjiang. Le autorità hanno chiuso scuole, fabbriche, aeroporti e trasporti pubblici in almeno dieci città della provincia di Guangdong, una delle più densamente popolate e industrializzate del paese. Hong Kong ha sospeso tutti i voli per oltre 36 ore e ha evacuato centinaia di persone in centri di accoglienza. I venti, che hanno toccato i 195 km/h, hanno fatto temere conseguenze simili a quelle del tifone Mangkhut del 2018, che causò perdite economiche stimate in quasi 600 milioni di dollari.
Eventi come Ragasa non sono nuovi nella regione, ma è sempre più difficile non collegarli al riscaldamento globale. La comunità scientifica invita alla cautela attraverso la cosiddetta “scienza dell’attribuzione”, che studia quanto il cambiamento climatico influenzi la probabilità e l’intensità di singoli eventi estremi. Tuttavia, è ormai ampiamente riconosciuto che l’aumento delle temperature globali contribuisce a rendere i cicloni tropicali più intensi, rapidi e distruttivi, con impatti crescenti su territori densamente popolati.
La devastazione lasciata da Ragasa riporta sotto i riflettori la necessità di un cambiamento radicale nel rapporto tra società umana ed ecosistemi. Non si tratta solo di emergenze da gestire, ma di sistemi da ripensare: dalle infrastrutture urbane alle reti di allerta precoce, dalla protezione delle comunità vulnerabili alla riduzione delle emissioni climalteranti.
Non a caso, il mondo si avvicina alla COP30, che si terrà nel 2025 a Belém, in Brasile, con uno sguardo puntato sulle grandi sfide del presente. Le catastrofi naturali come quella di questi giorni rendono evidente l’urgenza di un’azione politica e sociale coordinata. Ma oltre alle negoziazioni tra stati, si fa strada anche una riflessione culturale: come possiamo rafforzare la resilienza delle nostre comunità? Quali strumenti di prevenzione e adattamento possiamo attivare, oggi, localmente?
In alcuni territori, esperienze innovative stanno già emergendo. In Cina, dopo le alluvioni del 2021, molte città hanno iniziato a sviluppare le cosiddette “sponge cities”, aree urbane progettate per assorbire e riutilizzare le acque piovane. A Taiwan, il governo ha investito in sensori ambientali e piani di evacuazione più rapidi. Ma questi interventi restano frammentari e, spesso, non arrivano a coprire le aree più esposte o socialmente marginalizzate.







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