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12:42 10 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 3 minuti

Bistecche, hamburger e salsicce vegetali addio? L’Ue vuole vietare questi nomi per prodotti vegetali

Il Parlamento europeo propone di vietare termini come “hamburger vegetale” o “salsiccia di soia”. LAV denuncia un favore alla lobby della carne. Ma i le persone continuano a scegliere il plant-based.

Autore: Redazione
ue contro carne plant based

Una proposta votata a larga maggioranza dal Parlamento europeo rischia di cambiare il modo in cui i prodotti vegetali vengono presentati sugli scaffali. L’obiettivo dichiarato è quello di vietare l’uso di termini tipici della carne, come “bistecca”, “hamburger”, “salsiccia”, quando riferiti a preparati a base vegetale, come tofu, legumi o soia. Una misura che ha immediatamente suscitato reazioni critiche, in particolare da parte della LAV (Lega Anti Vivisezione), che parla di un nuovo attacco al mondo plant-based.

La proposta, che ha ottenuto 532 voti a favore, 78 contrari e 25 astenuti, non è ancora legge ma rappresenta il mandato con cui il Parlamento si presenterà ai negoziati con Commissione e Consiglio. Il divieto fa parte di un più ampio pacchetto legislativo sull’etichettatura e la trasparenza alimentare, ma secondo LAV rischia di avere l’effetto opposto: limitare la comprensibilità dei prodotti per i consumatori e favorire gli interessi di una parte della filiera alimentare a discapito di un’altra.

Nel mirino dell’associazione animalista ci sono quelli che definisce “i diktat della lobby zootecnica”, che da anni chiede protezioni per i propri prodotti contro la concorrenza emergente delle alternative vegetali. LAV parla apertamente di “interessi degli allevatori soddisfatti” mentre “gli agricoltori, che producono materie prime vegetali, sono considerati di serie B”. Il problema, secondo l’associazione, non è solo commerciale ma anche culturale: ostacolare chi sceglie di ridurre il consumo di carne in nome dell’ambiente o del benessere animale.

La proposta non arriva in un vuoto normativo. In Francia, ad esempio, un divieto simile è già stato annullato dalla Corte di Giustizia europea, che ha ricordato come la legislazione UE in materia di etichettatura tuteli anche la libertà di espressione commerciale. LAV e altre organizzazioni fanno notare che i consumatori non sembrano affatto confusi dall’uso di termini “meat-sounding” come “burger vegetale”: anzi, questi aiutano a identificare la funzione culinaria del prodotto, più che la sua composizione.

Il dibattito tocca anche una dimensione ambientale importante. Negli ultimi anni le alternative vegetali alla carne hanno conosciuto una crescita sostenuta, trainata da una maggiore consapevolezza climatica, sanitaria ed etica. Molte persone le scelgono proprio per contribuire a un sistema alimentare più sostenibile. In questo contesto, il linguaggio sulle etichette diventa anche uno strumento di transizione ecologica.

Tuttavia, il timore è che il divieto possa disincentivare produttori e distributori dal puntare sul plant-based. Costringerli a inventare nuovi nomi — neutri o vaghi — potrebbe rallentare l’adozione su larga scala e generare confusione anziché chiarezza. Già oggi alcuni marchi usano termini come “dischetto vegetale” o “preparato proteico”, ma spesso il consumatore fatica a riconoscerne la funzione d’uso.

Se approvata, la norma obbligherebbe un cambiamento massiccio nel packaging, nel marketing e nella comunicazione di centinaia di prodotti, con costi non banali per le aziende e possibili effetti distorsivi sul mercato. In una fase storica in cui l’UE promuove, almeno formalmente, l’agroecologia e i sistemi alimentari resilienti, la proposta sembra andare in direzione opposta.

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