Un report mostra gli importanti benefici dell’abitare sociale di qualità
Un recente studio condotto da Shelter e IKEA nel Regno Unito dimostra che una casa dignitosa può migliorare radicalmente salute, relazioni e stabilità economica. E i vantaggi si estendono all’intera società.
Cosa succede quando una famiglia ottiene l’accesso a un’abitazione popolare di qualità? A questa domanda ha provato a rispondere un recente rapporto condotto da Shelter, in collaborazione con IKEA, nel Regno Unito. I risultati sono sorprendenti e pongono con forza la questione dell’abitare al centro del dibattito pubblico, anche al di fuori del contesto britannico.
La ricerca ha monitorato gli effetti dell’ingresso in una casa popolare su un gruppo di famiglie. Dopo appena tre mesi, il 61% degli inquilini ha dichiarato un miglioramento significativo della salute mentale, il 51% ha ridotto o azzerato i debiti, l’83% ha avuto finalmente accesso a spazi verdi, e il 75% ha potuto dedicare più tempo ai propri figli.
Numeri che, pur riferendosi a un’esperienza nazionale specifica, fanno riflettere anche in chiave europea. Parlano di benefici concreti e multidimensionali, che toccano aspetti fondamentali della vita quotidiana. Una casa stabile, accessibile e dignitosa diventa un fattore di benessere complessivo, capace di ridurre lo stress, migliorare le relazioni familiari, restituire tempo e risorse.
Lucio Massardo, esperto di housing sociale e co-fondatore di MeWe – abitare collaborativo, commenta: «Il rapporto Shelter–IKEA ci mostra che la casa è molto più di un rifugio. È un elemento strutturale della nostra salute, delle nostre relazioni e della nostra autonomia economica. Ha un impatto profondo sul benessere psicologico, riduce l’indebitamento, favorisce la coesione sociale e migliora la qualità della vita dei bambini, che possono contare su spazi adeguati e continuità abitativa».
Ma i benefici non si fermano al singolo individuo o nucleo familiare. Il rapporto evidenzia anche il potenziale di risparmio per la collettività: una buona edilizia sociale riduce i costi sanitari, quelli legati all’assistenza e al welfare. In altre parole, investire nell’abitare conviene a tutti.
Secondo Massardo, l’abitare collaborativo può amplificare ulteriormente questi effetti: «Spazi condivisi e relazioni comunitarie intenzionali generano un impatto sociale positivo e misurabile. La casa può diventare una piattaforma per affrontare la vita con più forza e speranza. Deve essere stabile nel tempo, accessibile nei costi e capace di rompere la solitudine».
Il rapporto propone anche obiettivi ambiziosi: nel solo Regno Unito, si suggerisce la costruzione di 90mila nuove case popolari ogni anno. Una prospettiva che apre però un nodo critico, soprattutto in relazione alla crisi climatica e ambientale. In un’epoca in cui la tutela del suolo, la riduzione delle emissioni e il riuso dell’esistente sono priorità ambientali irrinunciabili, è lecito chiedersi se sia davvero sostenibile puntare su nuove costruzioni.
Ecco perché diventa urgente ripensare l’edilizia pubblica anche in chiave ecologica. Recuperare edifici esistenti, ristrutturare il patrimonio immobiliare abbandonato, valorizzare soluzioni di co-abitazione e mutualismo abitativo sono direzioni promettenti. Una recente Iniziativa dei cittadini europei (ICE), ha chiesto nuove leggi per incentivare la ristrutturazione e ridurre le demolizioni.
Al netto delle criticità, il messaggio del rapporto è chiaro: una buona casa può cambiare tutto. È tempo di considerare l’abitare non solo come un diritto, ma come una leva strategica per il benessere collettivo. E, soprattutto, come uno strumento concreto per costruire futuro.







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