La Vuelta si ferma per la Palestina: le proteste bloccano l’ultima tappa, non ci sarà premiazione
La 21ª tappa della corsa ciclistica a tappe si è interrotta definitivamente a causa di una manifestazione pro-Palestina. La Vuelta finisce tra proteste e domande aperte.
La 21ª e ultima tappa della Vuelta a España 2025 non si è conclusa. A Madrid, a circa 60 chilometri dall’arrivo, centinaia di manifestanti hanno invaso le strade, bloccando il passaggio del gruppo e costringendo gli organizzatori a sospendere definitivamente la corsa. I ciclisti, dopo una lunga attesa, sono scesi dalle biciclette. Non ci sarà un vincitore di tappa. Jonas Vingegaard viene confermato come vincitore finale della classifica generale, ma salta anche la premiazione ufficiale.
Una chiusura senza cerimonie e senza brindisi. A rimanere impresse non saranno le immagini del podio, ma quelle di una protesta collettiva che ha imposto la propria presenza in un evento sportivo seguito da milioni di persone in tutto il mondo.
Non è la prima volta che la Vuelta viene attraversata da proteste legate al conflitto israelo-palestinese. Durante le settimane precedenti, alcune tappe sono state teatro di contestazioni dirette contro il team Israel‑Premier Tech, tanto che la squadra ha annunciato l’intenzione di cambiare nome dal 2026 per evitare ulteriori tensioni.
Le proteste attorno alla squadra di ciclismo israeliana non sono nuove: alcune voci critiche parlano proprio di “sportwashing”: l’uso dello sport come strumento per migliorare l’immagine internazionale di uno Stato, distogliendo l’attenzione da controversie politiche o sui diritti umani. Il fatto che il nome “Israel” sia parte integrante del nome della squadra (e che venga messo nei maillot, negli equipaggiamenti, nelle comunicazioni) rende l’identificazione con lo Stato esplicita, il che accentua la percezione che non sia solo sport, ma anche un progetto di visibilità internazionale.
Una volta arrivata la notizia che l’ultima tappa della Vuelta era stata definitivamente sospesa dai manifestanti sono arrivati molti applausi. Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha elogiato la mobilitazione, parlando di “cause giuste” e rivendicando il diritto alla protesta. Non tutti hanno condiviso questa posizione, e l’opposizione ha criticato l’apparente tolleranza verso l’interruzione di un evento internazionale. Sullo sfondo, resta la tensione tra ordine e disobbedienza civile, tra spettacolo e attivismo, tra sport e politica.
Nel frattempo, l’Unione Ciclistica Internazionale ha espresso preoccupazione per l’uso delle competizioni sportive come strumenti di pressione politica. Ma resta il fatto che la protesta è riuscita nel suo intento: attirare attenzione, fermare il flusso regolare delle cose, costringere a guardare altrove.







Commenta l'articolo
Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi
RegistratiSei già registrato?
Accedi