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9 Dicembre 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Lupi in pericolo… e se la soluzione arrivasse dall’India? – 9/12/2025

Dal declassamento del lupo in Italia alla protezione del leopardo delle nevi in India, passando per l’ampliamento della fabbrica di armi RWM in Sardegna e lo stallo sul trattato globale sulla plastica.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Questo episodio é disponibile anche su Youtube

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Trascrizione episodio

Giovedì la Camera dei Deputati ha approvato il recepimento della direttiva europea sul declassamento del lupo da specie “rigorosamente protetta” a semplicemente “protetta”. Un cambiamento che potrebbe aprire la strada a interventi più frequenti di contenimento, compresi gli abbattimenti.

Adesso la palla passa al Senato, dopodiché, se come probabile verrà approvata, il governo potrà tradurre la direttiva in decreti legislativi. A differenza di altre normative europee, in questo caso il Parlamento non obbliga gli stati a declassare lo status di protezione del lupo, semplicemente smette di imporre la massima tutela. Il nostro governo però sembra fortemente intenzionato ad andare verso una minore tutela. Da mesi i lupi sono al centro di una campagna mediatica di allarmismo. 

Leggo sul blog di Michele Versace sul Fatto Quotidiano: “Da alcuni mesi, da quando la Ue ha declassato il lupo come specie protetta, rendendolo di fatto suscettibile di abbattimenti pretestuosi, nel nostro paese sono apparsi via via, sempre in numero crescente, articoli allarmanti sulla presenza dei lupi nei boschi, nelle campagne e nei centri urbani.

Persone aggredite (non è mai stato dimostrato), armenti sbranati (cosa ci sarebbe di strano?) e perfino cani (lasciati fuori casa) catturati dal predatore. Ai giornali, poi si sono sommati anche i servizi della tv, sia pubblica che privata, a soffiare sul fuoco di una paura irrazionale e immotivata.

Questi avvistamenti e i presunti attacchi si sarebbero perpetrati sempre nelle regioni centrosettentrionali, dove la gente non vedeva lupi da quasi un secolo, e perciò non c’è da stupirsi di questa isteria, seppur pilotata, al limite del reato di provocato allarme”. Questa analisi va di paripasso con i dati presentati nei giorni scorsi dall’organizzazione “Io non ho paura del lupo”, che mostrano un grande incremento dei casi di mortalità, di cui un 60% è determinato indirettamnte dalle attività umane e poi ci sarebbe un 12 frutto del bracconaggio.

Ora, i dati sono presentati in maniera un po’ poco significativa secondo me, perché l’aumento delle morti è presentato come dato assoluto e non messo in relazione con l’aumento della popolazione. Ho provato a mettere assieme i due dati, non vi sto a fare tutti i calcoli, ma quello che emerge è che il lupo fin qui sta continuando a crescere, ma che i tassi di mortalità sono piuttosto alti se paragonati al numero di lupi esistenti. 

In più, in tutto ciò, è uscito un recente studio sempre sulla popolazione di lupi citato da Il Dolomiti che mostra che circa un terzo dell’attuale popolazione del lupo è ibridata col cane e che la maggior parte di queste ibridazioni sono recenti, di questi anni. E questo apre a ulteriori domande, sia sulla conservazione della specie, sia anche su eventuali misure di abbattimenti.

Ecco, questa è la situazione di partenza in Italia. Io in realtà vi voglio raccontare oggi un’altra storia. Che arriva dall’India e ha a che fare con il leopardo delle nevi.

Il leopardo delle nevi è uno degli animali più elusivi del pianeta, lo chiamano “Fantasma delle montagne”, vive tra rocce e crepacci sopra i 3.000 metri, si mimetizza nella neve, si sposta su dirupi dove anche i droni faticano. È classificato “vulnerabile” dalla IUCN e in India gode del massimo livello di protezione legale.

Eppure, in quei pochi territori che ancora abita, la sua convivenza con gli umani non è semplicissima. Perché preda il bestiame e quindi storicamente non è benvisto da molti pastori. Eppure, in un pezzetto di Himalaya indiano – lo stato del Sikkim – c’è stato un esperimento molto interessante. Leggo da un articolo su The Better India che nel 2025 il governo statale e il WWF India hanno presentato il primo censimento dei leopardi delle nevi in Sikkim dando inizio a quello che si è trasformato uno dei casi di convivenza più promettenti del mondo himalayano.

In pratica nel censimento sono stati coinvolti decine di abitanti – giovani, donne, pastori – formati come volontari a usare GPS, app su smartphone, fototrappole; che hanno raccolto dati su tracce, feci, graffi, odori, presenza delle prede (yak, blue sheep, bharal).

In parallelo, il programma ha lavorato molto a livello culturale e di prevenzione dei danni con i pastori. Leggo:

Cosa succede quando un pastore perde i suoi yak o le sue mucche a causa di un attacco da parte di un leopardo delle nevi? Significa che la principale fonte di sostentamento economico della famiglia viene tagliata fuori. Gli ambientalisti stimano che ogni anno circa il 55% degli abbattimenti di leopardi delle nevi avvenga come ritorsione per attacchi al bestiame.

È qui che entra in gioco il WWF-India, che lavora con le comunità pastorali locali per mettere in atto interventi a supporto delle famiglie di allevatori. Uno di questi interventi consiste nel fornire recinzioni a maglie metalliche per rinforzare i recinti tradizionali.

I recinti tradizionali, infatti, sono fatti di rocce e pietre grosse. Quando gli yak litigano fra loro, c’è il rischio che i muri dei recinti vengano danneggiati. Così gli yak si allontanano verso il confine del Nord Sikkim, dove ci sono molte mine. Lì si feriscono, diventando facili prede per i leopardi delle nevi e per i cani randagi. Rinforzare i recinti aiuta a tenere gli yak al sicuro.

Oltre a questo, WWF offre accompagnamento alle famiglie che hanno perso parte del loro bestiame e organizza discussioni pubbliche su quando e come portare al pascolo il bestiame nelle zone più a rischio. Inoltre forma i pastori sulla riduzione dei rifiuti, su come gestire forme di micro-ospitalità in famiglia, e sul potenziamento delle competenze delle guide turistiche specializzate in fauna selvatica e birdwatching. 

L’obiettivo è creare paesaggi naturali e sociali in cui leopardi delle nevi e comunità umane possano convivere senza paura. In cui la natura selvatica sia vista come un bene da preservare, e quindi con cui imparare a convivere e non qualcosa da temere e da cui rifuggire. Oggi la convivenza resta complessa, ma il leopardo delle nevi è diventato un simbolo identitario per le persone del luogo, motivo di orgoglio, leva per un turismo più rispettoso. Al punto che A Lachen una grande statua di leopardo delle nevi accoglie i visitatori, con sotto una targa che recita “Welcome to the home of the Saagey – pride of Lachen”. 

Ovviamente il contesto del Sikkim è lontano anni luce dal nostro, ma credo che il processo di fondo sia abbastanza esportabile. Ovvero, coinvolgere direttamente le persone nella ricerca di una narrazione diversa, in cui la convivenza fra umano e sevatico non sia narrata nell’ottica della guerra ma nell’ottica dell’orgoglio, della convivenza, dell’identità. Tanto lo sappiamo che è quasi sempre una questione di narrazioni.

Si è parlato molto sui giornali del Dipartimento di Stato Usa che ha approvato “una possibile vendita al governo italiano” di missili ad ampio raggio e relative attrezzature “per un costo stimato di 301 milioni di dollari”. 

Tuttavia sabato è successo un fatto passato molto più in sordina, ma dalle conseguenze potenzialmente anche maggiori sul fronte della produzione di armi. E fra l’altro – ironia della sorte – è successo durante una conferenza sulla pace. 

Visto che tutto ciò è avvenuto in Sardegna e che la nostra caporedattrice di Sardegna che Cambia Lisa Ferreli ha prontamente scritto un articolo sull’argomento, che esce oggi, le ho chiesto di raccontarcelo, e ve lo faccio ascoltare direttamente dalla sua viva voce. 

Contributo disponibile all’interno del podcast

Forse ricorderete del trattato globale sulla plastica. È un processo in corso da più 3 anni per risolvere il problema globale dell’inquinamento da plastica, organizzato dalle nazioni unite, che però va incontro a tutti i problemi tipici dei negoziati di questo tipo. Ovvero pochi paesi molto influenti che si oppongono al raggiungimento di un accordo. 

Tutto è iniziato nel 2022 quando 175 Paesi, all’UNEA di Nairobi, hanno dato mandato di negoziare un accordo giuridicamente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica lungo tutto il ciclo di vita. Dopo vari round, i negoziati sono sbarcati a Ginevra lo scorso agosto. C’era molta attesa, un gruppo nutrito di Paesi voleva approvare un tetto massimo alla produzione di plastica, ma i negoziati sono collassati senza accordo, soprattutto per l’opposizione di un blocco di Paesi produttori di petrolio (e degli USA). Insomma, più o meno gli stessi paesi che hanno fatto fallire l’accordo a Belém avevano già fatto fallire i negoziati sulla plastica. Perché la plastica si fa col petrolio.

Noi ci eravamo lasciati lì, con una grande incertezza sul proseguo dei negoziati. Ma in realtà un’altra cosa è successa: a ottobre il presidente del negoziato, Luis Vayas Valdivieso, si è dimesso, denunciando non meglio precisate “pressioni” interne al processo ONU. A quel punto tutto si è ulteriormente arenato e nessuno sa esattamente cosa succederà adesso, né c’è una nuova data chiara per sbloccarle.

In questo vuoto politico, però, si inserisce – come sempre più spesso accade e con risultati spesso ambivalenti – il mondo scientifico. Leggo su Positive news: 

“Dopo che, lo scorso agosto, un trattato globale per porre fine all’inquinamento da plastica è stato fatto deragliare dai petrostati, gli scienziati hanno pubblicato una loro roadmap per affrontare il problema.

Commissionato dalla Pew Charitable Trusts, il rapporto avverte che, di questo passo, l’inquinamento da plastica raddoppierà entro il 2040. Tuttavia sostiene che le soluzioni già esistenti potrebbero “eliminarlo quasi del tutto”, creando al tempo stesso milioni di posti di lavoro.

I sistemi di ricarica (refill schemes) – o sistemi di deposito cauzionale – vengono indicati come una soluzione chiave. La Francia è tra i Paesi che li hanno resi obbligatori, imponendo ai supermercati di avere spazi dedicati in cui i clienti possano portare i propri contenitori e riempirli con i prodotti.

Secondo il rapporto, una diffusione su larga scala di questi sistemi potrebbe ridurre l’inquinamento plastico annuo dell’83%, tagliare le emissioni di gas serra e diminuire di oltre la metà gli impatti sanitari della plastica, sostenendo allo stesso tempo 8,6 milioni di posti di lavoro.

Molto interessante, perché è indubbio che le strade da percorrere siano queste due: tetto alla produzione e implementazione di sistemi di riuso.

Un po’ di notizie veloci. In Nigeria sono stati liberati cento dei ragazzi/e che due settimane fa erano stati sequestrati in una scuola. Quello di due settimane fa è stato uno dei più gravi rapimenti di massa nella storia del paese e ha coinvolto in totale 303 alunni e 12 insegnanti. 50 studenti erano riusciti a scappare già il giorno dopo il rapimento, ma da allora non c’erano più state notizie su tutte le altre persone coinvolte. Questi cento invece dovrebbero essere accolti dai responsabili del governo locale lunedì. Le circostanze che hanno portato alla loro liberazione per ora non sono chiare, ma sembra sia frutto di un accordo negoziato dal governo nigeriano.

Il Vaticano ha restituito ai popoli indigeni canadesi decine di manufatti — in totale 62 oggetti, fra cui un kayak Inuit, maschere, cinture sacre, oggetti tradizionali — che erano conservati da quasi un secolo nei musei vaticani. Poco più di cent’anni fa, dal 1923 al 1925, l’allora capo della Chiesa cattolica, Papa Pio XI, chiese ai missionari di raccogliere migliaia di manufatti provenienti da tutto il mondo per organizzare una grande esposizione a Roma. Tra questi, moltissimi provenivano dal Canada, ed erano stati consegnati ai missionari cattolici da persone appartenenti alle popolazioni indigene locali. Per un secolo, questi artefatti sono stati conservati nei Musei Vaticani. Per anni i rappresentanti delle popolazioni indigene ne hanno chiesto la restituzione, ma il Vaticano ha fatto resistenza a lungo, sostenendo che fossero stati donati alla Chiesa e che quindi avesse diritto a tenerseli: sabato 6 dicembre una piccola parte è stata infine restituita al Canada, con un volo che è atterrato all’aeroporto Trudeau di Montreal.

Poi, la Norvegia ha deciso di sospendere il rilascio di nuove licenze per l’estrazione mineraria in acque profonde nell’Artico per tutta la durata dell’attuale legislature (fino al 2029). All’inizio del 2024, il governo norvegese aveva varato la legge che autorizzava l’apertura di un’ampia porzione di piattaforma continentale al mining sottomarino. L’idea era di avviare l’esplorazione già nel 2025 per poi concedere licenze definitive di sfruttamento entro pochi anni. Ma il cambio politico e il maggior peso di verdi e sinistra sul governo hanno fatto cambiare rotta all’esecutivo.

Infine in Germania è stato inaugurato il gigantesco parco eolico offshore He Dreiht, che sarà il più grande impianto eolico marino della Germania, che una volta completato arriverà a 960 MW.

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