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10 Luglio 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Poveglia è finalmente “per tutti”! – INMR 10/7/2025

L’isola di Poveglia affidata a un’associazione di cittadini dopo 11 anni di battaglia e la partenza della Local March to Gaza

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Qualche giorno fa lo stato ha finalmente accordato la concessione di una parte dell’isola di Poveglia, nella laguna di Venezia, per 6 anni, all’associazione “Poveglia per tutti” che ne curerà lo spazio verde. Detta così sembra una notizia piccola, ma in realtà è l’epilogo, felice, di una vicenda di partecipazione dal basso delle più clamorose che mi sia capitato di incontrare in questi anni.

Poveglia è un’isoletta, anzi sono 3 isolotti che stanno nella laguna di Venezia, dietro il quartiere della Giudecca. Leggo da un nostro vecchio articolo la storia dell’isola: “è una delle isole più grandi della Laguna. È composta da tre isolotti, distinti ma molto vicini, due dei quali collegati da un ponte: il più meridionale è un ottagono dove un tempo venivano posizionati i cannoni per difendersi dagli attacchi nemici, dato che guarda verso la bocca del porto; il corpo centrale è il più grande, edificato fin da prima dell’anno Mille, dove sorgono undici edifici fra cui la chiesa con il campanile che svetta sulla silhouette dell’isola; infine la parte più settentrionale e verde, chiamata spesso “l’orto” dato che per un periodo i suoi terreni furono assegnati ad un agricoltore.  

Curiosità storica: il termine quarantena è nato proprio da queste parti. Fu il Senato veneziano infatti a stabilire per primo (nel 1448) che il periodo d’isolamento per chi raggiungeva la città via mare durasse a 40 giorni, dando così origine al vocabolo. E dove si faceva la quarantena? Ovvio, sulle isole della Laguna.

Comunque, negli anni ha avuto varie funzioni e non è più abitata dalla fine degli anni ‘60, quando vennero chiusi i reparti della struttura ospedaliera e il ricovero per gli anziani presenti sull’isola maggiore delle tre. Mentre gli edifici deterioravano progressivamente, l’isola è sempre stata oggetto di progetti di recupero che, purtroppo, non sono mai stati attuati.

Dal 2014 Poveglia appartiene al demanio e già quell’anno l’imprenditore Luigi Brugnaro, che poi sarebbe diventato sindaco della città, voleva investire 20 milioni in un centro per disturbi alimentari, mentre l’associazione “Poveglia per tutti”, nata contestualmente, chiedeva la concessione delle parti verdi dell’isola per sei anni. Entrambe le richieste vennero rifiutate dal demanio. 

L’associazione ha presentato ricorso al TAR che nel 2018 ha dichiarato illegittimo il rifiuto per difetto di motivazione. L’uso temporaneo avanzato dall’associazione “Poveglia per tutti” non avrebbe precluso qualsiasi altra destinazione alternativa. Spettava comunque all’amministrazione il compito di rivalutare la questione. 

Quando li intervistammo nel 2020, in unpo splendido giardino nel quartiere della Giudecca, ricordo che l’umore non era dei migliori. Uno dei soci, Marco Bassi, ci aveva detto con una certa amarezza: «A meno che non ci sia una collaborazione da parte del governo locale o nazionale, la volontà di trovare un compromesso, questa avventura non andrà da nessuna parte».

Questa volontà, inaspettatamente, è arrivata. Arriviamo ai giorni nostri: ad aprile scorso l’associazione annunciava di aver ricevuto la concessione di parte dell’isola dal demanio e dal 2 luglio scorso la decisione è ufficiale. “Poveglia per tutti” insieme all’Università di Verona promuoverà la tutela della biodiversità, degli habitat e delle specie presenti sull’isola, e la realizzazione di un parco urbano lagunare.

«Dopo undici anni potremo mettere in pratica tutto quello che abbiamo costruito. Abbiamo gli elementi per portare avanti il progetto di parco urbano lagunare che trasformerà una pozione dell’isola di Poveglia tutt’oggi abbandonata in uno spazio in cui i cittadini possano riconoscersi. Continueremo nel nostro percorso di coinvolgimento della comunità perché uno dei nostri scopi è promuovere la partecipazione dal basso. Avere la concessione ci permetterà anche di partecipare a dei bandi europei» è il commento dell’associazione “Poveglia per tutti” che in tutti questi anni ha raccolto abbastanza soldi per poter iniziare subito con la realizzazione del progetto.

L’agenzia del demanio fa sapere che «Poveglia fa parte della prima selezione di circa 400 immobili dello Stato disponibili per operazioni di valorizzazione, riqualificazione e rifunzionalizzazione in collaborazione con gli investitori privati per attivare forme innovative di partenariato pubblico-privato». 

Ricordate la Global March to Gaza, quella gigantesca iniziativa della società civile che voleva portare migliaia di persone a marciare pacificamente attraverso l’Egitto verso il valico di Rafah, l’unico punto di accesso nella striscia che per il resto è circondata da Israele, per sbloccare gli aiuti umanitari?

Su ICC ve l’abbiamo raccontata nei dettagli in tutte le sue fasi, dall’idea iniziale, all’organizzazione, al suo fallimento, cercando anche di capire cosa possiamo imparare da questo fallimento, come persone, come attivisti/e.

Ecco, un po’ dalle ceneri di questa marcia è nata un’altra iniziativa tanto simile quanto completamente diversa. Si chiama Local march to Gaza, Marcia locale verso Gaza, ed è un’iniziativa dal forte valore simbolico, che vuole spingere le persone a prendere coscienza delle proprie emozioni, del proprio dolore. E che parte oggi.

Leggo su ICC (siamo partner) che la marcia si tiene “nel Biellese, da Oropa a Santhià e poi Milano, in bici o treno. Un modo per esprimere e rendere manifesti i sentimenti. Sentire, invece che restare anestetizzati. Esprimere, invece che lasciarsi vivere nell’indifferenza. Manifestare, invece che farsi intimidire o condizionare. Perché umano non vuole dire solo ferocia e cinismo, egoismo e spietatezza, ma anche la luce della gioia di vivere insieme, dell’amore e della compassione, del condividere. Tutte e tutti possono unirsi a questa marcia per recuperare il senso di essere umani. È possibile camminare anche per un solo tratto del cammino”. 

Nell’articolo trovate le informazioni più pratiche. Ma ci tengo a leggervi un altro pezzo:«Gaza è una un lembo di terra, sulla costa mediterranea, lungo quanto la distanza tra Biella e Vercelli. Una striscia di 40 chilometri per 9 in cui fino a ottobre 2023 vivevano 2,1 milioni di persone. Vivevano perché i morti non si contano più e la distruzione di case, ospedali, scuole, chiese, moschee, università e infrastrutture è pressoché totale. Gaza è piccola, ma è la più grande prigione a cielo aperto che esista: da decenni i suoi abitanti sono circondati da un muro e dal mare e non hanno libertà di movimento». Così Nazarena Lanza di Slow Food Travel Montagne Biellesi e Biella Città Arcipelago, che Italia che Cambia, partner e co-promotore della Marcia Locale per Gaza condivide.

«La popolazione di Gaza e le decine di migliaia di bambini uccisi dai soldati israeliani sono vittime innocenti di un genocidio, con il fine dichiarato di rendere Gaza un luogo invivibile per i Palestinesi. Oggi la parola genocidio non è più un tabù, è realtà documentata sotto gli occhi di tutti. Camminiamo per dire che vediamo, che non accettiamo, che crediamo in un mondo in cui è possibile camminare insieme per una causa comune, la nostra umanità. Chiedere giustizia, riparazione per gli offesi, educazione ai diritti universali e al rispetto di tutti gli altri esseri umani».

«Passeremo dai paesi e faremo una sosta per parlare con chi vorrà accoglierci. Porteremo una petizione da far firmare a tutti i cittadini e le cittadine che, come noi, vogliono chiedere la fine del massacro, lo stop al riarmo e alla vendita di armi a Israele e il via libera agli aiuti umanitari. Camminiamo per lasciare un seme per il futuro», conclude Nazzarena Lanza.

Ecco, se lo scopo della Global March era molto pratico, sbloccare gli aiuti, in questo caso si potrebbe pensare che uno scopo pratico non ci sia. Del tipo: “I bambini stanno morendo, e voi fate un cammino”. Il punto però è che la Marcia globale ci ha insegnato a fare i conti con la nostra ininfluenza, nei fatti. A volte come occidentali, e in questo anche ne fare attivismo, ci poniamo come gli unici portatori – anzi esportatori – della verità, della democrazia, della giustizia. A volte nascondiamo dietro queste bandiere i nostri bisogni, le nostre pulsioni, il protagonismo, le paure, le fragilità. E spesso questa visione si scontra con la realtà di paesi in cui queste parole hanno significati molto diversi dal nostro. 

Quindi un cammino, coi suoi ritmi lenti, è un modo per comprendere certi meccanismi, per disinnescare certe dinamiche, per prendere coscienza in maniera profonda e radicata non solo della situazione a Gaza, ma anche della nostra postura, di cosa ci spinge ad agire. È un modo per produrre un impatto apparentemente più piccolo, minuscolo, ma profondo e dalle conseguenze imprevedibili.

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