La sfida energetica dell’India, alla vigilia di COP30 – 30/9/2025
India tra crisi climatica e transizione energetica in vista della COP30, con uno sguardo alle elezioni regionali in Italia e alla vittoria europeista in Moldavia.
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Fonti
#India
The Guardian – Huge energy challenges: how can India make the leap to become a green, clean country
Italia che Cambia – Per superare lo stallo sul clima serve una nuova governance planetaria – 19/9/2025
Internazionale – Come salvare il mondo
#ElezioniItalia
Fanpage – Elezioni Valle d’Aosta 2025: i risultati delle regionali e i voti per partito
il Post – Elezioni regionali nelle Marche: Francesco Acquaroli ha vinto di nuovo
il Post – Chi è Francesco Acquaroli
#Moldavia
il Fatto Quotidiano – Moldavia, il partito europeista PAS ottiene la maggioranza. I filorussi: “Oggi proteste contro i brogli”
Descrizione episodio
“Era ancora solo l’inizio di aprile quando braccianti agricoli e operai edili hanno cominciato a collassare per il caldo eccessivo nell’India settentrionale, mentre a Delhi, la capitale, le temperature diurne superavano i 40°C. Le temperature notturne da record hanno fatto impennare l’uso dei condizionatori, mandando in tilt la rete elettrica e causando lunghi blackout, mentre le persone cercavano di trovare un po’ di refrigerio.
Il caldo torrido era arrivato prima del solito. Un grande ospedale di Delhi ha aperto un reparto specializzato per le ondate di calore, attrezzato con due grandi vasche piene di ghiaccio. Altri centri medici si sono affrettati a comprare impacchi di ghiaccio, mentre le emergenze legate al caldo aumentavano vertiginosamente. Nei mesi successivi, molti indiani si sarebbero trovati a fare i conti con continue interruzioni di corrente, in un susseguirsi di ondate di calore sempre più frequenti, lunghe e brutali”.
A scrivere è Nina Lakhani, Climate justice reporter del Guardian – vabbé ma che giornale clamoroso devi essere per avere una reporter per la giustizia climatica -. Comunque, detto ciò, l’articolo parla di uno dei temi più ignorati al mondo, direi, ovvero la transizione energetica e le ambizioni climatiche dell’India, il paese più popoloso al mondo, di cui non parla mai nessuno. E capire questa cosa diventa molto importante soprattutto alle porte di Cop30, la conferenza sul clima che fra un mese si terrà in Brasile, a Belem.
L’india, racconta l’articolo, non è solo il paese più popoloso al mondo ma anche il terzo più inquinante, se consideriamo le emissioni complessive. Però, se invece consideriamo le emissioni pro capite, queste sono in realtà molto basse, meno della metà della media globale. Non perché l’India abbia puntato fin qui forte sulle rinnovabili, ma principalmente perché si consuma poca energia, con due terzi delle famiglie (il 66% della popolazione) che vivono in quella che viene chiamata povertà energetica.
Significa che non hanno accesso sicuro, stabile, economico all’energia: per cucinare, per illuminare casa, per vivere una vita decente. Ma significa anche che quando arriva l’ondata di calore — che ormai è sempre più lunga, più frequente, più pesante — quella parte di popolazione rischia la vita. Perché non ha nemmeno un ventilatore che funzioni.
Intanto però il governo indiano punta forte sulla crescita economica – vabbè come praticamente tutti i governi, solo che nel caso dell’India le previsioni dicono che questa cosa è plausibile e che il pil del paese crescerà del +6,9% nel 2026 e comunque con un ritmo sempre superiore al 6% annuo da qui al 2029.
Per la crescita però serve energia. Tantissima energia. È il motivo per cui un modello basato sulla crescita infinita è insostenibile. Nel caso dell’India c’è un problema in più, spiega l’articolo del Guardian: oggi 70% dell’energia indiana arriva dal carbone, il combustibile fossile più inquinante. E questa cosa sta diventando un grosso problema.
Sia perché il carbone, lo sappiamo, è una grande causa di cambiamento climatico, ma anche perché – ed è questo soprattutto che preoccupa – il carbone, o meglio la sua combustione, è anche molto dannoso per la salute e potrebbe causare, unito ad altri fattori una vera e propria catastrofe sanitaria.
L’inquinamento che genera nell’aria causa migliaia di morti premature ogni anno. E poi considerate che il carbone si somma ad altre fonti di inquinamento, che si somma al disagio causato dalle ondate di calore. Leggo: “Il disagio stagionale causato dal caldo è aggravato dall’inquinamento atmosferico esterno, dovuto all’industria pesante, alle centrali a combustibili fossili, alla combustione delle colture, alle emissioni dei veicoli e alle strade sterrate e polverose – 13 delle città più inquinate al mondo lo scorso anno erano in India.
Tuttavia, l’assenza di energia, la povertà energetica, genera ancora più malattie. Secondo alcune ricerche, infatti, sono le sostanze tossiche presenti nell’aria all’interno delle abitazioni, rilasciate dalla combustione di legna, sterco animale e scarti agricoli per cucinare, che causano un numero maggiore di morti e malattie, perché è lì che le persone trascorrono la maggior parte del tempo. In India, 27 bambini ogni 1.000 muoiono a causa dell’esposizione a combustibili da cucina inquinanti, secondo i ricercatori della Cornell University. Quindi, il fatto di non avere ad esempio dei fornelli a induzione o anche una banale cucina a gas causa più morti del carbone.
Capite che in questa situazione, in queste condizioni, e quando dall’altra parte del mondo ci sono Paesi, gli Usa, cme la Cina, come alcuni paesi europei, che hanno emissioni procapite che sono quasi dieci volte tanto, parlare di uscire dal carbone, o incolpare l’India dei mali climatici del mondo, è comunque una roba scivolosa.
Il cittadino Medio Usa emette più di 14 tonnellate di CO2 all’anno. Il cittadino indiano meno di 2. Se poi prendiamo le emissioni storiche il paragone diventa ancora più impari. E l’india rimane uno dei paesi più poveri al mondo, mediamente. E il discorso è: per permettere alle persone di vivere meglio, di uscire dalla povertà, abbiamo bisogno di energia, e per fare tanta più energia non possiamo chiudere le centrali a carbone dall’oggi al domani. Sarebbe più giusto che i paesi ricchi, dove non ci sono problemi di povertà e che sono anche i principali responsabili di questo casino, iniziassero per primi, e noi li seguiremo quando staremo meglio.
E infatti il governo indiano fa questo tipo di discorso, e rimanda al mittente tutte le pressioni internazionali per la fuoriuscita dal carbone come un esempio di ipocrisia occidentale. Il governo indiano dice: noi vogliamo contribuire alla lotta alla crisi climatica, ma sulla base dell’equità. Vogliamo fare la nostra parte, ma non ci potete chiedere di fare lo stesso sforzo di chi ha inquinato per due secoli. Il cambiamento climatico, in fin dei conti, è frutto dell’accumulo della CO2 in atmosfera decennio dopo decennio, e quindi la responsabilità va calcolata non nell’istante attuale, ma nella somma di quella che abbiamo emesso.
È come se ci fosse, accanto a un villaggio, una gigantesca discarica abusiva e creata soprattutto da altri abitanti del villaggio, in cui io c’entro poco o nulla, e mi si incolpasse di esserne il principale responsabile solo perché nell’ultima settimana ho buttato più spazzatura degli altri. Se ci pensate, la posizione dell’India ha un po’ senso.
Intendiamoci: un po’. Perché se poi quella discarica abusiva mettesse a repentaglio la sopravvivenza stessa del villaggio, a un certo punto potremmo anche dirci chissenefrega, smettiamo tutti assieme e amen.
Ma a differenza della discarica, il cambiamento climatico non puzza e non si vede e quindi è più facile per i governi ignorarlo e accapigliarsi su questi dettagli. Perciò, il governo indiano porta avanti il cosiddetto principio del “common but differentiated responsibilities” (CBDR), che vuol dire: responsabilità comune, ma differenziata sulla base dello storico. Ed è la base di tutta la posizione negoziale dell’India da decenni.
Ok, questa è tutta la base diciamo dialettica e ideologica. Ma nella pratica, cosa sta facendo l’India? Da un lato – spiega la giornalista – continua a puntare sul carbone, perché di carone ne ha tanto, mentre ad esempio il gas lo deve importare a prezzi molto alti. Dall’altro però sta investendo tantissimo in rinnovabili. Ha appena superato il Giappone per capacità solare installata, puntando anche sul solare domestico, che piano piano comincia a diffondersi anche sui tetti delle case, grazie a sussidi e incentivi. Ed è quarta al mondo per l’eolico.
E poi sta puntando anche sul nucleare, sull’idrogeno verde, sull’ammoniaca verde. Anzi, sul nucleare sembra puntarci molto: il governo ha promesso di moltiplicare per dieci la capacità nucleare entro il 2047, anche se secondo molti è un obiettivo irrealistico.
In generale, ha dichiarato di voler diventare indipendente dal punto di vista energetico: lo slogan di Modi è Viksit Bharat, ovvero India sviluppata, India autosufficiente, india industrializzata e non più povera. Un obiettivo che Modi vorrebbe raggiungere entro o in occasione dei 100 anni dall’indipendenza, che ricorreranno nel 1947.
Ovvio che questa visione del governo indiano, può anche essere legittima, come abbiamo visto, ma è molto problematica, perché punta sulla crescita economica e dei consumi molto forte di una popolazione di oltre 1 miliardo e 300 milioni di persone. E da un lato possiamo anche dirci che è giusto, dall’altro sappiamo che questa cosa porterebbe il Pianeta ben oltre i suoi limiti di stabilità.
Alcuni esperti indiani, sentiti dal Guardian, propongono un approccio più strategico. Criticano il fatto che il piano di Modi è molto supply based, ovvero basato sulla crescita dell’offerta. E propongono un metodo che si concentri meno sull’aumento della produzione energetica e più sul reale benessere degli utenti finali, dei cittadini, sfruttando l’efficienza, la riduzione della domanda, l’accesso equo.
Comunque, questa è la postura con cui l’India arriverà a COP30. Alla Conferenza poi, secondo la giornalista, l’India punterà a fare il gioco di tutti i paesi cd in via di sviluppo. Prendere meno impegni possibili sulla riduzione delle emissioni e invece ottenere finanziamenti per l’adattamento climatico da parte dai paesi più ricchi e più responsabili storici delle emissioni. Che al contrario, puntano a obbligare le economie in crescita a prendere obblighi stringenti di riduzioni delle emissioni e a scucire il meno possibile in finanziamenti.
Per dirla in termini più tecnici, l’India spingerà affinché venga applicato l’articolo 9.1 dell’Accordo di Parigi, che stabilisce l’obbligo per i Paesi sviluppati di fornire risorse finanziarie ai Paesi in via di sviluppo. I Paesi ricchi, invece, stanno cercando di spostare il focus sull’articolo 9.3, che parla di “mobilitazione” — un linguaggio più vago e meno vincolante.
Come vedete è un gioco delle parti da cui è difficile uscire. O perlomeno, è difficile uscirne restando all’interno di questa scatola, di questa architettura diplomatica. Se avete ascoltato la puntata in cui parlavo di una nuova possibile struttura delle COP, capite a cosa mi riferisco, sennò ve la lascio fra le fonti.
Ci sono state un po’ di elezioni importanti. Ve le dico un po’ al volo perché ci siamo dilungati un bel po’ con l’India.
Si è votato nelle Marche e ha vinto il centrodestra, che quindi ha confermato il Presidente della regione Francesco Acquaroli con un vantaggio non gigantesco, e in linea con quello che dicevano i sondaggi. Il Post lo descrive così: “Un politico poco carismatico, militante storico della destra a Macerata, e soprattutto da sempre molto vicino a Giorgia Meloni”.
L’affluenza è stata piuttosto bassa, di circa il 50 per cento, e quindi in netto calo rispetto alle elezioni del 2020, ben dieci punti in meno, che sono tanti anche se bisogna considerare che in quell’occasione si votava anche per eleggere i sindaci in diversi comuni importanti della regione e per il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari.
I giornali però stanno dando molto peso alla notizia perché sono state le prime elezioni post estate, e quindi un termometro politico importante, e anche perché erano elezioni abbastanza incerte. Il risultato di questo termometro segna una cosa abbastanza chiara. Agli italiani, di questa politica, importa sempre meno.
Si è votato anche in Valle d’Aosta, una votazione molto più ignorata dai media, perché dice poco a livello politico nazionale, e questo mostra come le elezioni regionali siano considerate soprattutto in base a quello che ci dicono della politica nazionale.
Qui l’Union Valdôtaine è risultato il primo partito e assieme ai suoi alleati di centrosinistra sfiora il 50%, mentre il centrodestra è sotto il 35%. Qui però il presidente non è eletto direttamente, ma scelto successivamente dal Consiglio regionale.
Infine si è votato in Moldavia, dove c’è stato un discreto caos, come ci si poteva aspettare, vistto che il paese è uno di quelli che si trova a metà strada fra Ue e Russia: comunque, il partito europeista Pas della attuale presidente Maia Sandu ha vinto con oltre il 50% dei voti, rafforzando la spinta del Paese verso l’ingresso nell’Unione Europea.
Il voto è stato fortemente polarizzato tra europeisti e filorussi, con accuse di interferenze massicce da parte della Russia, che avrebbe tentato di destabilizzare il processo democratico con disinformazione, hackeraggi e finanziamenti occulti. Mosca ha denunciato brogli e limitazioni al voto dei cittadini all’estero e nella regione separatista della Transnistria. L’OCSE ha parlato di “gravi interferenze straniere”, ma alla fine le elezioni sono state convalidate.
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