Per la prima volta la Terra ha superato un tipping point climatico – 14/10/2025
E poi: a Gaza si firma un accordo di pace, Blair torna in scena, si vota in Toscana e in Giappone salta una storica alleanza.
Questo episodio é disponibile anche su Youtube
Fonti
#Tipping point climatico
The Guardian – Coral reefs have likely passed a climate tipping point, scientists warn
#Gaza
Il Post – Ostaggi israeliani liberati da Hamas, e viceversa
ANSA – Trump: ok ad Hamas come forza di polizia per un periodo
#Elezioni Toscana
Il Post – Giani ha vinto le elezioni regionali in Toscana
#Giappone
Il Post – Sanae Takaichi è la nuova leader del partito di governo in Giappone
#Marcia per la pace
Atlante delle Guerre – Per la pace, contro le guerre
Trascrizione episodio
Il primo tipping point climatico è stato superato. Ed è il tipping point, o punto critico, relativo allo sbiancamento dei coralli. Significa che forse le barriere coralline, a parte rare eccezioni, smetteranno di esistere. Provo a spiegarvi meglio che significa questa cosa e che conseguenze potrebbe avere.
Ieri è uscito un report molto importante, è il report sui report “Global Tipping Points”, che in pratica fa una sintesi ad ampio spettro dei rischi di superamento dei punti critici nel sistema Terra.
I tipping point, o punti critici appunto, sono dei punti di non ritorno. Di cui però non sappiamo molto. Sappiamo che esistono, ma non sappiamo esattamente a che punto si trovano. Dovete pensare che nei sistemi complessi i processi non sono lineari. È come se voi riempiste di acqua una stanza, sapete che le pareti reggeranno fino ad una certa pressione per poi esplodere. Da fuori non riuscite a vedere quanta acqua c’è nella stanza e potete solo osservare due stati: stanza integra, stanza esplosa. E quando la stanza esplode è troppo tardi per chiudere l’acqua.
I tipping point climatici sono un po’ così: sappiamo che superate certe soglie di surriscaldamento del clima certi processi si romperanno e rotoleranno verso nuovi equilibri, ma non sappiamo esattamentre dove si trovano questi punti di non ritorno finché non succedono.
Ce ne sono parecchi, il report in questione ne più di 25, fra cui lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia, la distruzione della foresta amazzonica, il collasso delle correnti oceaniche dell’Atlantico, lo scioglimento del permafrost artico e le barriere coralline. Ma potrebbero essercene anche altri che nemmeno conosciamo.
Comunque, l’informazione principale di questo documento è che per la prima volta un tipping point climatico sembrerebbe superato. È una notizia pesante, ovviamente.
Si tratta di uno studio molto ben documentato, è firmato da ben 160 scienziati di 87 istituzioni di 23 Paesi, guidato dall’Università di Exeter e finanziato dal Bezos Earth Fund, il fondo di ricerca del fondatore di Amazon.
Il report mette insieme dati raccolti in molti studi in tutto il mondo e arriva ad approssimare il tipping point per le barriere coralline arrivi quando si superano gli +1,2°C di riscaldamento climatico rispetto all’era preindustriale. Soglia che abbiamo già superato.
Quando si supera quella soglia i coralli vanno incontro ad eventi stressanti chiamati coral bleaching, o sbiancamento dei coralli, in cui l’alga i coralli perdono le alghe simbiotiche che vivono nei loro tessuti e gli danno colore e nutrimento.
Succede di solito quando l’acqua diventa troppo calda: lo stress termico spinge i coralli a espellere queste alghe, e quindi diventano bianchi, “sbiancati”. Se lo stress continua troppo a lungo, i coralli possono morire.
E infatti, dal 2023, è in corso il peggior evento di bleaching, ovvero di sbiancamento, mai registrato. Più dell’80% delle barriere coralline in oltre 80 paesi è stato colpito da ondate di calore estreme. E questo, conclude il report, ha portato le barriere coralline di acqua calda già oggi in una fase di moria diffusa e irreversibile. O perlomeno, difficilmente reversibvile. Il report dice che dovremmo riportare le temperature medie a 1°C-1,2° di surriscaldamento rispetto all’era preindustriale, cosa considerata praticamente impossibile.
è una roba grossa, pesante. Considerate che le barriere coralline sono uno degli ecosistemi più ricchi di biodiversità del pianeta. Ospitano circa un quarto di tutte le specie marine, hanno una miriade di servizi ecosistemici, oltre a fornire mezzi di sussistenza, cibo, protezione costiera e turismo per centinaia di milioni di persone. Insomma, il fatto che stiano morendo è un problema sistemico, umano, sociale, economico.
Anche perché i tipping poi hanno una serie di problemi non da poco. Innanzitutto sono irreversibili, o difficilmente reversibili. Poi sono collegati tra loro, uno può innescare altri: ad esmepio la morte in massa dei coralli potrebbe causare una grave diminuzione della biodiversità marina, quindi rendere gli oceani molto meno resilienti e anche compromettere la capacità di assorbire CO2.
Nonostante tutto questo, alcuni scienziati invitano alla cautela. Il professor Peter Mumby, ad esempio, dice che ci sono anche dei segnali di adattamento: alcune barriere, non si capisc ebene perché, sembrano resistere anche con aumenti di temperatura più elevati, fino a +2°C.
Inoltre ci sono alcune barriere che sono situati in dei microclimi protetti dove l’aumento delle temperature dovrebbe verificarsi in maniera minore, e allora secondo alcuni scienziati come Mike Barrett, del WWF, dovremmo concentrarci soprattutto sul proteggere e tutelare quesyte che chiama aree-rifugio, meno colpite dal cambiamento climatico, perché potrebbero essere i semi da cui, in futuro, far ripartire gli ecosistemi corallini anche altrove — se riusciremo a stabilizzare il clima.
Lo studio poi cita anche l’esistenza di tipping point positivi: e questo è un aspetto importante. Cioé: la crescita delle rinnovabili, l’elettrificazione dei trasporti e altri cambiamenti strutturali verso i quali ci dirigiamo funzionano anche questi con dei punti critici di non ritorno. Così come i cambiamenti sociali, i cambiamenti delle abitudini alimentari. Tanti cambiamenti che fino a qualche anno fa sembravano impossibili li abbiamo visti succedere in uno schiocco di dita, perché alcuni punti critici erano stati improvvisamente superati.
Quindi questo è un invito a non disperare, ecco.
Voglio fare un’ultima considerazione che riguarda invece la nostra percezione del mondo. Ho deciso di aprire con questa notizia e mi rendo conto che è una scelta forte, nel giorno in cui a Sharm el Sheik si firma un accordo di pace per il futuro di Gaza. Dopo parliamo anche di quello, ovviamente. Però non è una scelta provocatoria. È una scelta che mi sembra rifletta l’ordine di importanza delle cose.
Penso davvero che aver superato un tipping point climatico sia una notizia più importante, in termini assoluti, rispetto a un incontro fra i leader dei paesi più potenti della terra che hanno firmato un foglio di cui si sa poco o niente.
E non voglio sminuire l’importanza di un processo di Pace a Gaza, tutt’altro. Però la notizia dei coralli è una roba che avrà ripercussioni per secoli. Ed è chiaro che non è una breaking news, perché il superamento di una soglia critica non fa rumore, avviene silenziosamente, senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Quindi ci sarà sempre qualche notizia più rumorosa. Però il fatto che le notizie ambientali, sia belle che brutte, non fsacciano rumore, le fa scivolare sembre nei posti meno rilevanti dell’agenda dei media. E questo però falsifica l’ordine di priorità che diamo alle cose del mondo.
Da questa notizia – questa dei coralli – potrebbe dipendere in parte l’equilibrio degli ecosistemi globali nei prossimi secoli. Capite che è una roba grande no? Ora aprite le homepage dei principali giornali italiani. Cosa trovate? Se va bene, l’accordo di Pace. Ancora più spesso, la vittoria di Giani in Toscana…
Se viaggiassimo nel tempo fra 100 anni, incontrassimo un nostro pronipote e ci chiedesse come avete reagito quando avete scoperto che i coralli rischiavano di sparire per sempre, non ci faremmo una bella figura a dire, “Boh, sai che in realtà stavamo pensando a Giani?”.
Ieri sono successe parecchie cose importanti nello scenario israelo-palestinese. Vi riassumo i fatti principali. La giornata è iniziata con il rilascio degli ostaggi israeliani ancora in vita da parte di Hamas. Mentre in parallelo, Israele ha liberato circa 2.000 prigionieri palestinesi. I giornali si sono popolati di immagini e storie devo dire molto emozionanti e belle, di persone che tornavano a casa, da una parte e dall’altra.
Ho provato a godermi quelle belle immagini e mi ha fatto bene. Senza pensare troppi “eh si però, Israele, eh si però Hamas”. Persone che tornavano a casa. Persone rapite e tenute progioniere che riabbracciavano i propri cari. A Khan Yunis, nella Striscia, decine di migliaia di persone hanno circondato gli autobus con a bordo i prigionieri palestinesi liberati da Israele. In previsione del loro arrivo, vicino all’ospedale Nasser era stato allestito uno spazio per accoglierli, con centinaia di sedie. Più o meno nello stesso punto ad agosto 20 persone, tra cui 5 giornalisti, erano state uccise da un doppio attacco dell’esercito israeliano.
Poi dalla tarda mattinata è salito in cattedra Trump e al solito si è preso la scena: prima ha tenuto un discorso celebrativo alla Knesset (parlamento israeliano), dove ha parlato di “nuovo Medio Oriente” e ha ricevuto una standing ovation da buona parte dei parlamentari. Anche nelle piazze di Israele il presidente Usa è stato acclamato da buona parte della popolazione. Ma non da tutti. Da segnalare, ad esempio, che durante il discorso alla Knesset, Trump è stato brevemente interrotto da parlamentari di sinistra che lo hanno accusato di ignorare i diritti dei palestinesi.
Poi Trump è volato a Sharm el Sheik in Egitto dove ha presieduto, nel pomeriggio, un vertice internazionale per discutere le prossime fasi dell’accordo. Al vertice hanno partecipato 29 paesi e 3 organizzazioni internazionali. C’era anche la nostra premier Meloni, c’era Macron, Sánchez, Blair e altri leader mediorientali ed europei. Israele era invitato ma Netanyahu alla fine ha declinato, ufficialmente per la festività ebraica di Sukkot, ma facendo innervosire un bel po’ di persone, e in particolare il padrone di casa Al Sisi.
Alla fine della giornata è stato firmato un documento, di cui si sa ancora poco. Quello che si sa è contiene un piano per la gestione di Gaza, che prevede che sia governata temporaneamente da un’autorità tecnocratica guidata da un “Consiglio di pace”. Sappiamo – perché lo ha detto Trump – che questo ente verrà allargato rispetto ai piani iniziali, perché molti paesi vorrebbero parteciparvi (non ha detto quali). Sappiamo anche che Hamas svolgerà per un periodo un ruolo di forza di polizia palestinese nella striscia.
E abbiamo anche già un nome – un solo nome – di una persona che dovrebbe presumibilmente essere parte, o forse a capo, di Consiglio di Pace. Tony Blair.
Ora, scusate, mi prude una parentesi, la devo fare, perché voi potreste dire… ma che minch c’entra Tony Blair. Eh, appunto. Dovete sapere che Tony Blair, dopo essere stato primo ministro britannico (e aver distrutto la sinistra britannica dal 1997 al 2007), è stato inviato speciale del cosiddetto “Quartetto per il Medio Oriente“, che era un gruppo internazionale nato nel 2002, composto da ONU, USA, UE e Russia, che aveva l’obiettivo (ambizioso e mai davvero raggiunto) di favorire il processo di pace tra Israele e Palestina.
Dal 2007 al 2015 Blair ha svolto questo ruolo in cui avrebbe dovuto promuovere la pace nella regione, ma il suo operato è stato criticato come inefficace e troppo filo-israeliano, tanto che fu osteggiato anche dalla leadership palestinese. Gli si rimproverava, tra le altre cose, di aver dedicato più energie a iniziative economiche secondarie che al vero processo di pace.
Ora, secondo il piano di Trump, Blair è l’unico nome noto nel cosiddetto “Consiglio di pace”: un organo tecnico che dovrebbe amministrare temporaneamente Gaza, in attesa di una riforma dell’Autorità Nazionale Palestinese. Ma anche qui, il suo ritorno è visto con molto scetticismo: viene percepito come un uomo dell’establishment occidentale, legato alle guerre in Iraq e Afghanistan, e con una lunga storia di conflitti di interesse tra politica e affari privati. E come dargli torto.
Vabbé, ne riparliamo.
Lo abbiamo citato, e allora almeno la notizia la diamo, con un minimo minimo di analisi.
Eugenio Giani, presidente uscente e candidato del PD, ma sostenuto da tutto il cosiddetot campo largo, quindi M5S, AVS, Italia viva, è stato riconfermato Presidente della regione, con un netto vantaggio: circa il 55% dei voti contro il 40% di Alessandro Tomasi, candidato di Fratelli d’Italia sostenuto da tutta la coalizione di centrodestra. Più indietro Antonella Bundu di Toscana Rossa, al 5%.
Come spesso ci capita di commentare, elezione dopo elezione, è ancora calata l’affluenza, molto bassa: del 47,7%, ben sotto al 62% del 2020, quando però si votava anche per il referendum sul taglio del numero dei parlamentari.
Domenica c’è stata la marcia per la Pace, da Perugia ad Assisi ed è stato un fiume in piena. “In più di 200 mila secondo gli organizzatori, come non si vedeva dal 2001, hanno marciato ieri da Perugia ad Assisi. Un fiume colorato formato da associazioni, enti locali, cittadini.
In Giappone invece sembra essersi rotta una storica alleanza: il partito centrista Komeito ha lasciato la coalizione con il Partito Liberal Democratico dopo 26 anni (!!!) di governo condiviso. Il motivo è il mancato accordo su una legge anti-donazioni ai partiti. Il tutto dopo che pochi giorni fa Sanae Takaichi era stata eletta leader del Partito Liberal Democratico partito conservatore che governa il paese quasi ininterrottamente da settant’anni. È la prima donna a ottenere l’incarico, e si accingeva probabilmente a diventare la prima donna in Giappone a guidare il governo come prima ministra. Ma questa rottura dell’alleanza rende il tutto più complicato.
Segnala una notizia
Segnalaci una notizia interessante per Io non mi rassegno.
Valuteremo il suo inserimento all'interno di un prossimo episodio.







Commenta l'articolo
Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi
RegistratiSei già registrato?
Accedi