9 Mar 2023

Gabriele, dalla Lombardia alla val Borbera: “Adesso voglio portare qui mio padre, chiuso in una RSA”

Scritto da: Valentina D'Amora

Dopo dieci anni vissuti tra i monti della val Borbera, peregrinando per vari motivi da un borgo all'altro, Gabriele finalmente trova un posto che chiama casa e in cui vivere un buon tempo. Il tutto finché suo padre, l'11 luglio 2016, non rimane vittima di un grave incidente in bicicletta, le cui conseguenze gli impediscono di tornare alla vita di prima. Ora Gabriele ha deciso di portare suo padre nel suo piccolo angolo di paradiso, per regalargli pace e serenità.

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Alessandria - Un ragazzo dall’attitudine folle e visionaria – cosi si definisce – con tantissimi progetti in testa e la voglia di saltare oltre l’ostacolo. Facendo due chiacchiere con Gabriele Patriarca, il suo accento tradisce subito le sue origini lombarde: nato in un piccolo Comune vicino Abbiategrasso, dopo aver vissuto a Dublino, Utrecht e Amsterdam ha scelto di trasferirsi in un luogo isolato, nel Comune di Cabella Ligure, circondato dalle montagne dell’Appennino.

I suoi sogni nel cassetto? Oltre a coltivare la terra con diverse colture e tenere un piccolo numero di animali – capre e vacche da latte, galline e cavalli –, tutte le sue aspirazioni sono orientate alla sostenibilità e all’autonomia, sia agricola che energetica, ma anche alla divulgazione culturale e alle arti, attraverso l’ospitalità nella cascina che sta ristrutturando. C’è poi un altro desiderio, quello che ad oggi ha alta priorità: rendere abitabile la casetta in cui – con un crowdfunding lanciato qualche giorno fa – vorrebbe trasferire suo padre, attualmente ricoverato in una RSA di Castelnuovo Scrivia, a seguito di un grave incidente in bicicletta avvenuto nel 2016.

gabriele patriarca
Gabriele Patriarca durante la sua esperienza di gestione della vigna
Gabriele, raccontaci di te: come sei arrivato a questa valle?

Una decina di anni fa io e la mia ragazza di allora ci trasferimmo in val Borbera in una cascina isolata, a circa un chilometro e mezzo di strada sterrata dal paese natale di Fausto Coppi, Castellania. Fu tramite la cooperativa Valli Unite che prendemmo in affitto quella cascina per quattro anni e proprio grazie a loro imparammo i rudimenti dell’allevamento, della produzione del formaggio, della gestione della vigna e della vinificazione, chiedendo a tantissimi anziani e non di formarci. In quegli anni abbiamo avuto modo di imparare moltissime cose: sognavamo la campagna e una vita in una direzione diametralmente opposta a quella che la società suggerisce, ma non avevamo nessuna idea di come muoverci.

E poi cos’è successo?

Scaduto il contratto di affitto mi sono trasferito a Dova Superiore, in alta val Borbera, nel Comune di Cabella Ligure. In quel periodo insieme ad altri amici ho aperto l’azienda vitivinicola Il vino e le rose, a Momperone, in alta val Curone, che io e la mia ex compagna abbiamo poi abbandonato qualche tempo dopo. Come il film Il vento fa il suo giro profetizza però, a un certo punto, sebbene il paese fosse molto grazioso e io avessi sempre cercato di interagire con la popolazione locale e di andare d’accordo con tutti, me ne dovetti andare.

 Sognavamo la campagna e una vita in una direzione diametralmente opposta a quella che la società suggerisce, ma non avevamo nessuna idea di come muoverci

Come mai?

Ero un forestiero che stava portando avanti la propria attività e nelle realtà di paese queste presenze in qualche modo danno fastidio. Col tempo questo sentimento viene inevitabilmente a galla. Dopo aver ricevuto lo sfratto ho iniziato a guardami intorno e ho avuto la fortuna di trovare una nuova cascina con undici ettari di terreno e un’altra casetta in zona all’asta che sono riuscito ad acquistare.

Qual è il tuo obiettivo adesso?

In primis voglio far trasferire qui mio padre e regalargli una quotidianità migliore di quella che sta vivendo adesso. Non riesco più a pensarlo in quella struttura, costretto a restare rinchiuso in un luogo che lui stesso definisce una galera. Poi punto all’autosufficienza alimentare e a riprendere i miei animali, che mi mancano moltissimo.

Di cosa ti occupi ora e come sono cambiate le tue giornate rispetto a quando eri in città?

Ho volutamente scelto un luogo isolato, nel silenzio, ai piedi del monte Ebro. Certo, è tutto molto più faticoso, soprattutto per gli spostamenti, ma mi ci trovo bene. All’inizio ho patito un po’ la solitudine, ma ora sono a mio agio. Adesso lavoro come muratore, ristrutturo le seconde case nei paesini dei dintorni con un approccio “popolare”: l’idea è sistemarle per renderle abitabili e permettere alle persone di viverci dignitosamente e, chissà, magari di trasferirsi più agevolmente qui. Spesso la ristrutturazione è uno scoglio grosso, economicamente parlando, che non tutti riescono a sostenere. Il mio obiettivo è quello di cercare di rendere più semplice il tutto, a prezzi accessibili.

gabriele petrarca
Cosa significa per te, che sei lombardo di origine e valborberino d’adozione, vivere in quest’area di confine? In altre parole, come ti percepisci rispetto al territorio in cui vivi?

Mi sento molto parte di questo luogo, pur non essendo il territorio in cui sono cresciuto. Piano piano lo sto scoprendo, lo sto conoscendo in modo più profondo e mi ci sto affezionando. Questo rapporto sono sicuro che crescerà nel tempo. Proprio oggi sono andato a fare una passeggiata in cima al monte Ebro, cosa che purtroppo per motivi familiari e di lavoro non mi capita spesso, e sono rimasto colpito dalla bellezza di questi paesaggi. Quando provo a guardarmi da fuori mi sento un colono, un pioniere di una nuova era in questi luoghi abbandonati a loro stessi che bisogna, in un modo o nell’altro, strappare alla natura selvaggia che se li sta fagocitando, facendo crollare tutto quanto.

Mi sento di dire che sto portando aria nuova e innovazione in contesti dove purtroppo la mentalità è piuttosto chiusa. In questi dieci anni ho trovato più facile legare con altri forestieri come me, provenienti da altre città e trasferitisi in valle che con gli autoctoni. Resta il fatto che nonostante questo sia un posto incredibile, di una bellezza disarmante, cammini in territori dove non vedi nessuno per ore. E trovo pazzesco che tutti i ruderi che incontro sulla strada siano disabitati.

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