Il cohousing Case Franche: “Abitare con altre persone è una palestra di vita”
Le Case Franche è un progetto di cohousing che si trova in Romagna e che ha recentemente ospitato un convegno nazionale sull’abitare collaborativo, che è stato un nuovo punto di partenza per nuovi percorsi su questo tema.

In breve
Parte dal cohousing Le Case Franche un nuovo percorso sull’abitare collaborativo.
- Una rete di attori del mondo dell’abitare collaborativo – rappresentanti di cohousing ed ecovillaggi, professionisti, amministratori – si è ritrovata per fare il punto del settore in Italia.
- Italia Che Cambia segue da vicino e racconta questo movimento ed è anche intervenuta all’incontro de Le Case Franche.
- Fra i temi su cui sta lavorando questa rete c’è il contrasto alla solitudine, soprattutto quella della terza età, anche in risposta alla richiesta di proposte dell’UE sul tema dell’invecchiamento attivo.
- Un altro degli obbiettivi è lavorare su una legge sull’abitare collaborativo, dopo un’iniziativa che andava in questo senso conclusasi senza successo nel 2020.
Come si può condividere uno spazio senza rinunciare alla propria libertà? Come può la relazione tra le persone diventare una forza generativa e non un ostacolo? A queste domande ha provato a rispondere il convegno nazionale “L’abitare collaborativo in Italia”, che si è tenuto il 18 maggio 2025 al cohousing Le Case Franche di Forlì. Una giornata intensa, partecipata da oltre cento persone provenienti da tutta Italia: realtà concrete di cohousing, ecovillaggi, social housing, ma anche ricercatrici, architetti, giovani, amministratori pubblici e attivatori di comunità.
Le Case Franche di Forlì è un co-housing nato nel 2008 dal sogno condiviso di un gruppo di famiglie e architetti locali di creare un modo diverso di abitare, improntato alla sostenibilità ambientale e alla condivisione. Realizzato grazie alla costituzione di una cooperativa e al sostegno della Regione Emilia-Romagna, il progetto si è concretizzato in un piccolo villaggio di case in legno costruite secondo criteri di bioedilizia e ad alta efficienza energetica, prive di allacciamento al gas e alimentate da fonti rinnovabili.
L’evento è stato costruito da una rete informale di realtà legate all’abitare collaborativo, con il sostegno di enti, cooperative e fondazioni locali. Italia Che Cambia ha accompagnato la giornata con il proprio lavoro di facilitazione e racconto, attraverso la presenza di Daniela Bartolini, presidente della Cooperativa Impresa Sociale Italia che cambia, che ha curato la moderazione. Non solo: eravamo lì anche con le nostre telecamere. Il video-racconto che trovate qui sotto restituisce volti, voci e temi emersi nel corso dell’evento.
Parole che costruiscono comunità
Se c’è un filo che attraversa questa rete di realtà appartenenti al mondo dell’abitare collaborativo è quello della fiducia. Non una fiducia ingenua, ma costruita nel tempo, spesso faticosamente, tra le pieghe della convivenza e delle sue inevitabili frizioni. Perché abitare collaborativo non significa soltanto vivere sotto lo stesso tetto: è un esercizio quotidiano di ascolto, cura, relazione.
Cinzia Boniatti, del Cohousing Trentino, racconta bene questo aspetto, ricordando come l’abitare collaborativo non sia la semplice condivisione di spazi, ma un percorso in cui ci si mette in gioco, anche quando i processi si complicano. Roberto Ballarini, del Giardino dei Folli di Bologna, ha insistito su un altro punto centrale: progettare spazi comuni non basta, serve tempo, una cultura dell’ascolto, e la consapevolezza che la comunità è un organismo vivo, in continua evoluzione.
E poi c’è chi, come Federico Palla dell’ecovillaggio Lumen, sposta ancora più in là la prospettiva, parlando di un abitare come scelta politica, capace di trasformare non solo chi lo vive, ma anche il territorio intorno. È una visione che ribalta le priorità: prima i legami, poi le case. In tutto questo, il ruolo della facilitazione emerge come elemento cruciale. Non una tecnica accessoria, ma una competenza chiave per far funzionare la convivenza. Daniela Bartolini, presidente della cooperativa Italia Che Cambia lo dice chiaramente: creare uno spazio dove tutte e tutti si sentano accolti, anche con i propri conflitti, è il primo passo per far nascere una comunità.

Un tema, mille declinazioni
L’abitare collaborativo non è un modello unico né una ricetta replicabile. È una costellazione di esperienze che si parlano, si contaminano, a volte si contraddicono. Al convegno di Forlì, questa pluralità è emersa con forza: un mosaico di pratiche diverse, tutte tese a immaginare un modo più umano – e più collettivo – di vivere. Roberto Ballarini, con la sua esperienza nella Rete Buon Abitare, ha richiamato un’esigenza che attraversa molti gruppi: la necessità di figure che accompagnino i percorsi comunitari, tenendo insieme le dinamiche umane, oltre agli aspetti progettuali.
Giovanni Paglia, assessore regionale alle politiche abitative, ha auspicato l’introduzione di una legge quadro che riconosca pienamente l’abitare collaborativo come forma abitativa legittima e tutelata. Proprio su questo, Federico Palla rilancia una prospettiva interessante: «Come coordinatore della rete europea Salus e segretario di un intergruppo parlamentare sulla Promozione della Salute, sto lavorando per riportare all’attenzione politica una proposta di legge sulle comunità intenzionali». La proposta – elaborata da Rete Salus insieme a Rive, Conacreis e la rete italiana cohousing – era già stata depositata in Parlamento nel 2020, senza però trovare seguito.

«Ora c’è la possibilità di rilanciarla, collegandola al tema dell’invecchiamento attivo su cui l’Unione Europea chiede risposte innovative. Potrebbe nascere un quadro normativo intergenerazionale davvero innovativo, che darebbe spazio all’iniziativa privata e locale, in accordo con i Comuni. Una cornice capace di accogliere soluzioni sartoriali, adatte a ogni territorio, dalla metropoli all’area rurale». Dal Comune di Forlì, l’assessora Angelica Sansavini ha sottolineato il valore sociale di queste pratiche, soffermandosi in particolare sul loro potenziale educativo: comunità che offrono ai più giovani un contesto relazionale ricco e condiviso, in cui crescere con uno sguardo collettivo sul mondo.
Infine, anche dal mondo cooperativo arriva un appello chiaro. Pier Lorenzo Rossi, direttore generale di Confcooperative Emilia-Romagna, evidenzia il ruolo strategico delle cooperative nel sostenere modelli abitativi fondati su mutualismo e innovazione sociale. Mauro Neri, presidente di Confcooperative Romagna, insiste sulla necessità di un accompagnamento concreto ai gruppi nelle prime fasi, quando tutto è ancora fragile e indefinito.
Un nodo di rete, un punto di partenza
La sensazione è quella di toccare con mano qualcosa che spesso viene liquidato come utopia, ma che invece esiste, resiste, funziona. L’abitare collaborativo non è un sogno per pochi idealisti: è una risposta concreta a problemi che ci riguardano tutte e tutti. La crisi abitativa, l’isolamento sociale, l’inaccessibilità economica delle case, il bisogno profondo – e spesso inascoltato – di appartenere a una comunità.

Tra le tante implicazioni in gioco ce n’è una che mi ha colpito più delle altre: la consapevolezza che la solitudine, oggi, è uno dei mali più gravi della nostra società. Lo ha detto chiaramente Federico Palla, citando studi scientifici che la collegano perfino a un aumento del rischio di morte. In un Paese che invecchia come l’Italia, in cui sempre più persone vivono da sole, il cohousing può diventare un antidoto potente, una forma concreta di cura reciproca.
Al tempo stesso vi è un bisogno forte e urgente di strumenti, non solo di buone intenzioni. Servono competenze relazionali, percorsi di accompagnamento, capacità di affrontare i conflitti. In ogni intervento, anche quelli più tecnici, c’era sempre un ritorno alla relazione come chiave di tutto. L’abitare collaborativo non è un progetto edilizio: è una pratica sociale.
Quello di Forlì è stato un punto di partenza, un nodo di rete, un momento in cui riconoscersi, farsi domande, condividere fatiche e visioni. Come dare rappresentanza nazionale a queste realtà? Come dialogare con le istituzioni senza snaturarsi? Come non dover ogni volta ripartire da zero? Domande che non sono rimaste sospese, ma hanno iniziato a prendere forma. Italia che Cambia continuerà a seguirle, perché in queste esperienze c’è molto più di un’alternativa abitativa. C’è un’altra idea di società. E forse anche un’altra idea di futuro.
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