21 Luglio 2025 | Tempo lettura: 9 minuti
Ispirazioni / Io faccio così

Nel nome di Beppe Montana i terreni agricoli che erano della mafia tornano a nuova vita

Dal 2010 la Cooperativa Beppe Montana contribuisce a costruire una Sicilia di qualità, legalità e dignità, creando lavoro e un impatto sociale positivo su terreni confiscati alla mafia.

Autore: Salvina Elisa Cutuli
Salva
libera montana legalita
L'articolo si trova in:

In breve

I terreni confiscati alla mafia generano oggi economia, inclusione e legalità grazie alla cooperativa Beppe Montana.

  • Beppe Montana era il commissario della squadra mobile di Palermo. Fu ucciso dalla mafia il 28 luglio 1985.
  • A lui è intitolata una cooperativa che dal 2010 gestisce terreni confiscati nelle provincie di Catania e Siracusa.
  • La cooperativa Beppe Montana fa parte del circuito di Libera Terra, che unisce aziende agricole che praticano agricoltura sociale gestendo beni confiscati.
  • L’attività della cooperativa non è facile perché il tessuto socio-economico è ancora impregnato della mentalità mafiosa; è anche vittima di frequenti attacchi, furti e incendi dolosi l’ultimo pochi giorni fa.
  • Questo non pregiudica l’attività: i soci e i lavoratori della cooperativa non mollano, forti anche di una rete solidale che hanno saputo creare con soggetti istituzionali, scuole e altre aziende del territorio.

Appena due giorni fa, sabato 19 luglio, abbiamo celebrato per la 33esima volta la memoria della strage di Via D’Amelio. Serve a poco ricordarsi questi momenti o parlare di legalità qualche giorno all’anno, quasi come fossero le festività segnate in rosso sul calendario. Piuttosto è fondamentale tenerli vivi per contribuire a un’immagine di una Sicilia fatta di legalità, che ripudia la mafia, che non è complice e sottomessa. Abbiamo incontrato la Cooperativa Beppe Montana Libera Terra, nata nel 2010 grazie al lavoro di Libera e del Consorzio Etneo per lo sviluppo e la legalità con la volontà concreta di restituire alla collettività beni che per troppo tempo sono stati simbolo di sopraffazione mafiosa.

Abbiamo parlato con Alfio Curcio, socio della cooperativa, a pochi giorni da alcuni fatti spiacevoli che hanno coinvolto la Cooperativa. Un esempio concreto di resistenza e di gestione trasparente, produttiva e sostenibile dei terreni agricoli nel comprensorio di due provincie siciliane, tra Lentini, Belpasso, Ramacca, che crea lavoro vero, di qualità e con un impatto sociale positivo.

Alfio, come nasce la Cooperativa Beppe Montana e perché avete scelto questo nome?

Beppe Montana non è solo un nome, è un esempio, un servitore dello Stato, un giovane commissario della Squadra Mobile di Palermo ucciso dalla mafia nel 1985. Il suo impegno contro i clan, la sua dedizione, la sua pulizia morale sono per noi una bussola. Intitolare la cooperativa a lui vuol dire ricordare ogni giorno da che parte stiamo e per chi lavoriamo: per la giustizia, per la libertà, per il riscatto del nostro territorio.

Beppe Montana
Murale dedicato a Beppe Montana

Beppe Montana era catanese di adozione e visto che la cooperativa opera anche nella provincia di Catania ci è sembrato quasi scontato correlarli. La nostra é la prima cooperativa di Libera Terra su terreni delle province di Catania e Siracusa. Gestiamo terre e strutture appartenute alla famiglia dei Riela, nella provincia di Catania, e al clan Nardo, nella provincia di Siracusa, e ai loro fiancheggiatori, provenienti da confische esecutive della fine degli anni Novanta, che meritavano di essere riconsegnate alla collettività. 

Qual è il valore di generare economia utilizzando terreni confiscati alla mafia?

È un valore enorme, soprattutto in una terra dove la mafia ha dominato per troppo tempo non solo l’economia, ma anche le coscienze. Generare economia su quei terreni significa trasformare un simbolo di potere mafioso in un luogo di lavoro onesto, di agricoltura pulita, di inclusione sociale. Significa dire che un’altra Sicilia è possibile, una Sicilia che produce qualità, legalità e dignità.

Quanto è grande la cooperativa Beppe Montana?

Oggi gestiamo circa 100 ettari di terreno, suddivisi tra diverse particelle agricole, in zone spesso difficili da raggiungere o prive di infrastrutture adeguate. Siamo una realtà piccola, ma determinata. Abbiamo un nucleo stabile di lavoratori e collaboratori e operiamo in rete con le altre cooperative del circuito Libera Terra, condividendo un modello cooperativo solido e replicabile. In particolare gestiamo seminativi e agrumeti. Con noi lavorano giovani del territorio, persone con esperienza nel settore agricolo e anche soggetti fragili, perché il nostro è un modello inclusivo. Non coltiviamo solo terra: coltiviamo autonomia, responsabilità, futuro. Ogni bracciante, ogni operatore, ogni collaboratore è parte di una scommessa collettiva che punta su un’economia libera dalla mafia e capace di offrire opportunità vere.

La vostra presenza è già una vittoria, ma immagino ci siano ogni giorno delle difficoltà da affrontare. Ce le racconti?

La vittoria più grande è esserci ancora, ogni giorno, con determinazione e continuità. Operiamo su terreni difficili, spesso isolati, dove le condizioni di lavoro richiedono presenza costante e attenzione continua. Le difficoltà non mancano: reti idriche inefficienti, ritardi nell’irrigazione che mettono a rischio le colture, infrastrutture agricole essenziali ancora da completare. A complicare ulteriormente la gestione c’è il fatto che la nostra azienda è fortemente frastagliata, i terreni sono dislocati su più Comuni, spesso lontani tra loro e non collegate da viabilità adeguata.

Beppe Montana
Una parte del terreno gestito dalla Cooperativa Beppe Montana

Questo comporta tempi di lavoro più lunghi, spostamenti continui di mezzi e persone, difficoltà logistiche nella gestione delle squadre e nei trasporti, oltre che un aumento dei costi operativi. È un modello impegnativo che richiede organizzazione, flessibilità e risorse, ma che affrontiamo con metodo e responsabilità.

A questo si aggiungono purtroppo spiacevoli episodi: furti, atti vandalici e, pochi giorni fa, un incendio che ha coinvolto una parte dei nostri seminativi. Ma non abbiamo mai interrotto le attività. Abbiamo sempre garantito la cura dei terreni, la sicurezza dei fabbricati e la prosecuzione del lavoro agricolo anche in condizioni complesse. Non cerchiamo riconoscimenti, ma risultati. E ogni ettaro curato, ogni bottiglia di succo d’arancia, ogni stagione di raccolta, per noi è già una risposta. Siamo qui non per dimostrare qualcosa, ma per lavorare con serietà e visione. E nonostante le criticità continuiamo a farlo con convinzione.

Quando arrivi su terreni confiscati alla mafia, inevitabilmente rompi degli equilibri che per anni sono stati gestiti nel silenzio

Cosa è accaduto nello specifico?

Pochi giorni fa abbiamo subito un grave incendio nei nostri terreni in Contrada Cuccumella che ha distrutto circa 20 ettari di grano pronto per la raccolta. È stato un episodio pesante, non solo per il danno economico, ma per ciò che ha rischiato di rappresentare: il fuoco si è avvicinato pericolosamente alla struttura ricettiva presente sul fondo, che per fortuna è rimasta integra. Siamo riusciti a contenere le fiamme con mezzi di fortuna.

Nonostante la gravità dell’evento non abbiamo mai interrotto le attività, abbiamo messo in sicurezza l’area e siamo ripartiti subito. È stata una prova dura, che però ha confermato la nostra capacità di reagire con lucidità e determinazione. Nell’agro di Ramacca, pochi giorni prima, sono stati rubati quadri elettrici, pompe e valvole da uno dei terreni coltivati. Un episodio che si aggiunge a una serie di atti analoghi che generano frustrazione, danni economici e ritardi nelle attività produttive. 

Come rispondete ai furti e agli incendi? Avete un sostegno da parte della collettività?

Li affrontiamo come possiamo, con fatica ma anche con molta determinazione. Ogni volta che succede qualcosa – un furto, un incendio – ci sentiamo colpiti, è inevitabile. Ma non ci pieghiamo. Ci organizziamo, cerchiamo di sistemare i danni, di ripartire il prima possibile. Non abbiamo scelta: o si va avanti o si molla tutto. E noi abbiamo scelto di andare avanti, sempre.

Beppe Montana
L’incendio di qualche giorno fa ha distrutto circa 20 ettari

Per fortuna abbiamo tanti compagni di viaggio veri che non ci stanno lasciando soli: persone, scuole, associazioni, anche amministrazioni che ci conoscono, ci scrivono, ci vengono a trovare e ci stanno dando una mano concreta. In tanti hanno già contribuito alla raccolta fondi che Libera e il Comune di Firenze hanno lanciato per rimettere in piedi ciò che è stato distrutto.

Parliamo del rapporto con il territorio: siete ben visti dagli agricoltori locali?

Col tempo abbiamo costruito rapporti sinceri e solidi con molte realtà locali: associazioni, cittadini, amministratori e anche con una parte del mondo agricolo. Ovviamente non sempre è stato facile: quando arrivi su terreni confiscati alla mafia, inevitabilmente rompi degli equilibri che per anni sono stati gestiti nel silenzio, talvolta anche nell’opacità. Ma chi ha capito il valore del nostro lavoro – e oggi sono in tanti – ci sostiene e collabora.

Crediamo molto nella costruzione paziente del consenso, basata sull’esempio concreto, sulla coerenza e sulla presenza costante sul territorio. E questo percorso, col tempo, ha dato frutti anche oltre i confini locali. Abbiamo stretto rapporti di collaborazione con alcuni Comuni toscani, tra cui Scandicci, Bagno a Ripoli e altri con i quali abbiamo già attivato scambi culturali e progetti educativi.

Beppe Montana
La Cooperativa Beppe Montana Libera Terra è nata nel 2010 grazie al lavoro di Libera e del Consorzio Etneo per lo sviluppo e la legalità

Proprio tra Lentini e Scandicci abbiamo promosso un gemellaggio tra studenti che hanno avuto l’opportunità di confrontarsi sui temi della legalità, del lavoro e della giustizia sociale, partendo da esperienze concrete come quella della nostra cooperativa. Questo tipo di relazioni ci conferma che la legalità non è un fatto isolato, ma può generare reti, alleanze, contaminazioni positive tra territori diversi. E che la nostra presenza qui non è solo agricola: è anche culturale, educativa, civile.

Nonostante le difficoltà e lo sconforto di alcuni momenti, siete ancora convinti che la scelta fatta sia quella giusta?

Assolutamente sì. Se oggi un ragazzo o una ragazza può lavorare su un bene confiscato e non temere più chi lo controllava, allora sì, è stata la scelta giusta. Se possiamo coltivare limoni e arance e dire che lo facciamo “a nome della collettività”, allora sì, è la strada giusta. Le difficoltà non ci spaventano, ci rafforzano. Il dubbio non è mai se valga la pena. Il dubbio è: se non lo facciamo noi, chi lo farà?

A chi decide di investire in progetti in beni confiscati alla mafia cosa ti senti di dire?

È una scelta giusta, ma non facile. Bisogna sapere che non è solo un lavoro agricolo o imprenditoriale, è anche una sfida culturale, sociale e a volte perfino personale. Non sempre vieni accolto a braccia aperte, non sempre tutto funziona come dovrebbe. Ma se ci si crede, se lo si fa con serietà e coerenza, allora sì, può diventare qualcosa di straordinario. È un percorso lungo, fatto di fatica vera, ma anche di dignità, di senso, di relazioni vere. Ed è lì che capisci che stai costruendo qualcosa che va oltre te stesso, qualcosa più grande di te.