30 Luglio 2025 | Tempo lettura: 7 minuti
Focus / Guerre nel mondo

La guerra in Medio Oriente, fra scontri armati e commerciali, spiegata da Adam Hanieh

Il Medio Oriente sta diventando cruciale per i rapporti commerciali fra USA e Cina e i conflitti di Israele svelano un nuovo tentativo di affermazione del potere politico statunitense nell’area. È questa la lettura dello studioso Adam Hanieh, autore di “Crude capitalism”.

Autore: Giacomo Oxoli
hanieh guerra in medio oriente

In breve

La guerra in Medio Oriente non è una questione isolata, esiste un coinvolgimento di aziende e stati occidentali:

  • La guerra in Medio Oriente portata avanti da Israele non riguarda il controllo delle riserve di energia primaria nella regione.
  • La competizione commerciale fra USA e Cina è legata alle importazioni petrolifere provenienti dal Medio Oriente con cui la Cina alimenta fortemente la sua economia.
  • L’industria militare e tecnologica israeliana serve per mantenere gli obiettivi politici dell’alleanza fra USA e Israele.

Possiamo sfatare alcuni miti della guerra in Medio Oriente? Si possono aggiungere ulteriori punti di vista per analizzare l’attuale situazione? Per provare a farlo, abbiamo posto qualche domanda ad Adam Hanieh – studioso di Medio Oriente e professore di economia politica e sviluppo globale presso l’Università di Exeter, in Inghilterra – sfruttando la sua visione per leggere la complessità odierna.

Da circa due anni a questa parte sentiamo parlare ogni giorno su tutti i telegiornali della guerra di Israele contro Hamas e contro altri Stati presenti nella zona. Ultimo, ma solo in ordine temporale, lo scontro tra Iran e Israele. Se srotoliamo i fili storici ci accorgiamo che da molti decenni quella particolare zona del mondo è segnata da numerosi conflitti. Per citarne alcuni, l’invasione statunitense in Iraq nel 2003 e la guerra del golfo nel 1991.  

Ma perché in Occidente si parla più spesso della guerra in Medio Oriente che di quelle in altre zone del mondo? I motivi sono la vicinanza territoriale, i numerosi interessi economici in quel quadrante e, di riflesso, le questioni geopolitiche di carattere mondiale. Di fatto, isolare la guerra fra Israele e Hamas in uno scontro a due non tiene conto dei numerosi interessi economici di molte aziende mondiali, come denunciato da Francesca Albanese in un report qualche giorno fa. Gli interessi di multinazionali, aziende nazionali e Stati ci permettono di dire che è presente un coinvolgimento di numerosi attori globali oltre a quelli locali. 

Petrolio e guerre. Un binomio ancora attuale?

Nell’immaginario comune la zona è spesso associata al petrolio e lo stesso Hanien ci dice che «gli Stati Uniti sono diventati la principale potenza capitalista contestualmente all’aumento del petrolio come combustibile fossile primario. Questi due avvenimenti nel sistema mondiale erano congiunte e si alimentavano a vicenda e il Medio Oriente era il crogiolo vitale in questo processo».

guerra in Medio Oriente

Molto spesso l’associazione fra petrolio e guerre è stata una narrativa dominante per giustificare i conflitti in Medio Oriente. Ma è ancora così? «La guerra in Medio Oriente da parte di Israele – prosegue Hanien – non riguarda il controllo delle riserve di energia primaria nella regione. L’idea che gli Stati Uniti vogliano impadronirsi delle forniture di petrolio nel Golfo o altrove nella regione è anch’essa falsa. Il petrolio dell’Arabia Saudita è di proprietà dell’Arabia Saudita e prodotto dall’Arabia Saudita e gli Stati Uniti non lo prenderanno e non hanno intenzione di farlo».

«L’altro mito, naturalmente, è che esiste una dipendenza degli Stati Uniti dal petrolio della regione. Gli Stati Uniti sono in realtà il più grande produttore di petrolio al mondo: non hanno bisogno di importazioni di petrolio dal Medio Oriente», sottolinea ancora il professore. Nonostante ciò possiamo parlare di un coinvolgimento diretto fra compagnie dell’oil and gas con i conflitti? «Le compagnie petrolifere e del gas sono le principali beneficiarie della guerra, nel senso che stanno letteralmente alimentando il genocidio e la macchina bellica», risponde Hanieh.

Il Medio Oriente come punto di scontro commerciale fra Stati Uniti e Cina

Lo studioso ci apre lo sguardo verso una nuova narrativa sul Medio Oriente come punto di scontro commerciale tra USA e Cina: «Oggi l’ascesa della Cina e la relativa erosione del potere globale americano sono strettamente legate all’importanza del Medio Oriente per l’imperialismo statunitense. A causa della dipendenza della Cina dal petrolio del Medio Oriente e di tutti i prodotti chimici e raffinati a esso associati, c’è stato un crescente legame politico ed economico tra la Cina e la più ampia regione del Medio Oriente. In questo contesto gli USA stanno cercando di riaffermare il loro primato nel Medio Oriente, in particolare le loro alleanze con le monarchie del Golfo, di fronte a questo tipo di invasione dell’influenza della Cina».

«Se mai arriveremo a una situazione in cui gli Stati Uniti vogliono imporre sanzioni alla Cina – prevede Hanieh –, un aspetto chiave sarà dove la Cina ottiene il suo petrolio e il suo accesso alle forniture di petrolio del Medio Oriente. Sarà anche una questione di valuta in cui la Cina commercia e il ruolo del dollaro USA nel sistema finanziario globale. Uno dei modi in cui la Russia ha cercato di aggirare le sanzioni è quello di scambiare più renminbi – cioè lo yuan, la valuta nella Repubblica Popolare Cinese».

guerra in Medio Oriente

Hanieh fa notare che la Cina sta anche esaminando il commercio di petrolio con il Golfo in renminbi piuttosto che dollari USA, che ancora una volta giocherebbe un ruolo importante nel caso di qualsiasi tipo di sanzioni degli Stati Uniti o qualsiasi tipo di intensificazione del conflitto tra gli Stati Uniti e la Cina. «Dobbiamo anche pensare alle enormi quantità di petrodollari – stiamo parlando di trilioni di dollari – che si sono accumulate nel Golfo, dove vengono investiti quei fondi. Il ruolo che svolgono nel sostenere il dollaro è una parte davvero importante della storia».

In passato la crisi petrolifera nacque appunto dall’aumento del prezzo del gregge al fine di indebolire la presenza occidentale e israeliana nel territorio. A questo proposito, chiedo al professor Hanieh di provare a darmi la sua lettura della mancata attuazione delle sanzioni economiche o degli embarghi da parte degli stati produttori di petrolio nei confronti dell’Occidente e di Israele.

«Gli Stati produttori di petrolio in Medio Oriente – soprattutto l’Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo – rimangono molto all’interno dell’ombrello militare e politico degli Stati Uniti, nonostante i collegamenti “est-est” di cui ho parlato prima», replica Hanieh. «Essi dipendono dalla protezione militare degli Stati Uniti e continuano a investire le loro eccedenze finanziarie nei mercati statunitensi. Penso che siano molto allineati con gli interessi americani nella regione e quindi con l’obiettivo a lungo termine degli Stati Uniti di normalizzare le relazioni tra il Golfo e Israele, come abbiamo visto con gli Accordi di Abramo nel 2020».

Essi si inseriscono nel filone di accordi che Israele stipulò con i Paesi confinanti, come quello con l’Egitto nel 1978 e con la Giordania nel 1994. Gli Accordi di Abramo prevedono la stipulazione di due testi sperati e una dichiarazione di intenti. Il primo accordo contiene una dichiarazione di pace, cooperazione e relazioni costruttive diplomatiche e amichevoli fra Regno di Bahrein e Stato di Israele, il secondo il trattato di pace, relazione diplomatiche e piena normalizzazione fra Emirati Arabi Uniti e Stato di Israele. Infine la dichiarazione congiunta fra Stati Uniti, Stato di Israele, Emirati Arabi Uniti e Regno di Bahrein si basa sul rafforzamento della pace, della libertà religiosa, sul rispetto dei diritti umani e della libertà.

guerra in Medio Oriente

La politica militare israeliana nella guerra in Medio Oriente

La conclusione di questa discussione con Adam Han ieh non può non riguardare una considerazione sulla politica militare israeliana, che secondo il professore «è stata a lungo incentrata sull’obiettivo di rimanere l’esercito più potente della regione. Israele è l’unico paese della regione a poter disporre di armi nucleari e di jet F-35, il jet da combattimento più avanzato del mondo. Addirittura possiede una versione unica dell’F-35, che è stato costruito appositamente per Israele e nessun altro paese al mondo».

Questi aerei sono stati usati per bombardare il Libano, la Siria, lo Yemen e l’Iran. Sono stati anche usati per lanciare bombe sulle cosiddette “zone sicure” a Gaza. Insieme al suo hardware militare, Israele ha anche costruito una potente industria di alta tecnologia e sorveglianza, gran parte della quale è testata contro le popolazioni intrappolate in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

«Ma la politica militare israeliana deve essere vista nel contesto degli obiettivi politici dello stato israeliano e dell’alleanza USA-Israele di cui ho parlato prima», conclude Hanieh. «In questo senso si tratta di mantenere la sottomissione in corso della popolazione palestinese e garantire una superiorità regionale che possa agire contro qualsiasi forza non allineata con gli interessi più ampi del primato degli Stati Uniti nella regione».