I segreti della filiera alimentare: quanto costa davvero il cibo che mangiamo?
Ogni scelta che compiamo lungo la filiera alimentare parla di noi e del mondo che vogliamo: persone, ambiente, animali, sono tutti connessi in una rete invisibile di cause ed effetti.
Come naturopata e come persona profondamente legata al rispetto per la vita in tutte le sue forme, mi trovo spesso a riflettere, e a condividere con chi mi segue, quanto il cibo non sia mai solo cibo. È nutrimento per il corpo, innanzi tutto e già questo oggi è difficile da comprendere, ma anche per la nostra coscienza. Ogni scelta lungo la filiera alimentare che compiamo ha conseguenze che non riguardano solo il nostro benessere individuale, ma che hanno a che fare con gli animali, i lavoratori, i territori, l’ambiente che ci ospita.
Purtroppo troppo spesso questo legame profondo rimane invisibile, nascosto dietro un marketing rassicurante o dietro abitudini radicate. Eppure, oggi più che mai, risvegliare uno sguardo consapevole su ciò che portiamo nel piatto è un atto di cura verso noi stessi e verso il futuro del pianeta. Quando parliamo di cibo, pensiamo subito a ciò che vediamo. Per me che seguo una alimentazione vegetale significa vedere frutta, verdura, cereali, prodotti confezionati nei negozi. Raramente ci soffermiamo a chiederci quanto sia costato quel prodotto in termini di vite, salute, dignità e ambiente. Cosa ci sia alle sue spalle.
Violenza normalizzata sugli animali
Ogni anno nel mondo vengono uccisi circa 80 miliardi di animali terrestri per scopi alimentari. È un numero impressionante, difficile persino da immaginare, eppure continua a crescere in silenzio, nascosto agli occhi della maggior parte delle persone. Dietro le mura anonime degli allevamenti e dei macelli si consuma ogni giorno una sofferenza che resta invisibile, ma che permea ogni fase della filiera alimentare.

Polli che vivono stipati in capannoni sovraffollati, incapaci persino di aprire le ali, illuminati da luci artificiali che alterano il loro ritmo biologico e spinti a crescere troppo in fretta, fino a non reggere più il peso del proprio corpo. Mucche sfruttate per anni, costrette a gravidanze forzate, separate dai loro vitelli appena nati, munte fino all’esaurimento fisico, abbattute quando non più produttive. Suini privati di ogni possibilità di esprimere comportamenti naturali, chiusi in gabbie che impediscono loro perfino di girarsi su sé stessi. Tutto questo viene considerato normale, giustificato dalla domanda di mercato e dal profitto. Eppure, se ci fermiamo a guardare davvero, cosa c’è di normale in una vita nata solo per essere sfruttata e poi tolta prematuramente?
Non possiamo parlare di benessere, di salute, di equilibrio, se il nostro nutrimento si fonda sulla violenza sistematica e sull’annullamento della dignità degli altri esseri viventi. Come naturopata so quanto il cibo che ingeriamo porti con sé anche un’energia, un’impronta: scegliere alimenti che nascono dalla sofferenza e dalla morte non può che avere conseguenze anche sulla nostra salute, sul nostro equilibrio emotivo e, più in profondità, sulla nostra capacità di vivere in armonia con il mondo che ci circonda.
Non solo: quando un animale viene ucciso – e questo accade in condizioni di paura, stress, dolore – il suo organismo reagisce esattamente come quello umano e cioè attiva il sistema nervoso simpatico, che scatena una serie di risposte fisiologiche per prepararlo alla “lotta o fuga”. In questa fase vengono prodotti e rilasciati nel sangue ormoni dello stress, come adrenalina, noradrenalina e cortisolo. Anche se dopo la morte questi ormoni iniziano a ridursi, una parte di questa chimica rilasciata nel sangue e nei tessuti rimane nella carne che finisce sui piatti. Riconoscere questa realtà non significa chiudersi nel giudizio, ma aprirsi a un nuovo sguardo, più compassionevole, più consapevole, più rispettoso della vita in tutte le sue forme.
I litri d’acqua che servono per produrre un chilo di carne
La quota di emissioni globali imputabili alla filiera alimentare
Gli animali terrestri uccisi ogni anno per scopi alimentari
Sfruttamento umano: il lato oscuro della filiera alimentare
Spesso dimentichiamo che anche le mani che raccolgono, trasformano e trasportano il nostro cibo sono vittime di ingiustizia. Dai braccianti nei campi italiani, pagati pochi euro l’ora e costretti a vivere in condizioni disumane, ai lavoratori dell’industria alimentare nei Paesi del Sud del mondo, il cibo a basso costo nasconde quasi sempre una catena di sfruttamento. Penso, ad esempio, al fenomeno del caporalato nelle nostre campagne o alla realtà degli operatori nei mattatoi, tra le categorie più a rischio di traumi psicologici e fisici. O ancora alle monocolture intensive di avocado e soia in Sud America, che sottraggono risorse idriche alle comunità locali e avvelenano i suoli per arricchire pochi colossi agroindustriali padroni della filiera alimentare.
L’impatto ambientale che non vediamo
L’agricoltura e l’allevamento intensivo rappresentano oggi una delle principali cause di deforestazione, perdita di biodiversità, inquinamento delle acque, consumo eccessivo di risorse e emissioni di gas serra. Si stima che la filiera alimentare sia responsabile di circa il 30% delle emissioni globali di CO₂, un dato che dovrebbe farci riflettere sulla portata reale delle nostre scelte quotidiane all’interno della filiera alimentare.
Per comprendere l’impatto basti pensare che produrre 1 chilo di carne bovina richiede fino a 15.000 litri d’acqua, una quantità immensa se consideriamo la crisi idrica globale che già oggi affligge molte regioni del mondo. Inoltre l’allevamento intensivo richiede enormi quantità di coltivazioni destinate non all’alimentazione umana, ma alla produzione di foraggi: mais, soia, grano vengono coltivati su scala industriale, spesso in monocolture, contribuendo alla deforestazione e alla sottrazione di terre fertili alle comunità locali.

Questo modello ha un impatto diretto anche sull’impoverimento dei suoli. Le pratiche agricole intensive e l’uso massiccio di pesticidi, fertilizzanti chimici e sistemi di irrigazione insostenibili portano progressivamente alla perdita di nutrienti nel terreno, riducendone la fertilità e la capacità di rigenerarsi naturalmente. I terreni sfruttati per anni in modo indiscriminato diventano aridi, privi di vita microbica, incapaci di trattenere l’acqua e di sostenere nuove coltivazioni senza ulteriori interventi artificiali. Questo fenomeno, conosciuto come desertificazione silenziosa, sta già colpendo vaste aree anche in Europa, Italia compresa.
Un suolo impoverito non è solo un problema agricolo. Significa meno piante, meno alberi, significa anche perdita di habitat per insetti impollinatori, uccelli e piccoli animali, con un impatto diretto sulla biodiversità e sull’equilibrio degli ecosistemi. Per questo, scegliere alimenti coltivati in modo etico, sostenibile e rispettoso della terra non è solo una questione di salute personale, ma un atto di responsabilità verso il pianeta e la natura.
La cecità alimentare: una questione di cultura e responsabilità
Durante il mio lavoro vedo ogni giorno quanto sia difficile rompere l’automatismo che ci porta a mangiare senza chiederci cosa sosteniamo con quel gesto. Siamo immersi in una cultura che ci educa al consumo cieco, che ci distrae con immagini di felicità artificiale mentre il nostro pianeta si impoverisce e la sofferenza si moltiplica. Ma l’alimentazione può diventare un potente strumento di consapevolezza, se iniziamo a porci domande scomode: da dove viene questo cibo? In che condizioni è stato prodotto? Quali conseguenze ha per il pianeta, per le persone, per gli animali? I cambiamenti partono da noi e con le nostre scelte, ricordiamo, abbiamo il potere di cambiare le cose.
Non possiamo parlare di benessere, di salute, di equilibrio, se il nostro nutrimento si fonda sulla violenza sistematica e sull’annullamento della dignità degli altri esseri viventi
Scelte concrete per una nutrizione consapevole
La buona notizia è che abbiamo nelle mani il potere di cambiare le cose, iniziando da noi stessi. Ecco alcune pratiche che propongo anche ai miei pazienti e lettori, piccole azioni quotidiane che possono fare una grande differenza per la filiera alimentare.
- Privilegiare alimenti vegetali, locali, di stagione, eliminando se possibile i prodotti animali come atto etico di rispetto verso la vita
- Sostenere produttori etici, biologici, biodinamici, filiere alimentari corte e cooperative solidali
- Informarsi sulle certificazioni, sui metodi di coltivazione e trasformazione
- Coltivare un piccolo orto, anche in balcone: un gesto semplice che riavvicina alla terra e al ritmo naturale delle stagioni
- Promuovere una cultura della sobrietà e semplicità, scegliendo qualità e non quantità
Il cibo deve nutrirci in modo autentico e connetterci al mondo e agli altri esseri viventi. Scegliere in modo consapevole significa non alimentare più quel sistema che produce sofferenza, sfruttamento e distruzione, passività e ignorante accettazione delle scelte imposte dal sistema. Coltivare la consapevolezza alimentare, imparando a farsi delle domande su cosa c’è dietro ogni alimento che acquistiamo, è un percorso che ci insegna la cura, la responsabilità e l’empatia. È una scelta che parla del mondo che vogliamo costruire, un boccone alla volta, dal campo alla coscienza.
Informazioni chiave
Malessere animale
Lo sfruttamento e l’uccisione di miliardi di animali ha gravi implicazioni in termini etici, ambientali e di salute.
Impatto sociale
Dal caporalato alla sottrazione di risorse alla comunità locali, sono enormi anche gli impatti negativi di carattere sociale.
Scegliamo noi
Il primo passo è cominciare a farsi delle domande: da dove arriva il cibo che mangio? Sono stati sfruttati altri esseri viventi per produrlo? Che impatto ha a livello sociale e ambientale?
Piccole azioni che fanno la differenza
Privilegiare alimenti vegetali, scegliere cibo locale, leggere le etichette, autoprodurre, divulgare le buone pratiche alimentari.










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