17 Settembre 2025 | Tempo lettura: 6 minuti
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Cremisan, la cantina italo-palestinese che produce vino e si batte per i diritti umani

A Betlemme si trova una cantina ultracentenaria gestita da una ONG italiana che insieme alla produzione vinicola si occupa di progetti di formazione, educazione e tutela dei diritti umani nei martoriati territori palestinesi.

Autore: Valentina D'Amora
cantine cremisan 1

In breve

La cantina Cremisan, con la sua lunga storia, unisce culture e diritti grazie al vino.

  • Fondata nel 1891 a Betlemme, da decenni la cantina Cremisan è gestita da una ONG che fa capo all’ordine dei salesiani.
  • Attraverso attività come formazione nel campo dell’enologia o supporto di progetti di diritto allo studio, la cantina sostiene le comunità palestinesi.
  • La repressione israeliana rende difficile l’attività e il problema principale è l’esportazione di vino, soprattutto in Italia.
  • Per farsi conoscere la cantina Cremisan organizza incontri divulgativi e degustazioni, come quello che si terrà a Genova il 19 settembre.

Ci sono luoghi in cui un vino può raccontare storie di vita. Succede in Palestina, a Betlemme, nella Cantina Cremisan, dove ogni bottiglia racconta una storia di resilienza, tradizione e speranza. Gestita oggi da giovani enologi locali, la cantina non è solo un luogo di produzione vinicola: è un ponte tra culture, un esempio di cooperazione e un simbolo concreto di continuità in un territorio segnato da conflitti e difficoltà quotidiane.

In Italia il vino di Cremisan viene fatto conoscere attraverso eventi di degustazione – come la serata che si terrà a Genova il 19 settembre – pensati per condividere la qualità dei vini e la storia straordinaria che portano con sé. Ne abbiamo parlato con Luca Cristaldi, enologo e referente del progetto per la ONG con sede a Roma VIS, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, che ci ha raccontato come l’idea della Cantina Cremisan sia nata, si sia sviluppata e continui a essere un simbolo di speranza per la Palestina.

Luca, qual è il vostro legame con la Palestina?

Come VIS siamo l’ONG della famiglia salesiana di Don Bosco. Operiamo in oltre 30 Paesi e lavoriamo soprattutto nei settori dell’educazione, della formazione e della promozione dei diritti umani. Uno dei Paesi in cui siamo presenti da molti anni è proprio la Palestina.

Cremisan

Da dove nasce la storia della Cantina di Cremisan?

I Salesiani possiedono la Cantina Cremisan dal 1891. Da sempre è stata un modo per sostenere la scuola di formazione tecnica di Betlemme. Una ventina d’anni fa però la produzione entrò in crisi: il cantiniere storico, un missionario veneto diventato ormai anziano, non riusciva più a gestirla al meglio. Così i Salesiani si sono rivolti a noi e abbiamo avviato un progetto di ammodernamento: nuove attrezzature, periodi di formazione per il personale palestinese e, grazie alla collaborazione con cantine italiane e con l’enologo Riccardo Cotarella, anche un lavoro di valorizzazione dei vitigni autoctoni.

E quali sono stati i risultati?

Negli anni la Cantina è rinata. Abbiamo formato giovani enologi palestinesi, piantato nuovi terreni, migliorato la qualità dei vini. Cremisan è tornata a produrre con continuità, diventando un punto di riferimento.

Oggi però la situazione non è semplice…

Esatto. La Cantina si trova a cinque chilometri da Betlemme, divisa a metà dal muro: i terreni da una parte, la struttura dall’altra. A questo si aggiungono le difficoltà degli ultimi due anni e mezzo di guerra, che hanno bloccato turismo, vendite e spostamenti. Prima si esportava negli Stati Uniti, in Germania e naturalmente in Terra Santa, grazie ai pellegrini. Ora tutto è fermo. La produzione sta continuando, ma a livelli minimi.

Cremisan

In Italia organizzate diversi eventi di promozione, Territori DiVini.

Sì, servono a raccontare la storia della Cantina e più in generale quella della Palestina. Da una parte vogliamo far conoscere i vini di Cremisan, un’eccellenza quasi sconosciuta. Dall’altra queste serate sono anche occasioni di raccolta fondi. In questo momento, ad esempio, stiamo sostenendo la costruzione di una nuova scuola primaria in un villaggio a sud di Hebron: un segnale di speranza per circa 40 bambini che oggi devono percorrere più di 5 chilometri per andare a scuola.

Come VIS quando avete iniziato a lavorare concretamente con Cremisan?

I primi contatti risalgono al 2007. Dopo alcuni anni di sostegno, la Cantina era diventata autonoma e fino a due anni fa funzionava senza problemi, noi ci occupavamo soprattutto della promozione. La guerra purtroppo ha bloccato tutto.

C’è un episodio che ti ha colpito particolarmente in questi anni?

Sicuramente la storia dell’attuale enologo palestinese. Quando ha iniziato a lavorare con noi non parlava italiano e sapeva poco di vino. Dopo due anni di formazione in Italia è tornato per lavorare in cantina e oggi la dirige, parla italiano perfettamente e guida una squadra di una decina di operai. Per me è un simbolo concreto di autonomia e di futuro.

Quanto conta la rete di sostegno italiana?

Moltissimo. Non solo le realtà della cooperazione, ma anche tutto il mondo del vino: penso al supporto dell’enologo Cotarella, al lavoro dell’Istituto agrario di San Michele all’Adige che ha studiato il DNA dei vitigni, al Comune di Orvieto e alle tante cantine che oggi ci donano bottiglie di vino per le nostre iniziative. Abbiamo collaborato anche con la Fondazione Italiana Sommelier. Da oltre 15 anni portiamo avanti la campagna Territori DiVini, che solo a Roma ha superato la 27ª edizione. È una vivace rete di solidarietà che ha fatto crescere e conoscere Cremisan in tutta Italia.

Cremisan

Guardando avanti, in prospettiva futura, quali sono le sfide principali da affrontare?

La più urgente è quella di trovare un importatore stabile per l’Italia. Al momento riusciamo a portare qui piccole quantità solo per gli eventi. Il problema è che i vini non si trovano nelle enoteche italiane. Inoltre, appena la situazione lo permetterà, vogliamo riprendere i contatti con Slow Food e con altri partner interessati a valorizzare i vitigni palestinesi.

Cosa significa lavorare in una cantina in un territorio di guerra?

Per noi Cremisan è sempre stata un simbolo di pace: un vino che unisce, che racconta un’altra Palestina, fatta di lavoro e di speranza. Oggi, nonostante tutto, continuiamo a crederci: sosteniamo la Cantina, ma anche progetti educativi e di supporto psicosociali per bambini e famiglie, che sono le prime vittime di questo conflitto.

Se dovessi riassumere la lezione di Cremisan in una frase quale sarebbe?

Per me questa cantina è la prova che una sfida quasi impossibile può diventare realtà e trasformarsi davvero in un ponte di pace. Negli anni questi vini hanno fatto incontrare persone, istituzioni, territori diversi e sono diventati un segnale di unità tra culture.