Il carcere è un inferno, ma per donne, minori e internati di più
Un’inchiesta a firma di Andrea Carboni sulle condizioni delle persone detenute in carcere Sardegna, tra sovraffollamento, strutture inadeguate e percorsi di reinserimento insufficienti.
Esistono detenuti di serie B? Questa è la domanda che sorge spontanea analizzando i dati della popolazione carceraria, composta principalmente da uomini adulti che scontano la loro pena in condizioni spesso insostenibili. Oltre a questo nutrito gruppo, esistono altre fette della popolazione detenuta che meritano particolare attenzione, soprattutto perché si scontrano con un sistema detentivo originariamente concepito solo per i maschi adulti.
Le strutture carcerarie sarde non sono pensate per le poche donne presenti e non rispettano alcune prescrizioni di legge previste per le sezioni femminili, ma la condizione dei minorenni è ancora peggiore. Il carcere minorile è considerato “fuorilegge” in alcune sue parti dalla garante regionale dei detenuti, oltre a essere uno dei più affollati secondo l’associazione Antigone. Ci sono poi gli internati, un altro gruppo di detenuti – che sarebbe più corretto chiamare ex-detenuti – che vive una condizione difficile da immaginare: hanno scontato la loro pena ma sono considerati socialmente pericolosi. Indip offre uno sguardo sulle condizioni di chi vive ai margini del sistema carcerario sardo.

Carcere: non è un posto per donne
Le donne detenute nell’isola, secondo gli ultimi dati del ministero della Giustizia, corrispondono a poco più del 2% della popolazione carceraria. A fine giugno, nei penitenziari di Uta e Bancali, risultano presenti 56 donne, sette in più rispetto all’inizio dell’anno quando si contavano 34 detenute a Uta e 15 a Bancali.
Nel complesso l’incidenza di atti di autolesionismo e tentativi di suicidio è nettamente maggiore tra le donne e il fatto che le donne siano poche, nella routine della detenzione, non gioca a loro vantaggio. Il sistema carcerario infatti è pensato per la detenzione maschile e risulta poco adatto alle esigenze femminili. Nella quotidianità, le detenute trovano davanti a loro barriere invisibili che complicano ulteriormente la loro situazione. La garante regionale dei detenuti Irene Testa spiega che «in alcuni istituti troviamo ancora bagni dove mancano i bidet», nonostante siano obbligatori nelle sezioni femminili da ormai 25 anni.
In alcuni casi è difficile trovare dei vestiti all’interno degli istituti perché, come spiega Testa, «alcuni penitenziari non vendono indumenti intimi femminili o non hanno delle taglie adatte». Anche l’organizzazione dei vari blocchi detentivi pone seri problemi, che emergono per esempio quando le donne hanno bisogno di cure mediche. Sia a Sassari che a Uta il Servizio di assistenza intensificato (Sai), cioè la struttura che ospita i reparti ospedalieri degli istituti penitenziari, si trova all’interno del blocco maschile. Non rimane che adattarsi, per cui se una detenuta deve essere ricoverata nel Sai viene ricavata una stanza apposita, ma rimane pur sempre all’interno della sezione maschile.
Sono pochissime le detenute che possono lavorare fuori dal carcere
Oltrepassare i limiti, cambiare prospettiva
Le attività che le donne possono svolgere in carcere sono limitate. Il fatto che siano poche dovrebbe essere un vantaggio, perché si può lavorare con più attenzione sul reinserimento sociale e al contempo migliorare le loro condizioni di detenzione. Invece, allo stato attuale, sono pochissime quelle che possono lavorare fuori dal carcere, mentre chi lavora al suo interno non ha un contratto formale dato che le attività sono considerate trattamentali. Sono quindi occupazioni a breve termine, poco professionalizzanti eppure risultano molto partecipate.
In questo scenario le associazioni che operano nelle sezioni femminili sono gli ultimi baluardi che offrono alle detenute la possibilità di reinventarsi per guardare al futuro. I progetti proposti da queste realtà hanno permesso alle detenute di cimentarsi in varie attività come corsi di cucina professionalizzanti, oppure pubblicare un libro – Oltre, Pettirosso editore – nel quale, liberamente, si raccontano.

Il carcere minorile “fuorilegge“
Da diverso tempo, i ragazzi che entrano nell’unico Istituto penale per i minorenni (Ipm) dell’isola sperimentano una situazione al limite della decenza. «L’istituto di Quartucciu è fuorilegge, la struttura non è a norma», spiega Irene Testa; durante le sue visite trova «vetri rotti e grate arrugginite, prese elettriche pericolose, perdite d’acqua, oltre a due sezioni pericolanti». Insomma, lo Stato cerca di insegnare qualcosa ai ragazzi relegandoli in un edificio «in condizioni strutturali peggiori rispetto a qualsiasi altro carcere per adulti dell’isola», spiega la garante.
Si trova in un complesso di 20.000 metri quadri costruito negli anni ’70 come carcere di massima sicurezza. Oggi è in gran parte fatiscente e di conseguenza completamente inadeguato per accogliere dei minori. L’edificio principale è circondato da caseggiati in stato di abbandono e inoltre il secondo piano dell’immobile in cui alloggiano i ragazzi risulta chiuso perché pericolante. Dal 2024 sono in corso dei lavori di ristrutturazione, ma la consegna prevista per il 20 luglio scorso non è stata rispettata, quindi i ragazzi dovranno aspettare settembre per avere delle stanze ristrutturate, dove però andranno solo a dormire. Infatti, fa notare Testa, «tutte le attività trattamentali e il personale rimangono nel vecchio blocco, anch’esso da ristrutturare».
Un problema non secondario riguarda anche la collocazione extraurbana dell’Ipm, posto che si trova in un luogo impossibile da raggiungere con i mezzi pubblici, questione che provoca notevoli disagi quando si tratta di effettuare semplici colloqui con i familiari, ma anche quando si progettano delle attività di reinserimento all’esterno della struttura. Anche in queste condizioni, solo l’attenzione costante da parte della direzione dell’istituto, oltre alla disponibilità dei volontari e degli stessi lavoratori dell’istituto, consente di sopperire a questa grave mancanza.

Il limbo degli internati
Gli internati sono detenuti che hanno già scontato la loro pena ma, essendo considerati socialmente pericolosi, possono essere privati della libertà in previsione di una reiterazione del reato. Si parla impropriamente di “ergastolo bianco” perché, di fatto, questa misura di sicurezza può essere estesa per un periodo pari agli anni previsti per la pena già scontata. Se anche questa proroga della detenzione avesse potuto avere un senso, la sua funzione è stata compromessa da un sistema che non fornisce l’assistenza adeguata.
Nel 2024 si contano 35 internati destinati alla casa di reclusione di Isili. Questa struttura, secondo la relazione della garante, dispone di soli 20 posti per queste persone. Di conseguenza il tasso di occupazione relativo alla sola sezione degli internati raggiunge il 175%, contro un’occupazione del 40% della sezione dei detenuti comuni. Qui, anche a causa della grave mancanza di personale, non sono disponibili attività qualificate. Tutte le attività quindi sono ridotte e gli internati lavorano per pochissime ore al giorno.
Oltre agli internati presenti a Isili, altri 16 sono ospitati presso la Residenza per l’esecuzione di misure di sicurezza (Rems) di Capoterra. Le Rems sono strutture residenziali con funzioni terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative, dove vengono accolti i condannati con disturbi mentali. Gli ospiti di queste strutture dovrebbero partecipare a percorsi terapeutici riabilitativi e abilitativi, ma a Capoterra, nei fatti, non vengono rispettate le prescrizioni riguardanti il personale, cioè il primo tassello che dovrebbe garantire la piena esecuzione di queste importanti attività.
Come se non bastasse, lo stesso direttore sanitario denuncia il fatto che non ci siano mai stati, negli ultimi dieci anni, progetti da parte della Asl, della Regione o dello Stato. Nella Rems di Capoterra le attività di riabilitazione sono dimezzate, così la struttura non assolve pienamente alla sua funzione trasformandosi in un ennesimo carcere. Qui i percorsi di degenza durano il doppio rispetto a tutte le altre strutture, una condizione che fa segnare l’ennesimo triste record. Infatti, è la Rems che registra i tempi di degenza più lunghi a livello nazionale.
Puoi leggere l’inchiesta integrale di Andrea Carboni su Indip.it
Informazioni chiave
Il panorama carcerario sardo
La popolazione carceraria è composta soprattutto da uomini adulti. Donne, minori e internati vivono situazioni ancora più difficili, in strutture non pensate per loro. Ruolo decisivo ma insufficiente ce l’hanno le associazioni, i volontari e coloro che sono garanti delle persone private della libertà.
Donne detenute
Sono solo il 2% della popolazione carceraria e vivono in strutture non a norma: assenza di bidet, carenza di indumenti adeguati, reparti sanitari inseriti nei blocchi maschili. Le opportunità lavorative scarse, soprattutto fuori dal carcere, ma le associazioni suppliscono con progetti di volontariato.
Minori
L’Istituto penale di Quartucciu è definito dalla garante sarda dei detenuti Irene Testa come “fuorilegge”, tra vetri rotti, impianti pericolosi, sezioni fatiscenti. La struttura è degli anni ’70, risulta inadeguata e mal collegata ai centri urbani.
Internati
Sono persone che hanno scontato la pena ma sono ritenute socialmente pericolose. Nella casa di reclusione di Isili ci sono 35 internati per 20 posti, con quindi un sovraffollamento al 175%. Anche per loro ci sono mancanze relative le attività qualificate e il personale.










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