Cogenitorialità: ecco perché la cura dei figli deve essere condivisa fra mamma e papà
Contrariamente ad altri paesi, l’Italia è molto indietro nella costruzione di un contesto che favorisca la cogenitorialità. Eppure questo passaggio è fondamentale per tutti.
In Italia, i numeri ci dicono come la cura dei figli sia ancora vista come una responsabilità quasi esclusiva delle madri: congedo di paternità di soli dieci giorni, un tasso di abbandono del lavoro tra le neomadri che sfiora il 20%, una cultura che fatica a riconoscere i padri come protagonisti della cura. Eppure la cogenitorialità non è un sogno irrealizzabile: è un orizzonte che possiamo costruire insieme con politiche, gesti quotidiani e un nuovo modo di intendere la famiglia.
Sulla carta è anacronistica, ma nella realtà non lo è affatto. E così la domanda – perché, ancora oggi, la cura dei figli ricade quasi esclusivamente sulle donne – mi torna spesso nella mente, ogni volta che incontro una famiglia o leggo i dati sul lavoro femminile in Italia. Questa visione non solo limita le opportunità delle madri, ma priva i padri di un ruolo attivo e vitale nella crescita dei loro bambini e delle loro bambine.
Lo “sguardo fuori”: l’Europa e l’Italia
Basta guardare a un numero che parla da sé: in Italia il congedo di paternità obbligatorio è di soli dieci giorni. Dieci giorni per accogliere un figlio, per stare accanto alla propria compagna, per trovare insieme un nuovo equilibrio. Nel frattempo, in paesi come la Spagna, i papà hanno a disposizione sedici settimane; in Svezia addirittura 480 giorni di congedo parentale, distribuiti tra madre e padre con quote non trasferibili. È evidente: mentre altrove si lavora per garantire una reale condivisione, da noi il passo è ancora troppo breve.

Questa asimmetria pesa soprattutto sulle donne. Una ricerca recente ci ricorda che circa una madre su cinque lascia il lavoro entro il primo anno di vita del bambino. Non per scelta, spesso, ma per mancanza di sostegni, servizi, tutele. È un dato che racconta di carriere interrotte, di talenti messi da parte, di famiglie in cui la fatica della cura ricade su una sola spalla. Eppure la cogenitorialità non è solo una questione di equità professionale. È anche – e soprattutto – un atto di giustizia verso i bambini, che hanno diritto a crescere con genitori presenti, partecipi, entrambi riconosciuti nel loro ruolo di cura.
Cogenitorialità: la prospettiva della doula
Come doula, questo tema mi tocca da vicino. Non perché io mi occupi di leggi o di politiche pubbliche, ma perché vedo nel quotidiano le conseguenze concrete di queste mancanze. Madri stanche, che si sentono sole in un compito che dovrebbe essere condiviso. Padri desiderosi di esserci, ma schiacciati da ritmi di lavoro che non lasciano spazio, o frenati da stereotipi che li raccontano come figure marginali. O famiglie non convenzionali e profondamente ricche di risorse, che faticano a trovare riconoscimento.
La quota di neomamme che abbandona il lavoro entro il primo anno di vita del bambino.
La durata del congedo di paternità in Italia.
La cogenitorialità allora non è un ideale astratto. È qualcosa che inizia nelle case, nei piccoli gesti quotidiani, nelle scelte di coppia. Ma ha bisogno di essere sostenuta da una cultura e da politiche che la rendano possibile. Perché non si può chiedere a una famiglia di cambiare da sola, se attorno non c’è un tessuto sociale che accompagna, incoraggia, tutela.
Per questo accanto ai gesti quotidiani occorrono passi concreti. Estendere il congedo di paternità oltre i dieci giorni è uno di questi. Altrettanto importante è creare incentivi che incoraggino davvero i padri a usufruirne, senza sentirsi penalizzati. Perché alla scrivania i commenti del tenore di “ma questo bambino o questa bambina non ce l’ha una mamma?” quando si chiede un permesso per esercitare il proprio ruolo di padre – diciamolo – non aiuta.
Servono campagne culturali che scardinino l’idea che la cura sia una faccenda “da donne” e politiche aziendali capaci di investire nel benessere di entrambi i genitori, favorendo così la cogenitorialità. Solo così la condivisione diventa reale, possibile, quotidiana. Il cambiamento sarà forse più lento di quanto sarebbe opportuno, ma io credo che valga la pena percorrerlo con fiducia. Perché ogni passo verso una genitorialità più equa porta con sé carichi più leggeri, bambini che crescono in famiglie più serene e adulti più equilibrati, che si scoprono capaci di prendersi cura insieme. Senza più ruoli prestabiliti, ma con la libertà di esserci davvero.
Vuoi approfondire?
Leggi il report “Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2025” stilato da Save the children.










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