12 Settembre 2025 | Tempo lettura: 8 minuti

La paulonia è virtuosa o dannosa? Facciamo chiarezza con il Professor Barbiero

Quando abbiamo parlato di un progetto di piantumazione della paulonia hanno cominciato a circolare molte critiche senza basi scientifiche. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Barbiero, docente di biologia e di ecopsicologia e direttore del Laboratorio di Ecologia Affettiva (GREEN LEAF) all’Università della Valle d’Aosta.

Autore: Daniel Tarozzi
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La paulonia è una pianta al centro del dibattito ultimamente per le sue proprietà ecologiche ed ecosistemiche. Ne avevamo già parlato il mese scorso in occasione della presentazione della campagna di World Tree, un progetto for-profit-for-good che ha lo scopo di piantare alberi per contrastare la crisi climatica sostenendo la coltivazione, nel continente americano, proprio della paulonia.

Per approfondire l’argomento – già la pubblicazione del primo articolo ha stimolato un dibattito molto partecipato, destante l’interesse di molte persone – ho deciso di parlarne con il biologo e ricercatore – nonché mio mentore quando si parla di ecologia, ambiente, Natura – Giuseppe Barbiero dell’Università della Val D’Aosta. Ho chiesto al professor Barbiero di sviscerare insieme alcuni dei punti potenzialmente critici nel coltivare la paulonia e ne ho approfittato per ampliare un po’ la riflessione – come sempre accade quando lo sento – sul rapporto tra umani e Natura e tra selvatico e “coltivato”.

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Giuseppe Barbiero

È vero che richiede tanta acqua?

Il nostro debunking delle informazioni errate sulla paulonia parte all’acqua. In molti hanno criticato le coltivazioni della paulonia sottolineando che richiederebbe molta acqua. Barbiero sottolinea come questo tipo di critica incarni un certo modo di pensare: «Le piante giovani hanno sempre bisogno di acqua, qualsiasi sia la specie, ma non appena viene sviluppato un apparato radicale robusto, questa necessità viene meno e la pianta diventa autonoma a differenza di coltivazioni come il mais, che richiedono costantemente acqua».

Un coltivatore italiano di paulonia che ho interpellato per completare il quadro con qualche suggerimento pratico ha precisato: «Bisogna stare attenti, perché queste piante soffrono il ristagno di acqua. Consiglio quindi per i primi tre o quattro anni l’irrigazione a goccia», che è un sistema che – oltre a evitare i ristagni – minimizza i consumi.

È una pianta invasiva o no?

L’altra critica ricorrente è che la paulonia è una pianta alloctona – cioè aliena, non caratteristica di un determinato territorio – e invasiva. Sul primo punto nulla da eccepire se parliamo di Italia. Nel nostro Paese infatti, la paulonia è una pianta decisamente non autoctona e – come tutte le piante alloctone – la sua presenza altera gli equilibri “naturali” di un determinato territorio. Premesso che anche i pomodori, il riso e centinaia di altre “nostre” piante sono arrivate dall’estero, è opportuno precisare che la campagna di World Tree si riferiva a coltivazioni presenti nel continente americano.

Ho comunque chiesto al professor Barbiero se è vero che esistono varianti sterili della paulonia e se questa loro sterilità protegge un territorio dai rischi di “invasione”. «Certo, la sterilità delle piante si può ottenere in molti modi. In generale la paulonia è una pianta alloctona che può quindi alterare un ecosistema. Ci sono creature alloctone invasive come l’alianto – che è davvero pericoloso per i nostri ecosistemi– e altre piante come la paulonia, che persino nella loro variante non ibrida e quindi non sterile sono tranquillamente contenibili». In ogni caso la variante proposta da world tree è quella sterile.

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Per non lasciare dubbi a chi leggerà questo pezzo – e a me per primo – ho comunque chiesto a Barbiero quali potessero essere gli effetti negativi della coltivazione di paulonia – anche nella sua variante sterile – in Italia. «Qualsiasi pianta alloctona genera un impatto. Anche se la pianti in un ambiente desertico, stai involontariamente alterando quel determinato ecosistema desertico, abitato da determinati animali e piante». Questo ovviamente non vale solo per la paulonia ma per qualsiasi intervento umano su un determinato territorio. Per completezza e con l’aiuto dell’intelligenza artificiale ho creato una piccola guida che ci aiuti a distinguere la paulonia fertile – tomentosa – da ibrida sterile – Shan Tong:

Fiori

  • Tomentosa: fiori molto abbondanti, più chiari (lilla-rosati), con vistose macchie gialle nella gola.
  • Ibrida: fiori simili ma in genere più grandi e più scuri (lilla-violacei intensi).

Foglie

  • Tomentosa: foglie enormi, cuoriformi, morbide e pelose al tatto.
  • Ibrida: foglie grandi ma più spesse e meno pelose, leggermente più coriacee.

Frutti/Semi

  • Tomentosa: produce capsule legnose piene di semi piumosi – si vedono spesso secche sugli alberi a fine estate.
  • Ibrida sterile: può produrre capsule, ma vuote o con semi non vitali → non troverai la dispersione “a batuffoli” tipica della tomentosa.

Crescita

  • Ibrida: in condizioni buone cresce più velocemente (anche 3-5 metri l’anno), con tronco diritto e per questo è selezionata proprio per la produzione di legno e biomassa.
  • Tomentosa: cresce veloce, ma meno regolare e con tronco più tortuoso.

Indizi più evidenti:

  • Se vedi tanti frutti secchi pieni di semi piumosi è quasi certamente tomentosa ovvero fertile.
  • Se non trovi semi vitali o capsule consistenti è molto probabile che sia un ibrido sterile di varietà Shan Tong.
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Fiori di paulonia tomentosa

La paulonia è coltivata in monocultura e altera paesaggio e territorio?

La monocoltura – qualsiasi monocoltura – riduce la biodiversità e altera paesaggio e territorio. Solo il 4% del territorio mondiale è “intoccato” dall’essere umano. Se attraversiamo la pianura padana possiamo osservare centinaia di chilometri di monoculture. Se innestiamo una monocultura di paulonia quindi stiamo senz’altro alterando paesaggio e territorio. Nel caso di World Tree, come detto, le piantagioni non sono in monocultura e non sono in Italia. Su questo aspetto ho interpellato anche Kutluhan Özdemir che è tra i massimi divulgatori dell’agricoltura naturale e del “non fare” e che ha inserito qualche pianta di paulonia nella sua fattoria nelle Marche: «La paulonia è un albero che cresce veloce, produce tanta biomassa, è forte e importante anche per l’apicoltura», mi ha risposto.

«Ciò non significa che oggi viene presentato in modo esagerato, come pianta dei miracoli che risolve qualsiasi problema, inclusa la desertificazione. Non è così ovviamente ma ha sicuramente un valore. Anche io ne ho piantate alcuni esemplari. L’importante è non farne una monocultura. Ha un grande valore ma non è una pianta magica». Anche Barbiero – in sintesi – sottolinea come qualsiasi coltivazione umana tenda verso la monocultura e che il tema non è se coltivare o meno la paulonia ma dove coltivare cosa e più in generale cercare di non innestare troppe monoculture – discorso che vale, come ribadito più volte, per qualsiasi coltivazione).

Il legno della paulonia è un buon legno?

Se coltivi la paulonia per accendere il fuoco stai facendo un danno. Nel farlo infatti annulli l’effetto positivo principale della sua coltivazione a livello ecologico – la cattura di CO2 – e inoltre stai usando un legno “morbido”, facile da lavorare, buono per essere lavorato da artigiani di vario genere in modo poco efficace.

La piantumazione di paulonia è una speculazione finanziaria?

La paulonia di per sé ovviamente non è una speculazione finanziaria, ma una semplice pianta, così come la sua coltivazione – a determinate condizioni – non implica alcuna operazione finanziaria. Detto questo, l’operazione proposta da World Tree è assolutamente un’operazione anche finanziaria. Lo è dichiaratamente. L’idea che li muove è: “Se raccolgo capitale e lo investo in qualcosa di buono per migliorare le condizioni del Pianeta, in questo modo posso raggiungere l’obiettivo più velocemente. Chi dovrebbe mettere i soldi è più invogliato a farlo perché ha un guadagno nel medio termine. Sta investendo sul futuro a livello ecologico ed economico”.

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Kutluhan Özdemir

Ovviamente è un tema complesso. È più che legittimo essere contrari per principio a qualsiasi investimento “finanziario”. Non posso però non sottolineare che, in questo caso, la differenza la fa proprio il “cosa”: non sto investendo in armi o multinazionali di vario genere, ma in una pianta che assorbe CO2 inserita in coltivazioni sufficientemente biodiverse, in territori da rigenerare e finalizzate a generare un ottimo legno.

Lo stesso Barbiero, da me stimolato sul tema, mi fa notare come «da un lato ci sia un’etica che ti dice di evitare certi tipi di azioni, dall’altro se torni a una radice naturale delle cose, tutte le specie sono “opportuniste”. Fanno qualcosa che torna loro utile per sopravvivere e riprodursi. L’investimento finanziario, se ci pensi, risponde a questo tipo di logica. Certo, questo discorso vale per investimenti che non fanno danni ad altri o al Pianeta, ma che fanno crescere il valore “ecologico” e – perché no? – economico».

Tra selvatico e coltivato

Prima di salutarci chiedo a Barbiero cosa pensi lui della coltivazione della paulonia. «Credo che la riflessione più grande che andrebbe fatta a livello ecologico è tra selvatico e coltivato. Forse dovremmo immaginare un mondo in cui da una parte c’è uno spazio “coltivato”, in cui inserire anche piante come la paulonia, e una parte di spazio “selvatico”, in cui noi non entriamo proprio, addirittura non interveniamo nemmeno per spegnere un incendio. Ma siamo pronti per un mondo del genere, in cui noi ci facciamo da parte in una porzione del Pianeta? Detto questo, in un mondo in cui coltiviamo perché non coltivare anche la paulonia?».

Barbiero mi racconta che se mettessimo tutti gli esseri umani del mondo in uno stesso luogo, sarebbe sufficiente il Grand Canyon a contenerli. Di base quindi occuperemmo pochissimo spazio. È l’impatto di queste persone che genera problemi. Tornando alla paulonia quindi non è la sua presenza in sé a generare problemi. Dipende dove la metti. «Se coltivi in spazi industriali abbandonati o simili, perché no?», conclude il biologo.

Vuoi approfondire?

Clicca qui per partecipare alla piantumazione di alberi di paulonia.

Questo articolo fa parte di una collaborazione con World Tree – Growing Trees for Purpose and Profit.

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