Il Pellicano: inclusione e socialità possono coesistere con un modello di business di successo
Da oltre quarant’anni la Cooperativa Il Pellicano coniuga lavoro, disabilità, attenzione ambientale e responsabilità sociale. Una storia che dimostra come si può fare impresa con il cuore e con la testa.
Una nebbia fitta e un cielo grigio ci accompagnano nel cuore della pianura veneta. Qua, a Bovolone – in provincia di Verona – un gruppo di persone animate dai valori di umanità e solidarietà porta avanti da molti un sogno diventato realtà, quello della Cooperativa Il Pellicano. Alle 10:00 arriviamo all’appuntamento, accompagnata da Michele Rettondini di Confcooperative Verona, di cui Il Pellicano fa parte. Davanti alla sede ci attende Erica, sorridente, emozionata, determinata. Pronta a raccontarci una storia che profuma di legno e solidarietà, di sfide affrontate con il cuore e di risultati costruiti con le mani. Da poco Erica è stata eletta presidente della cooperativa.
Ma partiamo dal principio: era il 1979 quando, in un piccolo laboratorio di 110 metri quadri, un gruppo di giovani famiglie di Bovolone – il “gruppo del sabato”, che si ritrovava ogni settimana per pregare e riflettere insieme – decise di rispondere a un bisogno reale: offrire un futuro lavorativo dignitoso a persone con disabilità. Da un’indagine emerse che oltre 50 famiglie della comunità vivevano la realtà della disabilità senza alcuna possibilità di inclusione lavorativa. Il sistema produttivo locale, nonostante il boom dell’artigianato del mobile, non era disposto ad accogliere lavoratori considerati “diversi”. Così, come risposta concreta, nacque Il Pellicano.
Il nome della cooperativa, Il Pellicano, nasce da una poesia di Alfred de Musset. Racconta di un pellicano che, non trovando cibo, si lacera il petto per nutrire i suoi piccoli con il proprio cuore. È un’immagine potente, simbolo di sacrificio generativo, di cura estrema, di dono. Ecco lo spirito che anima questa realtà fin dal suo primo giorno: mettere il cuore in tutto ciò che fa. Anche e soprattutto nel lavoro.
Dal gruppo del sabato alla cooperativa del futuro
Quella che era una piccola scommessa sociale è oggi una realtà strutturata che impiega circa 25 persone, con una significativa presenza di lavoratori e lavoratrici con disabilità. La cooperativa lavora nel settore dell’arredo contract per alberghi, comunità, istituzioni, banche, negozi. Unisce qualità artigianale, tecnologia avanzata e un modello organizzativo fondato sull’inclusione e sulla sostenibilità. Erica ci guida tra i reparti produttivi: presse, macchine CNC, zone di imballaggio. Ogni persona ha il suo compito, il suo spazio, la sua responsabilità. Ma c’è anche spirito di squadra, come ci racconta Nicola, 49 anni, di cui 27 passati qui. Chiacchierone, allegro, orgoglioso: «Questa è la mia azienda. E anche la mia famiglia.»
Nicola è anche il caporedattore del giornalino natalizio della cooperativa, che ogni anno racconta successi, momenti condivisi, tappe di un cammino umano e professionale. Accanto a lui c’è Marco, che lavora al computer progettando ambienti su misura con software all’avanguardia. Beatrice, con occhi verdi e sorriso timido, ha appena finito di impacchettare i regali di Natale per i clienti. Tabita, arrivata da tre giorni, si muove con attenzione e curiosità nel reparto intarsi.

E poi c’è Gianna, una delle fondatrici. Piccola di statura ma gigantesca nella memoria collettiva. Fu lei, con altre famiglie, a dire “basta” a una società che escludeva. E a proporre un’alternativa: un’impresa cooperativa e sociale in cui ciascuno potesse contribuire secondo le proprie capacità. Dove il lavoro fosse strumento di dignità. L’inclusione qui è concreta. Ogni nuova persona inserita segue un percorso di affiancamento, formazione e graduale responsabilizzazione. Ma, come sottolinea Erica, l’obiettivo non è solo accogliere: «Siamo qui per lavorare. Chi vuole lo stipendio, deve impegnarsi e anche bene», sottolinea. «Sennò, cavoli nostri», aggiunge Nicola. E scoppia una risata corale. Ma il messaggio è serio: dignità e professionalità, sempre.
Inclusione al lavoro: non un gesto, ma un progetto
Ma l’umore allegro non nasconde le difficoltà. Erica si commuove spesso durante il nostro incontro. Non per fragilità, ma per consapevolezza: tenere insieme efficienza produttiva, mercato, innovazione e inclusione non è facile. Il Pellicano ha dovuto reinventarsi più volte, affrontare crisi economiche, mutamenti del mercato e cambi generazionali. Accanto alla missione sociale infatti ha sviluppato una forte vocazione ecologica e una gestione economica attenta e responsabile. Da un paio d’anni infatti Il Pellicano è una B Corp ovvero fa parte di una rete di aziende che hanno l’obiettivo di creare un valore economico rigenerando la società, la natura e la biosfera.
Il Pellicano ha investito in macchinari, software, formazione. Ha installato un impianto fotovoltaico da 200 kW che copre il 70% del fabbisogno energetico. Ricicla gli scarti, utilizza materiali a basso impatto, cura il benessere dei lavoratori. Ma non sempre tutto questo viene riconosciuto dal mercato. «Non è facile far percepire il valore aggiunto di un’impresa sociale che lavora con la stessa qualità – o anche migliore – di una azienda profit», dice Erica.

Nel 2015, per l’Expo di Milano, Il Pellicano ha realizzato il rivestimento esterno del padiglione della Russia: oltre 3000 pannelli tamburati in rovere, in tempi record. Un lavoro riconosciuto, apprezzato, che ha dato visibilità nazionale alla cooperativa. Ma non solo: ha confermato che qualità e disabilità non sono opposti. Possono coesistere. E generare eccellenza. Oggi è un esempio di cooperativa “socio-eco-sostenibile”. Cosa significa? Significa, prima di tutto, essere sociali: mettere le persone al centro. Non solo offrendo un lavoro, ma offrendo un percorso. Un’occasione per sentirsi parte, utili, competenti, necessari. E significa anche essere economicamente sostenibili: capaci di stare sul mercato, di innovare, di adattarsi, di crescere. Non si tratta di beneficenza, ma di impresa. Un’impresa con l’anima.
Una cooperativa che vola
Alla fine della visita, Erika ci offre una merenda con dei biscotti. È un gesto semplice, ma carico di significato. Mentre sorseggiamo un caffè, mi guarda con gli occhi lucidi: «A volte mi chiedo se stiamo facendo abbastanza. Ma poi guardo le persone qui dentro. E so che sì, siamo sulla strada giusta.» E io penso che sì, Il Pellicano sia sulla strada giusta. Perché fa impresa, crea valore, produce bellezza. Ma soprattutto, include. E questo, oggi, è già rivoluzionario.
Questa storia ci insegna che si può fare impresa in modo diverso. Che il lavoro può essere strumento di emancipazione e non solo di profitto. Che l’ambiente va rispettato anche tra i macchinari e le vernici. Che la disabilità non è un limite, ma un modo altro di stare al mondo. Che il cuore, anche in economia, conta. Il Pellicano continuerà a volare. Non in alto, forse. Ma certamente lontano. Portando nel becco un pezzetto di umanità da offrire a chi ha fame di dignità. E chissà che non sia proprio questa la direzione giusta per cambiare il mondo.










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