Burkina Faso approva la criminalizzazione dell’omosessualità: 2‑5 anni di carcere e multe, espulsione per stranieri
La nuova legge, voluta dalla giunta militare di Traoré, rafforza la repressione dei diritti LGBT+ in un clima politico sempre più autoritario e identitario.
L’Assemblea legislativa di transizione ha approvato all’unanimità, il 1° settembre 2025, una modifica al codice della famiglia che rende illegali i rapporti omosessuali, punibili con reclusione da due a cinque anni e multa, mentre gli stranieri coinvolti rischiano l’espulsione. Il ministro della Giustizia ha definito l’omosessualità un “comportamento bizzarro” e ha giustificato la legge come tutela dei valori tradizionali di matrimonio e famiglia.
Il Burkina Faso, già tra i paesi con normative consolidate, fa ora un passo indietro rispetto a diritti LGBT+ minimi: precedentemente l’omosessualità era de iure legale, anche se mai protetta o socialmente accettata, mentre l’unica restrizione vigente era al matrimonio tra persone dello stesso sesso, sancita dalla Costituzione del 1991.
L’iniziativa avviene sotto la guida del capitano Ibrahim Traoré, al potere dalla fine del 2022 in seguito a un colpo di stato. Traoré è spesso dipinto come leader giovane, carismatico e pan‑africanista, impegnato a liberare il paese dall’influenza occidentale.
Le sue politiche economiche sono state in effetti molto incisive: ha nazionalizzato due miniere d’oro, avviato la costruzione del primo stabilimento nazionale per la raffinazione dell’oro, e creato SOPAMIB, la società statale di investimento minerario, che ha acquisito ulteriori concessioni e ha imposto una partecipazione minima del 15 % per lo Stato in nuovi progetti. Ha anche dedicato un mausoleo a Thomas Sankara, grande politico burkinabè e figura chiave del panafricanismo.
Queste mosse sono interpretate come parte di una strategia di sovranità economica volta a reinvestire le risorse nel tessuto nazionale, nell’istruzione, nell’industria e nelle infrastrutture.
Tuttavia, il quadro politico è segnato anche da autoritarismo: repressione di media indipendenti, arresti arbitrari di giornalisti, chiamate forzate alle armi e sospensione di media come France 24 e RFI. Inoltre, il paese è ancora lacerato dall’insorgenza jihadista, con milioni di sfollati e vaste aree ancora sotto il controllo di gruppi armati.
La legge si innesta in un contesto culturale caratterizzato da forte stigmatizzazione dell’omosessualità. Studi precedenti indicano un livello generalizzato di pregiudizio: nel 2019 solo l’8 % della popolazione dichiarava tolleranza verso un vicino omosessuale. Il regime, inoltre, ha già limitato la libertà di espressione su questi temi vietando la diffusione televisiva di contenuti ritenuti promotori dell’omosessualità, soprattutto verso un pubblico giovanile.
Le organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato l’insicurezza crescente e la paura tra le persone LGBT+: coercizione, violenze e ricatti, spesso impuniti, alimentano la clandestinità della comunità. Un ballerino professionista, Aziz (nome di fantasia), ha raccontato a El Pais: «viviamo nascosti, ora ci dicono di smettere di esistere».
Il governo Traoré si presenta al contempo come innovativo e autoritario. Le sue politiche anti-occidentali e di sovranità economica hanno il plauso di una parte della popolazione giovane, ma suscitano forti critiche sulla mancanza di libertà civili e sull’attacco ai diritti umani.
La nuova legge segna un’ulteriore regressione nei diritti fondamentali, inserendosi in una tendenza più ampia nel continente africano, dove molti paesi stanno chiudendo spazi di libertà per le persone LGBT+. Le conseguenze più allarmanti si registrano a livello interno – dove si intensifica la discriminazione – e in ambito internazionale, con possibili tensioni con organizzazioni per i diritti umani e paesi occidentali.







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