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10:47 19 Dicembre 2025 | Tempo lettura: 3 minuti

Sembra che Eni abbia rinunciato alle licenze esplorative in acque palestinesi

In una risposta a Report, Eni scrive di non prevedere future attività nell’area delle licenze offshore al largo di Gaza. ReCommon legge un possibile passo indietro e chiede chiarimenti.

Autore: Redazione
cartina israele palestina


“Eni non prevede di essere coinvolta in attività nell’area nel futuro”. La frase compare in una risposta inviata da Eni alla redazione di Report e pubblicata tra i documenti del servizio “Chi prega per la guerra” (andato in onda su Rai3 il 14 dicembre). Nello stesso testo l’azienda afferma di aver partecipato a una gara “legalmente indetta” e sostiene che, dopo la procedura, “la licenza non è stata concretamente assegnata” e che non è stata avviata alcuna attività esplorativa nell’area.

Per ReCommon, che rilancia la notizia, questa posizione potrebbe implicare la rinuncia a proseguire su licenze contestate perché riguarderebbero, in parte, acque rivendicate come palestinesi secondo il diritto internazionale. L’organizzazione sottolinea la pressione esercitata negli ultimi anni da società civile e interrogazioni parlamentari, e invita a “cristallizzare” l’affermazione come impegno da verificare nei fatti.

La vicenda nasce nell’autunno 2023, quando il Ministero dell’Energia israeliano ha annunciato l’assegnazione di nuove licenze di esplorazione di gas offshore nel Mediterraneo a diversi operatori, tra cui un consorzio che comprende Eni (con Dana Petroleum e Ratio Energies) per la cosiddetta “zona G”, citata da più fonti come area contesa al largo di Gaza. In Italia, nel febbraio 2024, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha riferito in Parlamento che il contratto era “ancora in via di finalizzazione”, che il consorzio “non ha alcuna titolarità sull’area” e che “non sono in corso operazioni”, aggiungendo che non risultava alcuno sfruttamento di risorse.

Molte organizzazioni palestinesi per i diritti umani hanno definito illegali” le licenze in aree marittime palestinesi e hanno chiesto alle aziende coinvolte di astenersi da attività, richiamando il diritto internazionale e le delimitazioni rivendicate dallo Stato di Palestina.

Nel documento pubblicato da Report, Eni risponde anche alle critiche sulle partnership. Le critiche sulle “partnership” riguardano soprattutto l’operazione tra Eni UK e Ithaca Energy: nel 2024 ReCommon (e altre realtà della società civile) ha contestato l’accordo perché Ithaca era allora controllata in larga parte da Delek Group, indicata come presente nel database dell’OHCHR sulle imprese coinvolte in attività legate agli insediamenti israeliani nei Territori occupati. Da qui l’accusa, formulata dalle ONG, di un rischio di complicità economica con l’occupazione e di un possibile sostegno indiretto a violazioni dei diritti umani, oltre alla richiesta che ENI interrompa o riveda l’intesa e chiarisca la due diligence svolta.

Eni risponde che l’operazione con Ithaca Energy sarebbe stata negoziata e conclusa tra Eni UK e Ithaca, e che la partecipazione di Delek “si è fortemente diluita”. Aggiunge inoltre che il database ONU citato nelle contestazioni non sarebbe una “lista nera” collegata a sanzioni. In altre parole l’azienda inquadra la vicenda come conforme alle norme e alle proprie policy, ma per le ONG rimane il tema della due diligence sui diritti umani e della responsabilità lungo le filiere energetiche.

Inoltre, per Greenpeace e altre organizzazioni, la “sinergia” Ithaca–Delek sarebbe problematica anche perché consolida e prolunga attività di estrazione di petrolio e gas – con ricadute su emissioni e lock-in fossile – e perché, nel contesto della guerra a Gaza, i legami energetici vengono letti come parte di un sistema di rendite e interessi che può alimentare conflitti e impunità.

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