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11:01 24 Ottobre 2025 | Tempo lettura: 3 minuti

USA e Cina si sfidano sul deep sea mining: le Isole Cook al centro del nuovo fronte geopolitico

Mentre molti stati chiedono moratorie sull’estrazione di metalli dai fondali marini, un’inchiesta del Guardian mostra che le due superpotenze stanno accelerano sull’esplorazione nel Pacifico.

Autore: Redazione
isole cook

Sotto migliaia di metri d’acqua, la piana abissale del Pacifico è costellata di noduli polimetallici: cobalto, nichel e manganese racchiusi in rocce scure che alimentano promesse e timori. Attorno alle Isole Cook, un micro-Stato tra Hawaii e Nuova Zelanda con una delle più vaste Zone economiche esclusive (ZEE, ovvero le aree di mare su cui uno stato esercita i diritti sovrani) del Pacifico, si sta aprendo un fronte in cui USA e Cina competono per influenza, dati e accesso a futuri permessi. A pochi giorni dalle ultime ricerche oceanografiche e da nuovi annunci politici, il quadro è chiaro: a crescere non è solo l’interesse industriale, ma anche la controversia ambientale.

A svelarlo è un’inchiesta del Guardian, che racconta come l’amministrazione statunitense abbia impresso un’accelerazione in primavera con un Executive Order che chiede di «prendere misure immediate» per sviluppare in modo “responsabile” le risorse minerarie dei fondali, includendo la quantificazione del potenziale nazionale e la semplificazione delle autorizzazioni. Nel solco dell’ordine presidenziale, Washington ha avviato una cooperazione con le Isole Cook: mappature batimetriche, scambio di dati e assistenza tecnica da 250.000 dollari per rafforzare le capacità locali.

Pechino si muove in parallelo. A febbraio è stato firmato un Action Plan bilaterale Cook–Cina 2025-2030 che include cooperazione su scienza dell’oceano e minerali dei fondali; la partnership prevede un comitato congiunto per coordinare attività e priorità, segnalando un interesse strategico che va oltre la pura ricerca. La Cina detiene oggi il maggior numero di licenze di esplorazione in acque internazionali rilasciate dall’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA), confermando il vantaggio accumulato nel settore.

Le esplorazioni marine profonde, o deep sea mining, rappresentano una sfida dal punto di vista ambientale e del diritto internazionale. La ricerca di minerali rari, presenti in abbondanza sui fondali marini e utili per la transizione energetica e digitale, sta spingendo alcuni Stati a investire in questo settore.

Dal punto di vista del diritto internazionale, La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) regola queste attività minerarie, che vanno oltre la giurisdizione nazionale, tramite l’ISA; la Cina è parte della Convenzione, gli Stati Uniti no, pur dichiarando spesso di rispettarne lo spirito.

Una coalizione crescente di Paesi – 38 secondo il Deep-Sea Conservation Coalition – chiede una moratoria o una pausa precauzionale sulle esplorazioni. Alcuni Paesi hanno già approvato leggi stringenti. Scienziati mettono in guardia da impatti potenzialmente irreversibili su ecosistemi fragili: rumore, vibrazioni, plume di sedimenti e possibili scarichi di acque di processo potrebbero alterare catene alimentari e migrazioni marine. La ricerca procede, ma molti elementi restano incerti e alimentano la richiesta di applicare rigorosamente il principio di precauzione.

Ad oggi, nessuna estrazione commerciale è iniziata in nessun punto del mondo: siamo nella fase delle prove tecniche, delle campagne di rilevamento e dei test dei veicoli minerari di nuova generazione. L’ISA ha rilasciato decine di contratti di esplorazione in alto mare, molti proprio nella Clarion-Clipperton, ma i regolamenti per l’estrazione restano oggetto di negoziato. Le Isole Cook, dal canto loro, non hanno autorizzato miniere: prima di ogni scelta il governo ha avviato valutazioni tecnico-ambientali e dichiara che procederà solo quando la base scientifica sarà robusta.

Nel mezzo di questa complessità, si trova la società civile delle Isole Cook. La rete di cittadini Te Ipukarea Society chiede vigilanza indipendente per evitare che siano i potenziali beneficiari dell’industria a dettare l’agenda della ricerca. I rischio è che le esigenze delle grandi potenze o delle multinazionali sovrastino le priorità delle comunità locali.

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