La Nuova Caledonia vieta l’estrazione mineraria in acque profonde
La Nuova Caledonia ha imposto un divieto di 50 anni sull’estrazione mineraria in acque profonde su una fascia di 1,3 milioni di chilometri quadrati.

La Nuova Caledonia, un arcipelago di isole nel sud Pacifico appartenenti alla Francia, ha imposto un divieto di 50 anni sull’estrazione mineraria in acque profonde su tutta la Zona Economica Esclusiva (ZEE) che si estende per circa 1,3 milioni di chilometri quadrati. Una decisione radicale e in controtendenza che colloca il Paese tra i più restrittivi al mondo in materia di estrazione dai fondali marini.
L’estrazione mineraria dai fondali oceanici, o deep sea mining, è considerato dalle grandi aziende e da alcuni sttai una frontiera strategica sempre più rilevante per l’approvvigionamento di risorse rare utili per la transizione energetica, come cobalto, nichel, manganese e terre rare, impiegate in batterie e tecnologie green.
Tuttavia, l’assenza di un quadro normativo internazionale condiviso rischia di trasformare questa corsa alle profondità marine in una nuova “febbre dell’oro”, dove ogni Stato o azienda si muove secondo regole proprie, alimentando dinamiche di concorrenza selvaggia e depredazione ambientale. Senza una governance globale chiara, il rischio è quello di una deregulation pericolosa che potrebbe causare danni irreversibili agli ecosistemi marini profondi, di cui conosciamo ancora molto poco, e acuire le disuguaglianze geopolitiche legate al controllo delle risorse strategiche.
La legge della Nuova Caledonia, che è stata approvata con ampio sostegno dal Congresso, è almeno in parte una risposta alle politiche Usa, dato che arriva all’indomani della firma del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di un decreto che autorizza l’attività mineraria in acque profonde internazionali, nonostante gli USA non siano firmatari del trattato che ha istituito l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA) nel 1982 e che definisce le acque internazionali e le loro risorse come patrimonio comune dell’umanità.
Da anni l’ISA sta cercando di finalizzare un “Mining Code” che stabilisca norme vincolanti per l’estrazione commerciale. Tuttavia, dopo oltre un decennio di negoziati, i progressi sono lenti e frammentati. Nel marzo 2025, durante la 30ª sessione del Consiglio dell’ISA a Kingston, Giamaica, si sono svolte intense discussioni sui regolamenti proposti, ma non è stato raggiunto un consenso definitivo. Almeno 32 paesi, tra cui Francia, Germania e Palau, hanno chiesto una moratoria o una pausa precauzionale sul deep sea mining, citando gravi rischi ambientali e la mancanza di conoscenze scientifiche sufficienti sugli ecosistemi marini profondi.
Parallelamente, alcune aziende e nazioni stanno cercando di aggirare il processo multilaterale. La canadese The Metals Company (TMC), ad esempio, ha annunciato l’intenzione di ottenere permessi per l’estrazione mineraria attraverso una legge statunitense del 1980, bypassando l’ISA.
«Nessuno Stato ha il diritto di sfruttare unilateralmente le risorse minerarie della zona al di fuori del quadro giuridico stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare», ha affermato Leticia Carvalho, a capo dell’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA), commentando il recente decreto di Trump. «Il rischio è che si possa creare un precedente pericoloso che destabilizzi l’intero sistema di governance globale degli oceani».
Con la nuova legge in Nuova Caledonia sarà consentita solo la ricerca scientifica non invasiva e attività che non causano danni irreversibili agli ecosistemi marini. La Nuova Caledonia ospita quasi un terzo delle barriere coralline incontaminate rimaste, l’1,5% delle barriere coralline mondiali. Un vero e proprio punto di riferimento per la biodiversità.
Nonostante questa ricchezza, non tutti sono d’accordo con la nuova legge adottata. Se per Jérémie Katidjo Monnier, consigliere locale, «piuttosto che cedere alla logica del profitto immediato, la Nuova Caledonia può scegliere di essere pioniera nella protezione degli oceani», per i membri dei gruppi Lealisti e Rassemblement-LR – entrambi allineati a partiti filo-francesi e anti-indipendentisti – la misura è “troppo rigida” e “ampiamente sproporzionata”. La decisione sarebbe anche in contrasto con gli obiettivi economici del territorio.
La Nuova Caledonia è il terzo più grande fornitore mondiale di nichel e l’azione politica del paese è orientata a uno sfruttamento continuo della risorsa, nel caso degli oceani si presenta, invece, come difensore dell’ambiente. È questa l’accusa mossa dal partito Renaissance.
Se la Nuova Caledonia sta optando per una protezione ambientale a lungo termine, come leva strategica per affermare la sovranità ambientale nei confronti delle multinazionali e di un forte segnale di impegno nei confronti delle generazioni future, territori come Nauru e le Isole Cook hanno espresso il loro sostegno all’esplorazione dei fondali marini. Anche tra gli stati insulari del Pacifico non si è ancora raggiunta una posizione comune.
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