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24 Novembre 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Come è andata a finire la COP30 di Belém – 24/11/2025

Dalla COP30 di Belém e dal piano di pace di Trump per l’Ucraina al rapporto tra Trump e il sindaco di New York Mamdani, fino alla misteriosa evacuazione di palestinesi da Gaza e al maxi-rapimento di studenti in Nigeria.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Questo episodio é disponibile anche su Youtube

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Trascrizione dell’episodio

Che le COP sul clima sforino le scadenze e ormai da diversi anni una consuetudine. Il problema è che ultimamente questa cosa accade senza che alla fine si raggiunga un accordo soddisfacente. 

L’accordo di quest’anno, poi, è stato forse particolarmente deludente perché c’è stato un momento a metà dei negoziati in cui una serie di fattori sembravano allinearsi e per qualche giorno si è sperato che si raggiungesse un accordo ambizioso, addirittura l’idea di una roadmap globale per uscire dai combustibili fossili. 

La presidenza brasiliana, la ministra dell’ambiente brasiliana Marina Silva, avevano lavorato anche con metodi considerati da alcuni controversi e non del tutto democratici, favorendo i negoziati bilaterali e a porte chiuse, gli accordi informali fra paesi, i do ut des, sperando di poter mettere alla fine tutti d’accordo anche 

Ma alla fine l’ostruzionismo dei cosiddetti petrostati, overo gli stati, capeggiati dall’Arabia Saudita e dalla Russia, le cui economie sono profondamente basate sul petrolio, hanno fatto muro e hanno impedito di inserire la roadmap nell’accordo finale.

Comunque, lascio che a raccontarvi come è andata, alla fine, sia qualcuno che alla COP30 di Belém c’era fisicamente. Viola Ducato, di Agenzia di Stampa giovanile, progetto editoriale di Viração & Jangada, che da più di dieci anni porta un gruppo di giovani trentini e trentine alla COP. E che produce questa rubrica dalla COP che si chiama XYZ. A te Viola:

Contributo disponibile all’interno del podcast

Grazie Viola. Restano tanti interrogativi. Incluso il ruolo ambivalente della Cina, che da un lato si propone come nuovo leader climatico globale, dall’altro fa una specie di doppio gioco sul tema della fuoriuscita dalle fontifossili.

Più ancora che di COP30 però, sui giornali si è parlato del piano di pace per la guerra in Ucraina presentato venerdì dall’amministrazione Trump. Che a detta di molti più che un piano di pace è un piano di resa per l‘Ucraina.

Il piano infatti è stato scritto a quattro mani dall’inviato speciale del governo russo Kirill Dmitriev e da quello dell’amministrazione statunitense Steve Witkoff. Non si tratta ancora di un testo definitivo, ma di una bozza comunque già molto dettagliata, scritta prendendo a modello il piano di pace in 20 punti per la guerra a Gaza approvato da Israele e Hamas e circolata sulla stampa Usa.

Ma vediamo cosa prevede: innanzitutto la Russia ottiene praticamente tutti i territori contesi: l’intero territorio del Donbas, nell’est dell’Ucraina, comprese le parti che la Russia non ha ancora conquistato e che quindi non controlla. La Crimea verrebbe riconosciuta come russa, e nelle regioni di Kherson e Zaporizhzhia il nuovo confine verrebbe collocato sull’attuale linea del fronte: la Russia quindi manterrebbe i territori occupati.

La Russia otterrebbe anche l’eliminazione graduale di tutte le sanzioni economiche approvate in questi anni, rientrerebbe nei circuiti economici e tornerebbe a essere invitata agli incontri del G8 (le otto maggiori potenze economiche mondiali). Il piano prevede anche una serie di future collaborazioni economiche tra Stati Uniti e Russia: i due paesi diventerebbero partner a lungo termine nel campo delle intelligenze artificiali e dei cosiddetti metalli rari (con progetti di estrazione nell’Artico).

L’unica cosa che otterrebbe l’Ucraina è la fine della guerra: a livello territoriale rinuncerebbe a quasi tutto, la Russia si ritirerebbe solo dalle piccole porzioni di territorio che ha occupato nelle regioni di Kharkiv e Sumy. L’Ucraina dovrebbe accettare anche la riduzione del suo esercito a un massimo di 600mila uomini: attualmente sono circa 800-850mila, prima della guerra erano 200mila circa. 

Molte di queste condizioni, tipo la cessione del Donbas, il riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, una riduzione così consistente del proprio esercito, sono state fin qui ritenute inaccettabili dal governo ucraino.

Sul piano dello scacchiere geopolitico, il piano prevede che l’Ucraina inserisca nella sua Costituzione l’impegno a non entrare nella NATO e che la NATO inserisca nel suo statuto una clausola ufficiale in cui si impegna a non accettare l’Ucraina. L’Ucraina inizierebbe invece l’iter per l’ingresso nell’Unione Europea, con accordi commerciali immediati. Interessante il fatto, in tutto ciò, che l’Unione Europea non sia stata nemmeno consultata nella redazione del piano. 

La ricostruzione dell’Ucraina verrebbe guidata – e come ti sbagli – dagli Stati Uniti, utilizzando 100 miliardi di dollari di fondi congelati russi, parte di quelli che l’Europa stava valutando di utilizzare come prestito per l’Ucraina: altri 100 miliardi di dollari dovrebbero arrivare proprio dall’Unione Europea. Che di nuovo, non è stata consultata.

Gli Usa svilupperebbero in Ucraina nuove infrastrutture per i gas naturali, investirebbero in aziende tecnologiche, data center e intelligenza artificiale, oltre che nell’estrazione di minerali e nello sfruttamento di risorse naturali. Dopo un’eventuale fine della guerra si dovrebbe formare un “Consiglio di pace” presieduto dagli Stati Uniti.

Il piano prevede che non possano esserci soldati della NATO o europei in Ucraina e che gli aerei da guerra abbiano come base la Polonia. Le garanzie militari che dovrebbero tutelare l’Ucraina dal rischio di una nuova invasione sono vaghe: si parla di un secondo documento, citato ad esempio da Axios, che prevederebbe un’estensione all’Ucraina del famoso articolo 5 della NATO, per cui – pur non facendo parte dell’Alleanza – ogni aggressione all’Ucraina sarebbe considerata un attacco al resto dei paesi membri, e una nuova invasione russa «cancellerebbe» gli attuali riconoscimenti territoriali per la Russia.

Infine: entrambe le parti riceverebbero una completa amnistia per le azioni compiute durante la guerra, quindi tutti i crimini di guerra sarebbero non perseguibili, e in Ucraina ci dovrebbero essere nuove elezioni entro 100 giorni: che è un punto su cui Putin ha insistito spesso, per sostituire in fretta Zelensky con un presidente e un governo più accondiscendenti. La centrale nucleare di Zaporizhzhia verrebbe gestita sotto la supervisione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e l’energia prodotta verrebbe divisa a metà fra i due paesi.

Zelensky ha definito questo momento, in cui deve decidere tra un piano di pace assai svantaggioso e mettersi contro gli Stati Uniti, come il più difficile della storia del paese. L’Ue ha rilanciato con un contropiano in 24 punti, sulla falsariga di quello americano, ma sembra un po’ un’operazione di facciata per far finta di continuare a giocare un ruolo geopolitico e non perdere la faccia. Fra l‘altro anche il Piano Ue prevede le elezioni entro 100 giorni. Zelenski ringrazia formalmente sia Trump che l’Ue. 

Insomma, Trump scarica Zelensky e umilia l’Europa, l’Europa scarica Zelensky, Zelensky ringrazia tutti. Chissà se sottobanco, nell’accordo Trump-Putin, non ci sia anche il benestare di Putin di attaccare il Venezuela.

Altra cose al volo dagli Usa. Sempre venerdì c’è stato l’atteso incontro fra Trump e il neoeletto sindaco di NY Zoran Mamdani, incontro chiesto da quest’ultimo per parlare dei problemi più impellenti della città. Ci si aspettava fuoco e fiamme, e invece, racconta il Post, l’incontro è andato sorprendentemente bene, Trump si è mostrato cordiale con Mamdani, ha detto di aspettarsi che sarà un ottimo sindaco e ha aggiunto che vuole essergli di «grande aiuto».

È una cosa piuttosto sorprendente, perché i due sono politicamente molto distanti e perché fino a qualche settimana fa Trump aveva minacciato di mandare a New York la Guardia Nazionale (i riservisti dell’esercito) e di tagliare molti dei fondi federali alla città se Mamdani fosse stato eletto.

C’è una storia strana che riguarda una misteriosa agenzia che sta esportando centinaia di palestinesi fuori dalla striscia di Gaza. Lego da Le Monde:

“Le autorità sudafricane stanno attualmente indagando sulle circostanze dell’arrivo segreto di un volo proveniente da Israele, giovedì 13 novembre. Il volo trasportava 153 palestinesi che erano riusciti a lasciare la Striscia di Gaza con l’aiuto di una ong enigmatica. All’atterraggio all’aeroporto OR Tambo di Johannesburg, i passeggeri sono rimasti sorpresi nel trovarsi in Sudafrica.

Inizialmente trattenuti per 12 ore sulla pista dalla polizia di frontiera sudafricana a causa dell’assenza nei passaporti del timbro di uscita dal paese di partenza, i residenti di Gaza sono stati infine autorizzati a entrare nel Paese dopo l’intervento del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa.

La questione resta molto delicata per Pretoria, che è stata in prima linea nella campagna internazionale contro la guerra a Gaza. Il Sudafrica ha presentato una denuncia contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia nel 2023, accusandolo di genocidio nei territori palestinesi. Lo stesso presidente sudafricano sembrava colto di sorpresa venerdì, quando ha incaricato il suo staff di chiarire l’“arrivo misterioso” dei palestinesi da Gaza”.

Insomma, davvero un aereo pieno di palestinesi che non sapevano di essere diretti in Sudafrica, le autorità sudafricane che non sapevano che sarebbero arrivati dei palestinesi, peraltro senza visto. Ne mezzo un’agenzia misteriosa chiamata Al-Majd, che nei giorni scorsi ha organizzato – o forse orchestrato – il trasferimento di oltre 150 palestinesi dalla Striscia di Gaza al Sudafrica.

Secondo la testata israeliana Haaretz si tratterebbe di un’agenzia fondata da un imprenditore con doppia cittadinanza israeliana ed estone, con sede legale incerta e un’attività dichiarata di “evacuazioni umanitarie da zone di conflitto”. Questi viaggi però, non sarebbero gratuiti.

Sempre secondo Hareetz, “L’organizzazione offre ai palestinesi la possibilità di pagare circa 2.000 dollari per ottenere un posto su voli charter verso destinazioni come Indonesia e Sudafrica. Sul proprio sito web afferma di essere stata fondata in Germania e di avere uffici a Gerusalemme Est, anche se Haaretz ha scoperto che non è registrata in nessuno dei due luoghi. Haaretz ha anche appreso che l’Ufficio per l’Emigrazione Volontaria del Ministero della Difesa israeliano ha collaborato con l’agenzia e l’ha messa in contatto con l’esercito per facilitare il coordinamento delle partenze”.

Insomma, è tutto abbastanza oscuro. Il governo sudafricano e diverse ong parlando di pulizia etnica mascherata. Sicuramente una faccenda da monitorare.

Sabato, nello stato nigeriano del Niger, in una scuola cattolica privata che si chiama St Mary, nel villaggio di Papiri, un gruppo di uomini armati è arrivato di notte e ha rapito oltre 300 persone: 303 studenti/esse e 12 insegnanti. Parliamo di bambine e bambini, ragazze e ragazzi tra i 10 e i 18 anni. Più di 200 sono stati presi direttamente nei dormitori, altri una ottantina hanno provato a fuggire ma sono stati riacciuffati poco dopo nei dintorni. È il più grande rapimento scolastico della storia nigeriana, persino più grande di quello famosissimo di Chibok del 2014, quando Boko Haram sequestrò 276 ragazze.

Le autorità stanno cercando i rapitori nelle foreste attorno alla scuola, finora senza risultati. Intanto il presidente nigeriano Bola Tinubu ha annullato i viaggi all’estero, compresa la partecipazione al G20 in Sudafrica, e il governo ha ordinato la chiusura preventiva di decine di scuole e collegi. 

Chi è un minimo familiare con la storia recente del Paese saprà che non è un episodio isolato: sono fatti molto frequenti, considerate che nel giro di una settimana ci sono stati altri rapimenti, fra cui venti studentesse musulmane sequestrate in un collegio nello stato di Kebbi, dove è stato ucciso anche il vicedirettore, e un attacco a una chiesa nel Kwara con due morti e 38 persone portate via. Solo che questo è stato di dimensioni enormi.

Da anni però nel nord del paese agiscono gruppi jihadisti e bande armate che hanno trasformato il sequestro di massa in un vero e proprio modello di business: rapiscono studenti, fedeli, viaggiatori e poi chiedono riscatti alle famiglie o allo Stato. Anche se pagare il riscatto è formalmente illegale, spesso i soldi vengono comunque trovati, perché altrimenti le persone non tornano a casa. In più lo Stato è debole, l’esercito spesso non riesce o non vuole intervenire, la corruzione è molto diffusa e in vaste aree rurali i gruppi armati sono più presenti dello Stato.

Sul tutto si innestano tensioni religiose e conflitti per la terra e l’acqua fra pastori nomadi, perlopiù musulmani, e agricoltori stanziali, spesso cristiani. Da fuori questa situazione viene raccontata come una “persecuzione dei cristiani”, ma in realtà i gruppi estremisti colpiscono sia cristiani sia musulmani che non condividono la loro visione, e le vittime musulmane sono addirittura più numerose.

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