Un sistema climatico chiave rischia di collassare improvvisamente. Cosa possiamo fare – 5/9/2025
Trascrizione episodio
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Fonti
#AMOC
The Guardian – Collapse of critical Atlantic current is no longer low-likelihood, study finds
#Ozono
The Guardian – Weatherwatch: Repair of ozone layer is making the planet warmer, study finds
#Ue
Italia che Cambia – Fino al 10 settembre possiamo far sentire la nostra voce contro lo smantellamento delle leggi ambientali in Europa
Rivista Natura – Consultazione europea per la natura
#immortalità
The Guardian – Hot mic catches Putin and Xi discussing organ transplants and immortality
#Sardegna #Israele
Sardegna che Cambia – Proteste a Olbia contro i voli da Tel Aviv – INMR Sardegna #90
Trascrizione episodio
Partiamo con un po’ di notizie sulla nostra casa, il Pianeta Terra, l’unico luogo dove al momento possiamo vivere. Negli ultimi giorni sono uscite un po’ di notizie che è importante conoscere, perché sappiamo che l’impatto delle società umane, la pressione sugli ecosistemi è molto alta e che spesso ha effetti dannosi, rischia di alterare questi ecosistemi.
Se ci immaginiamo la Terra come un essere vivente, sappiamo che questo essere vivente ha una serie di funzioni che svolge, come se fossero gli apparati del corpo umano, e sappiamo che esistono alcuni punti critici oltre i quali queste funzioni vengono compromesse.
Ecco, sono usciti due studi recenti che ci dicono qualcosa in più su due di questi sistemi. Il primo studio riguarda il sistema di correnti AMOC e afferma, e questa cosa è piuttosto preoccupante, che questo sistema di correnti rischia di collassare.
O meglio, sapevamo già che c’era questo rischio, visto l’andamento recente, ma questo studio afferma che questo rischio è maggiore di quanti pensassimo e non possiamo sottovalutarlo.
Provo a spiegare meglio. L’acronimo AMOC sta per “Atlantic Meridional Overturning Circulation”, ed è un gigantesco meccanismo di correnti che trasporta l’acqua su e giù per l’Atlantico. Immaginatevelo come una sorta di grande nastro trasportatore oceanico che porta acqua calda dai tropici verso il nord Atlantico — quindi anche verso l’Europa — dove si raffredda, sprofonda e torna verso sud in profondità. Ed è uno dei principali regolatori del sistema climatico terrestre per come lo conosciamo.
Sapevamo già che questo sistema di correnti si stava indebolendo e oggi è al minimo degli ultimi 1600 anni, secondo una serie di studi. E sappiamo che questo indebolimento è causato molto probabilmente, anzi quasi sicuramente, dalla crisi climatica, che a sua volta dipende dal fatto che bruciamo petrolio gas e carbone.
La novità è che comunque, finora, i modelli climatici – ovvero i modelli con cui studiamo il cambiamento climatico – suggerivano che un collasso completo della AMOC prima del 2100 fosse improbabile. Ma questo nuovo studio pubblicato sul giornale Environmental Research Letters, e di cui parla il Guardian, mette in discussione questa ipotesi.
E dice che, anche se il collasso vero e proprio potrebbe in effetti arrivare in un range di tempo che va dai 50 ai 100 anni, il punto di non ritorno — il cosiddetto tipping point — potrebbe essere situato molto prima ed essere superato già entro i prossimi 10-20 anni. E quindi, se non agiamo molto in fretta per arrestare il cambiamento climatico, potremmo superare quel punto in tempi brevi. Dopo di che il collasso sarebbe inevitabile, anche se spostato più avanti nel tempo.
Ma che succede se collassa questa corrente? Come al solito sappiamo che tutto è connesso, quindi succede una serie di effetti a catena molto importanti che secondo gli scienziati sposterebbero verso l’altro la fascia delle piogge tropicali (da cui dipendono milioni di persone per coltivare), porterebbe inverni molto più rigidi e siccità estive più frequenti in Europa occidentale, e farebbero aumentare di mezzo metro il livello del mare, oltre a quanto già previsto.
Tutto questo, è importante ricordarcelo, non è un problema per la Terra, per il Pianeta, che nella sua storia ha avuto climi diversissimi fra loro. È un problema per noi che all’interno di questo clima ci siamo evoluti e abbiamo creato delle società molto complesse, ma che non sarebbero in grado di adattarsi a cambiamenti climatici così grandi. Quindi ecco, un motivo in più per velocizzare la transizione ecologica.
La seconda notizia a cui facevo riferimento è una notizia positiva, con un risvolto meno positivo. La buona notizia è che ulteriori studi mostrano che il buco dell’ozono si sta chiudendo.
Il buco nell’ozono è una roba molto specifica, non è proprio un buco ma un assottigliamento dello strato di ozono che si trova nell’atmosfera e che ci protegge dai raggi UV del sole. Ed era causato soprattutto da gas industriali come i CFC (clorofluorocarburi), usati un tempo in spray, frigoriferi e condizionatori.
Quando questi gas salivano in atmosfera, distruggevano le molecole di ozono. La buona notizia è che grazie al protocollo di Montreal del 1987, questi gas sono stati messi al bando e il buco si sta pian piano richiudendo. Ci ha messo diversi decenni, ma oggi sempre più studi mostrano che abbiamo praticamente risolto il problema.
Una nuova ricerca però ci dice che questa “guarigione” ha anche un effetto collaterale inatteso: ovvero che riparando il buco nell’ozono il pianeta si riscalda più velocemente. Un po’ lo sapevamo, e comunque era una cosa che andava fatta a prescindere, ma questo nuovo studio mostra che l’impatto dell’ozono sul riscaldamento globale è parecchio maggiore del previsto.
Vi leggo la parte finale dell’articolo del Guardian: “I ricercatori sottolineano che riparare lo strato di ozono è comunque la cosa giusta da fare e porta benefici fondamentali per la salute: protegge le persone, gli animali e le piante dalle radiazioni ultraviolette pericolose. Inoltre, una parte dell’effetto di riscaldamento aggiuntivo può essere attenuata riducendo l’inquinamento atmosferico legato alla formazione di ozono vicino al suolo.
Tuttavia, le politiche climatiche dovranno essere aggiornate per tenere conto di questo riscaldamento extra inevitabile associato alla riparazione dello strato di ozono”.
Insomma, se prendiamo questi due studi assieme, ma ce ne sarebbero molti altri, il messaggio è abbastanza chiaro.Non possiamo aspettare di vedere gli effetti peggiori del cambiamento climatico per convincerci ad agire, a cambiare modello economico e produttivo, a cambiare i nostri stili di vista e le nostre società. perché sarebbe troppo tardi.
È controintuitivo, è difficile da comprendere per degli animali molto legati emotivamente al qui e ora, alla vicinanza spaziale e temporale come noi, ma dobbiamo agire come se fossimo nel mezzo della tempesta, come velocità, pur senza vedere la tempesta attorno a noi. Con il vantaggio che ancora la tempesta non c’è, e possiamo goderci il passaggio da un sistema all’altro.Che può essere una roba anche molto bella e divertente, come raccontiamo attraverso le storie di Italia che Cambia.
Una cosa che possiamo fare, ad esempio, è cercare di convincere la Commissione europea a non smantellare e anzi a rafforzare la propria legislazione ambientale.
Forse non ce ne rendiamo conto ma siamo dei privilegiati. L’Ue per anni ha sfornato delle politiche di un’avanguardia assoluta per quanto riguarda la sostenibilità: basti pensare al bando delle plastiche monouso, alla cosiddetta due diligence ambientale, alle leggi contro il greenwashing e tanto altro. Come mi disse tempo fa l’eurodeputato Dario Tamburrano, la prima versione del Green Deal sembrava in alcune un manuale di permacultura.
Da qualche tempo a questa parte però le politiche ambientali europee sono sotto attacco soprattutto da parte della destra, che sia in Parlamento che in Commissione sta rendendo più deboli queste leggi, a colpi di esenzioni, modifiche, e così via. Quindi le norme si allentano, si inseriscono dei distinguo, delle eccezioni.
C’è sempre una scusa per fare queste cose: i dazi di Trump, la guerra in Ucraina, la pandemia, l’eccessiva burocrazia, i costi elevati, l’economia. La verità però è che sembra esserci una volontà politica in Europa di indebolire la normativa ambientale vigente.
Adesso, l’ultima mossa della Commissione è stata aprire, fino al 10 settembre 2025, una consultazione pubblica — un cosiddetta call for evidence — con l’obiettivo di individuare quali norme ambientali possano essere «snellite» per ridurre i costi amministrativi di imprese e pubblica amministrazione. Quindi in teoria per continuare su questo processo di indebolimento, perché anche se la Commissione presenta l’iniziativa come un’operazione tecnica, secondo molte organizzazioni ambientaliste, nella pratica potrebbe finire per diluire l’efficacia delle norme ambientali europee.
Ma questa consultazione pubblica può essere usata anche nella maniera opposta. Una consultazione pubblica sarebbe uno strumento attraverso cui la Commissione Europea raccoglie opinioni, suggerimenti e osservazioni da cittadini, organizzazioni e imprese su proposte di legge o politiche in fase di elaborazione o revisione. Non è una roba vincolante, ma comunque può influenzare le decisioni future.
Ecco, diverse sigle ambientaliste europee – e ringrazio Armando Gariboldi per avermi segnalato la cosa e vi lascio il suo articolo su Rivista Natura fra le fonti – suggeriscono di cogliere questa occasione non per segnalare leggi da “snellire”, ma per ribadire l’importanza della legislatura ambientale europea attraverso un invio “fiume” di commenti.
Questa proposta ha un nome, è la campagna europea “Giù le mani dalla natura” (#HandsOffNature), promossa da BirdLife International, Client Earth, EEB e WWF Europa, e altre sigle e invita quindi i cittadini a partecipare attivamente alla consultazione scrivendo una frase a scelta, ma il cui senso sia: le leggi a tutela della natua non vanno indebolite né snellite, ma potenziate.
Già oggi, sul sito della Commissione, sono visibili oltre 20mila commenti di cittadini e cittadine europee. Se vi va di partecipare vi lascio il link fra le fonti a cui fare i vostri commenti. Non so dirvi che impatto ci si può aspettare da un’iniziativa come questa, non immagino un impatto gigantesco, però, se vi va di provare, male non fa. È comunque un segnale.
Ieri abbiamo parlato della parata militare a Pechino, a cui partecipava anche Putin, Kim Jong Un, ecc. Ecco, c’è una notizia laterale a questo evento, riportata dai giornali come una curiosità, che mi ha colpito.
In pratica il Guardian riporta un cosiddetto hot mic, un microfono acceso per sbaglio, che ha catturato una conversazione diciamo particolare tra Vladimir Putin e Xi Jinping: i due leader infatti parlavano concretamente della possibilità di raggiungere l’immortalità grazie ai trapianti di organi e alla biotecnologia.
Putin dice: “Gli organi umani possono essere trapiantati continuamente… più vivi, più ringiovanisci”, e Xi risponde: “Alcuni prevedono che potremmo vivere fino a 150 anni in questo secolo”.
E insomma, non sono chiacchiere fra amici al bar. E il tema della longevità è molto diffuso tra i leader mondiali ed è già al centro di investimenti reali in Russia e Cina, con la creazione di centri anti-invecchiamento, ricerche su organi rigenerati, e fondi stanziati per la scienza della durata della vita.
Putin ad esempio ha già avviato in Russia ricerche sul rallentamento dell’invecchiamento, con un centro dedicato e miliardi investiti. Sua figlia, endocrinologa, guida progetti genetici finanziati dal Cremlino. E il suo consigliere Kovalchuk sta puntando su organi stampati in laboratorio.
Questa notizia mi colpisce perché credo che l’ossessione della classe dirigente mondiale per l’invecchiamento e la longevità ci dica qualcosa di importante.
Innanzitutto ci dice che viviamo in una società quantitativa, dove è più importante non morire, vivere tanto, che vivere bene. E anche che p una società che non accetta l’idea di limite: crescita economica infinita, vita infinita.
Poi ci dice qualcosa sul potere: perché è un tema che ossessiona particolarmente chi ha molto potere. Ed è terrorizzato dall’idea di lasciarlo. Putin e Xi, hanno eliminato entrambi i limiti di mandato, e il discorso sulla longevità si incastona nel desiderio di restare a comando potenzialmente per sempre. Diventa quasi un manifesto politico.
Da questo punto di vista è interessante notare che in Occidente, invece, l’industria della longevità è portata avanti soprattutto da imprenditori miliardari come Bezos, Thiel, Altman, che investono milioni in tecnologie per estendere la vita.
E in questo credo che contino delle differenze non solo culturali ma di struttura sociale. Nei luoghi dove la politica è più autoritaria, e ha il controllo dell’economia, la longevità è appannaggio soprattutto della politica.In contesti imprenditoriali occidentali, invece, la ricerca della longevità è più legata all’affermazione personale attraverso il controllo del corpo e della salute. Ma comunque resta mantenimento del potere. Un potere diverso.
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