Belém, prove di svolta: inizia COP30, cosa possiamo aspettarci? – 10/11/2025
COP30 al via tra divisioni su NDC, finanza e uscita dai fossili; doppio tifone nel Sud-Est asiatico; negli USA il Senato sblocca un accordo per porre fine allo shutdown.
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Fonti
#COP30
The Guardian – Amid squabbles, bombast and competing interests, what can Cop30 achieve?
Italia che Cambia – Che Brasile è quello di COP30, e da dove arriva? – Io non mi rassegno + #33
Italia che Cambia – COP30, parte il fondo TFFF: oltre 5 miliardi per le foreste tropicali e un canale diretto a comunità e popoli indigeni
#Tifone Filippine
Il Fatto Quotidiano – Super tifone Fung-wong nelle Filippine: evacuato 1 milione di persone, venti a 230 km/h
#Shutdown USA
Open – Gli Usa verso la fine dello shutdown. Otto Dem votano con Trump: «Traditori»
Trascrizione puntata
«Mi si è spezzato il cuore.» Surangel Whipps, presidente della piccola nazione pacifica di Palau, era seduto in prima fila all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York quando Donald Trump ha pronunciato un lungo e sconclusionato discorso, il primo all’ONU dopo la sua rielezione, il 23 settembre.
Whipps si aspettava furia e retorica roboante dal presidente statunitense, ma quello che è seguito è stato scioccante. Lo sproloquio di Trump sulla crisi climatica – definita una “truffa verde”, “la più grande bufala mai perpetrata”, “previsioni fatte da idioti” – è stato un attacco senza precedenti alla scienza e all’azione globale da parte di un grande leader mondiale.
Palau, minacciata dall’innalzamento del livello del mare, da alluvioni e tempeste sempre più intense, ospita circa 20.000 persone, tutte potenzialmente destinate a diventare rifugiate se il riscaldamento globale supera per un periodo prolungato 1,5°C – un’eventualità che cercano disperatamente di evitare. Sanno di essere solo l’inizio, la prima linea. A livello globale, le case e i mezzi di sussistenza di centinaia di milioni di persone saranno distrutti dalla crisi climatica nei prossimi decenni.
«I nostri figli hanno bisogno di speranza, devono essere ispirati», dice Whipps. «Hanno bisogno di vederci uniti per risolvere i problemi.»
Quello che invece hanno ricevuto è stato un fiume di parole, incredulità e scoraggiamento.
Il disappunto di Whipps è condiviso da molti paesi vulnerabili nel mondo. Dopo anni in cui sembrava che il mondo stesse iniziando ad agire contro la crisi climatica, un’ondata populista ha spazzato via o minaccia di invertire i progressi compiuti in molte democrazie.
Le parole di Trump sono state solo l’espressione più estrema di una tendenza globale di destra radicale. Nell’Unione Europea, gruppi politici di estrema destra hanno ritardato decisioni chiave sui target di emissioni e stanno spingendo per un ulteriore abbandono delle politiche climatiche. Nel Regno Unito, il partito Reform – in testa ai sondaggi – abbraccia apertamente il negazionismo. In Argentina, l’alleato di Trump Javier Milei ha fatto a pezzi le politiche climatiche, oltre che l’economia.
Eppure, i sondaggi mostrano che una larga maggioranza – l’89% a livello globale – è preoccupata per la crisi climatica e vuole vedere azioni concrete. E ci sono state vittorie inaspettate per politici favorevoli all’azione climatica: Mark Carney in Canada, Anthony Albanese in Australia e Claudia Sheinbaum – una scienziata del clima – in Messico.
Questa settimana, queste forze geopolitiche si scontreranno nella piccola città amazzonica di Belém. Lunedì inizia la Cop30, la conferenza ONU sul clima, con un’agenda fittissima per il Brasile che ospita il vertice – ben 145 punti da discutere in due settimane, che spaziano dalla riduzione dei gas serra agli aiuti finanziari ai paesi poveri, dai diritti dei popoli indigeni allo sviluppo delle energie rinnovabili e alla protezione delle foreste del mondo”.
Questo che vi ho letto è un pezzetto di un articolo molto interessante scritto sul Guardian da Fiona Harvey. Che parla di COP30 che inizia oggi e si chiede “Tra litigi, retorica altisonante e interessi contrastanti, cosa può davvero ottenere la Cop30?”.
Fuori dai locali climatizzati di COP30, che si svolge a Belem, città portuale ai margini della foresta amazzonica, le prove del collasso climatico si stanno accumulando rapidamente: l’uragano Melissa, da record, che il mese scorso ha devastato la Giamaica; le temperature che hanno superato i 50°C in Medio Oriente; e gli oceani che si stanno surriscaldando e il primo di una serie di “punti di non ritorno” – lo sbiancamento dei coralli – che sembra essere già stato superato”.
Al tempo stesso, corre anche la transizione a ritmi impensabili fino a qualche anno fa. Le rinnovabili coprono oltre il 90% delle nuove capacità, solare più economico di sempre, investimenti puliti record, 1 auto nuova su 5 è elettrica, più posti di lavoro nel clean che nei fossili.
La COP che inizia oggi arriva in un momento stranissimo, con gli equilibri globali che si stanno mescolando, nuovi paesi che provano ad assumere la leadership della governance climatica globale, con stili nuovi e diversi.
E viene definita da alcuni come la Cop più importante dai tempi dell’Accordo di Parigi, firmato dieci anni fa. A Parigi, i paesi avevano stabilito obiettivi nazionali per limitare o ridurre le emissioni di gas serra, ma tali impegni si erano rivelati insufficienti a mantenere il riscaldamento globale entro il limite di 1,5°C previsto dal trattato. Sei anni dopo, alla Cop26 di Glasgow, una nuova tornata di promesse aveva ridotto ulteriormente le proiezioni di aumento della temperatura, ma solo fino a circa 2,7°C. In questa Cop, i paesi dovranno rivedere nuovamente i loro obiettivi – e visto che le temperature stanno salendo più rapidamente del previsto, queste revisioni dovranno essere urgenti e profonde.
Attualmente poco più di 100 paesi hanno presentato i loro obiettivi di riduzione delle emissioni. E se prendiamo assieme tutti questi obiettivi, complessivamente coprono solo un sesto circa della riduzione di emissioni necessaria a stare entro il grado e mezzo.
Per “scaldare” i negoziati, i leader mondiali sono stati invitati a Belém prima dell’apertura ufficiale. Non c’erano Trump (ovviamente) né Putin – che alle prese con la guerra in Ucraina non sembra aver tempo e voglia di abbandonare i fossili –; Xi non è andato di persona ma ha promesso da remoto mosse per accelerare la transizione dell’economia cinese. Anche l’India ha mandato segnali più concilianti rispetto allo scontro di un anno fa sui finanziamenti. Sullo sfondo, però, i “soliti noti” (Arabia Saudita, Russia e forse Argentina) sembrano pronti a impantanare il negoziato.
Il nodo più grosso è appunto l’emissions gap, ovvero appunto la distanza fra gli impegni attuali e quelli che sarebbero necessari per stare a 1,5°C. Il Brasile, che presiede i negoziati, spinge per parlare di “implementazione” più che di nuovi impegni. Cioè, dice che questa cop serve a passare dalle parole ai fatti e non per spendere altre parole. Ma dopo una rivolta della società civile e delle richieste pressanti, l’agenda di questa conferenza è stata aggiornata inserendo anche un passaggio sulla necessità di migliorare gli obiettivi.
Dal Sud globale poi arriva la richiesta di soldi e tecnologia condivisa per l’adattamento e la transizione. Il tema della finanza climatica dovrebbe essere centrale. L’anno scorso si è parlato di 1,3 trilioni/anno entro il 2035, ma i governi ricchi ne hanno promessi solo 300 miliardi, rimandando il resto a privati, carbon markets e tasse varie. Senza gli USA, persino quei 300 sembrano aria.
Il Brasile ha punta forte su TFFF, un fondo per la conservazione delle foreste tropicali con un meccanismo abbastanza innovativo che è stato lanciato ufficialmente venerdì e che dovrebbe finanziare la conservazione delle foreste e renderla economicamente conveniente nei paesi dove queste si trovano.
Però il vero elefante nella stanza resta l’abbandono dei combustibili fossili. Pensate che ci sono volute 28 conferenze sul clima perché per la prima volta in una relazione finale ci fosse scritto che i paesi si impegnavano a effettuare una fuoriuscita dalle fonti fossili, che sono la causa principale se non unica del cambiamento climatico. A Dubai (Cop28) si è scritto “transition away”, poi i petro-Stati hanno provato a smontarlo a Baku (Cop29); ora una cinquantina di paesi vorrebbero persino evitare che se ne parli. E il Brasile su questo ha una posizione ambigua, essendo tra i principali esportatori di petrolio e gas, con nuove esplorazioni in vista.
E poi, infine, ci sono le sfide della transizione giusta. cioé: non basta che il mondo vada a rinnovabili, bisogna farlo in maniera che sia giusto, equo. Come ha detto Antonio Guterres, segretario Onu, “I minerali critici che alimentano la rivoluzione dell’energia pulita si trovano spesso in paesi sfruttati da lungo tempo. E oggi vediamo la storia ripetersi: comunità maltrattate, diritti calpestati, ambienti devastati, nazioni confinate in fondo alle catene del valore mentre altri raccolgono i frutti. E modelli estrattivi che scavano voragini ancora più profonde di disuguaglianza e danno. Questo deve finire”.
Insomma, le sfide aperte alla vigilia di questa COP sono tante. Metteteci anche che fuori dalle stanze di coP30 si tiene anche una gigantesca Cupula dos povos, una cupola dei popoli, un gigantesco contro summit, che però dovrebbe dialogare con quello ufficiale, organizzato dalla società civile, con popolazioni indigene e movimenti.
La sensazione, ve lo dico sinceramente, è che potrebbe essere un fiasco totale così come essere un punto di svolta. Noi ve la proveremo a raccontare con diversi contributi da Belem e analisi di esperti, che vi sveleremo nei prossimi giorni.
Intanto vi dico che sabato è uscita la nuova puntata di INMR+
A proposito di clima che cambia, le notizie di questi giorni hanno riportato un fenomeno climatico abbastanza anomalo. Una sorte di doppio tifone a distanza molto ravvicinata nel sudest asiatico.
È successo tutto in pochi giorni. Prima Kalmaegi ha attraversato la zona lasciando una scia pesantissima – oltre 200 morti fra Filippine e poi Vietnam, con alluvioni estese e blackout – e spingendo i due governi a dichiarare lo stato d’emergenza. Poi, mentre molte comunità stavano ancora spalando fango, è arrivato Fung-wong (Uwan) un super tifone, con venti fino a circa 185 km/h, piogge torrenziali, frane e mareggiate: almeno 2 vittime, oltre 1–1,4 milioni di persone evacuate o sfollate e migliaia di voli e scuole sospesi. Ora la tempesta si è indebolita e risale verso Taiwan, ma gli strascichi restano enormi.
Infine, ultima notizia, il Senato Usa ha sbloccato un accordo per mettere fine allo shutdown e riaprire il governo.
Lo shutdown è la “chiusura” parziale del governo federale USA e avviene quando il Congresso non approva le leggi di spesa per finanziare le agenzie, tipo la legge di bilancio da noi. Per legge senza fondi molte attività devono fermarsi.
Quest’anno dem e repubblicani non avevano trovato l’accordo dando vita al piu lungo shutdown di sempre, e Trump ne aveva approfittato per fare un po’ di piazza pulita di dipendenti pubblici.
Sembra però che un accordo possa essere alle porte. Il senato ha approvato un pacchetto che finanzia fino a fine gennaio e include tre stanziamenti annuali; garantisce anche back pay e lo stop ai licenziamenti federali fino al 30 gennaio. Però il testo va emendato, ripassato alla Camera e poi firmato da Trump: quindi non è ancora “legge”, lo shutdown non è formalmente finito.
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