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27 Novembre 2025
Podcast / Io non mi rassegno

I matrimoni gay sono validi in tutta l’Ue, mentre il governo fa dietrofront sul consenso – 27/11/2025

Dalla sentenza Ue sui matrimoni same sex al blocco della legge sul consenso in Italia, dal caso della fumettista Elena Mistrello respinta alla frontiera francese alle aperture sull’alcol in Arabia Saudita.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Questo episodio é disponibile anche su Youtube

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Trascrizione episodio

Martedì sono arrivate due notizie che riguardano il tema più generale dei diritti civili e delle relazioni. 

La prima è – leggo direttamente da una nostra news – che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che ogni Stato membro ha l’obbligo di riconoscere il matrimonio tra due cittadini Ue dello stesso sesso, se contratto legalmente in un altro Paese dell’Unione in cui la coppia ha esercitato la propria libertà di circolazione e soggiorno. 

Che vuol dire? Vuol dire che, per esempio, se due uomini si sposano in Spagna (dove è legale), e poi decidono di trasferirsi in Polonia (dove il matrimonio gay non è riconosciuto), la Polonia non può ignorare il loro matrimonio. Non può dire “per noi non siete sposati”.

Questa decisione – chiarisce la Corte – non obbliga gli Stati a introdurre il matrimonio egualitario nel proprio ordinamento, ma dice: se due persone si sono sposate legalmente in un altro Paese europeo, e si trasferiscono nel tuo, tu Stato devi riconoscere quel matrimonio per rispettare la loro libertà di muoversi e vivere dove vogliono.

La sentenza, in effetti, nasce proprio dal caso di due cittadini polacchi sposati a Berlino, il cui matrimonio non veniva riconosciuto dalle autorità del loro Paese d’origine. Secondo i giudici, il rifiuto di trascrivere quell’atto viola la libertà di movimento, il diritto alla vita familiare e il principio di non discriminazione.

Per l’Italia la sentenza arriva in un quadro normativo particolare, perché il matrimonio egualitario non è previsto, mentre dal 2016 esistono le unioni civili. Finora, molti Comuni hanno trascritto i matrimoni cosiddetti fra persone dello stesso sesso celebrati all’estero come unioni civili, “declassando” di fatto lo status coniugale acquisito altrove. Dopo la sentenza della corte diversi giuristi hanno sottolineato che questa prassi rischia di essere in contrasto con il nuovo orientamento della Corte, che chiede il riconoscimento dello stesso status, non di uno diverso, sebbene “simile”.

La sentenza quindi apre uno spazio di azione per coppie, associazioni e amministrazioni locali, con le persone sposate all’estero che potranno richiedere la trascrizione piena del proprio matrimonio e, in caso di rifiuto, valutare il ricorso ai tribunali facendo leva sul nuovo pronunciamento europeo.

Sempre martedì, invece, è arrivata una mezza retromarcia del governo sul tema del consenso. Qualche giorno fa abbiamo raccontato della Commissione giustizia della Camera che aveva approvato all’unanimità un ddl che avrebbe introdotto nel codice penale il principio del “consenso libero e attuale” come discrimine del reato di violenza sessuale. 

Ecco, quel ddl, che è stato bloccato al Senato per via di un ripensamento interno al governo. La maggioranza ha deciso di chiedere approfondimenti e audizioni, rinviando l’approvazione definitiva. In particolare la Lega ha spinto per questa retromarcia, con il suo leader Salvini che ha motivato la cosa spiegando che, così com’è, la norma “lascia troppo spazio alla libera interpretazione del singolo” e rischia di aprire la porta “a vendette personali” piuttosto che a una tutela chiara delle vittime.

Ora, è una norma su un tema delicatissimo, io stesso dai commenti ricevuti la volta scorsa mi sono accordo che è un tema molto polarizzante. Ed è vero che probabilmente il rischio di strumentalizzazioni e vendette personali c’è. Così come adesso c’è il rischio – denunciato da molte donne – di aver subito una violenza senza poterlo dimostrare. detto anche che comunque il principio del consenso è già oggi una prassi abbastanza consolidata.

Il punto, credo, non è avere una legge perfetta, cosa impossibile su tematiche complesse e contraddittorie come la sessualità, ma dove si posiziona l’asticella.

Un’altra storia di cui vi abbiamo parlato in questi giorni nelle nostre news è quella, davvero particolare, di una fumettista italiana bloccata al confine francese perché ritenta un pericolo per l’ordine pubblico.

La fumettista italiana Elena Mistrello, invitata in Francia per partecipare al festival BD Colomiers, è stata respinta alla frontiera e rimandata in Italia. È accaduto venerdì 21 novembre all’aeroporto di Tolosa, dove tre agenti della Police nationale le hanno impedito l’ingresso nel Paese, notificandole una misura che la definisce “una grave minaccia per l’ordine pubblico francese”.

Mistrello era attesa per due giornate di incontri con il pubblico, organizzate dall’editore francese Presque Lune in occasione dell’uscita dell’edizione francese di Sindrome Italia: storia delle nostre badanti, graphic novel pubblicata in Italia da Beccogiallo e realizzata con la scrittrice Tiziana Francesca Vaccaro. Il libro, premiato al Comicon Napoli 2022 come Miglior opera prima, racconta le storie delle donne migranti dell’Est Europa impiegate in Italia come assistenti familiari, mettendo al centro condizioni di lavoro, solitudine e vulnerabilità.

In un racconto dettagliato scritto (in francese) per il suo blog, l’autrice spiega che, appena scesa dal volo proveniente da Francoforte, ha trovato ad attenderla tre agenti della Police nationale che le comunicano che non può mettere piede in Francia per via di una segnalazione del Ministero dell’Interno francese sulla sua presunta pericolosità. Mistrello mostra l’invito ufficiale del festival, spiega di trovarsi lì per lavoro, ma gli agenti rimangono «irremovibili».

Nel verbale consegnato durante il volo di ritorno viene formalizzata una «misura di interdizione all’ingresso» per «grave minaccia per l’ordine pubblico francese». L’autrice, che afferma di non aver mai avuto problemi con la giustizia, dice di ignorare le motivazioni concrete e ipotizza un collegamento con la sua partecipazione, nel 2023, alle iniziative a Parigi per il decennale dell’omicidio del giovane antifascista Clément Méric.

È una storia strana e devo dire un po’ inquietante. Che meriterebbe di essere approfondita. Perché parliamo fra l’altro di due paesi dell’area Schengen, zona di libera circolazione che consente il movimento di persone tra 29 paesi europei senza controlli alle frontiere interne. Potrebbe essere un caso, un errore, un eccesso di zelo. O un indicatore preoccupante di un clima di repressione del dissenso che si sta diffondendo in Europa. È presto per dirlo, ma continueremo a seguire la vicenda.

Leggo dal Post: “Secondo diverse fonti rimaste anonime e sentite da vari media, tra cui Bloomberg e Reuters, nel 2026 in Arabia Saudita apriranno due negozi per la vendita di alcolici, portando così a tre il numero di negozi autorizzati in tutto il paese. Nella cultura islamica il consumo di alcol è considerato un atto proibito e in Arabia Saudita, che è un paese musulmano sunnita, è vietato dal 1952. 

L’apertura di questi negozi rientra tra le molte iniziative con cui il potente principe ereditario Mohammed bin Salman, che di fatto governa il paese al posto del padre 89enne Salman bin Abdulaziz al Saud, sta cercando di attirare turisti, investimenti e lavoratori specializzati”.

E più avanti: “Da qualche giorno l’Arabia Saudita ha anche esteso la vendita di alcolici nell’unico negozio che al momento può venderli, che si trova nella capitale Riyad. Potranno acquistare alcolici non solo i diplomatici stranieri provenienti da paesi di religione non islamica, come permesso fin dall’apertura del negozio nel 2024, ma anche le persone non musulmane che risiedono nel paese grazie al “Premium Residency”, uno speciale permesso di soggiorno introdotto per attirare lavoratori qualificati e investitori”.

È una notizia interessante, che mi ha portato alla mente una puntata di è un casino, che gli ascoltatori di vecchia data di INMR ricorderanno forse – era il format in cui io e Daniel Tarozzi commentavamo alcune notizie di attualità prese dalla rassegna – in cui Daniel sosteneva che i grandi investimenti della penisola arabica nel calcio avrebbero forse stravolto la società dei paesi del golfo, perché l’arrivo di calciatori multimiliardari avrebbe portato con se alcol, locali e così via.

Ecco, qualcosa di simile forse sta iniziando a succedere.

Un po’ di altre notizie più veloci di cui si è parlato ieri sui giornali. A Hong Kong un gigantesco incendio ha devastato un complesso di grattacieli nel quartiere di Tai Po: parliamo di decine di morti accertati e centinaia di persone ancora disperse, in quello che è uno dei roghi più gravi nella storia recente della città. Le fiamme sarebbero partite dalle impalcature di bambù di un palazzo in ristrutturazione e poi si sono propagate ad altri edifici, complici vento forte e materiali altamente infiammabili, mettendo di nuovo al centro il tema della sicurezza in un contesto di edilizia iperdensa.

In Guinea Bissau c’è stato un colpo di stato, o almeno un tentativo di colpo di stato, di cui ancora non sappiamo moltissimo. Un gruppo di ufficiali dell’esercito ha annunciato di aver preso il potere “fino a nuovo ordine”, mentre il presidente Embaló ha fatto sapere di essere stato deposto e arrestato. Nella capitale Bissau si sono sentiti per ore colpi d’arma da fuoco vicino ai palazzi istituzionali, a pochi giorni dalle elezioni generali, confermando la cronica instabilità politica di uno dei paesi più fragili della regione.

Nel sud della Thailandia, intanto, piogge torrenziali hanno provocato inondazioni estese con decine di vittime e migliaia di persone bloccate o costrette a lasciare le proprie case. Intere aree sono finite sott’acqua, i trasporti sono in tilt e l’ondata di maltempo sta colpendo anche il nord della Malaysia, ricordandoci quanto gli eventi estremi legati alla pioggia stiano diventando sempre più frequenti e distruttivi nel Sud-est asiatico.

In Etiopia si è risvegliato dopo circa 12mila anni il vulcano Hayli Gubbi, nella regione nord-orientale dell’Afar: una colonna di cenere è salita fino a 14 chilometri di altezza e la nube sta viaggiando sopra il Mar Rosso in direzione di Yemen e Oman. La cenere vulcanica sta già causando la cancellazione di diversi voli, soprattutto di compagnie indiane dirette verso il Medio Oriente, e le autorità stanno monitorando la situazione sia dal punto di vista sismico che per gli impatti sulla salute e sui trasporti.

Sul fronte Ponte sullo Stretto, invece, continua la saga infinita: l’ad della società Stretto di Messina, Pietro Ciucci, ha detto che, secondo il nuovo cronoprogramma, l’opera verrebbe completata nel 2033, un anno dopo rispetto alla scadenza sbandierata da Salvini questa estate. Nel frattempo si attende ancora il via libera formale della Corte dei Conti, mentre il ministro insiste pubblicamente sull’obiettivo di aprire i cantieri “a inizio anno”, presentando il ponte come infrastruttura strategica per collegare Sicilia e continente e per i corridoi europei nord-sud.

Negli Stati Uniti, intanto, c’è stata una scena che fa abbastanza impressione anche solo a raccontarla: a due isolati dalla Casa Bianca, in pieno centro a Washington, due membri della Guardia nazionale del West Virginia sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco mentre erano in servizio, parte del contingente dispiegato da Trump nella capitale per la sua “guerra al crimine”. Un uomo si sarebbe avvicinato e avrebbe aperto il fuoco sui militari prima di essere a sua volta ferito e arrestato; l’area è stata blindata, alcuni voli diretti all’aeroporto Reagan sono stati brevemente fermati e il presidente ha definito il sospetto “un animale”, promettendo conseguenze durissime. È un episodio che si inserisce dentro un clima già molto teso, con migliaia di soldati schierati in città e una decisione del giudice federale che ha definito illegale questo dispiegamento, anche se al momento è ancora in vigore.

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