Abbonati. Sostieni l'informazione indipendente


Cose da sapere

Articoli fondamentali per comprendere problemi e soluzioni dell'Italia (e del mondo) che Cambia, cose importanti, cose da sapere.

I temi che trattiamo
In evidenza
Ambiente

Ambiente

Podcast

La redazione affronta e sviscera problemi e soluzioni del mondo contemporaneo, cercando di comprendere e interpretare la realtà in modo onesto e approfondito.

Ascolta
In evidenza
Soluscions

Soluscions

Ispirazioni

Storie, esempi, riflessioni stimolanti e replicabili per cambiare la propria vita e il mondo, per realizzare i propri sognie e apprezzare frammenti concreti di Italia che Cambia.

Leggi
In evidenza
Calabria sarai Tu

Calabria sarai Tu

Guide al cambiamento

Vuoi sapere tutto, ma proprio tutto su un determinato tema? Con le nostre guide al cambiamento puoi farlo scegliendo quanto e quando approfondire.

Leggi
In evidenza
Animali come noi: guida al benessere animale

Animali come noi: guida al benessere animale

Focus

Inchieste, reportage, approfondimenti verticali che - tra articoli, video, podcast e libri - ci aiutano a mettere a "focus" la realtà.

Leggi
In evidenza
Guerre nel mondo

Guerre nel mondo

La guerra è una guerra, è UNA guerra, è una guerra

Territori

Il giornalismo, quello vero, si fa consumandosi le suole delle scarpe per andare nei territori e toccare con mano problemi e soluzioni.

I portali territoriali
In evidenza

Sicilia


Gli strumenti del cambiamento

Bacheca cerco/offro

Per mettere insieme la domanda e l'offerta di cambiamento e costruire insieme il mondo che sogniamo.

Mappa delle realtà del cambiamento

Scopri le realtà incontrate durante i viaggi o segnalate dalla community ritenute etiche e in linea con la nostra visione.


Scopri italia che cambia
16 Settembre 2025
Podcast / Io non mi rassegno

L’invasione di Gaza City e le sanzioni a Francesca Albanese – 16/9/2025

L’escalation a Gaza, le sanzioni USA a Francesca Albanese e i loro effetti finanziari, l’uccisione di Charlie Kirk il calo dei rifiuti in Cina.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
Cover Rassegna Home 1130 x 752 px 74

Questo episodio é disponibile anche su Youtube

Guardalo ora

Trascrizione episodi

Intanto a Gaza l’esercito israeliano sembra essere sul punto di invadere definitivamente e prendere il controllo della città, per restarci probabilmente. I miliziani di hamas hanno portato alcuni degli ostaggi ancora in loro possesso in superficie per scoraggiare le operazioni, che comunque si sono molto intensificate negli ultimi giorni.

Reuters racconta che i bombardamenti aerei sono più frequenti, con distruzione di palazzi residenziali, torri alte che un tempo ospitavano uffici o strutture civili, edifici demoliti. E centinaia di civili uccisi.  

Il Guardian riporta invece che l’esercito israeliano ha ordinato l’evacuazione dell’intera popolazione di Gaza City, ma che la fuga è resa difficile per molti a causa di condizioni logistiche, economiche e di sicurezza. E quindi si teme l’ennesima carneficina.

In questa situazione disastrosa, mi ha colpito molto una vicenda collaterale che riguarda la Relatrice Speciale ONU sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati Francesca Albanese. Francesca Albanese fa rapporti ufficiali in cui accusa Israele di violazioni del diritto internazionale. Questo ovviamente non piace affatto né a Israele né agli Stati Uniti, che lo scorso luglio hanno deciso di sanzionarla personalmente.

In pratica gli USA hanno una lista nera che si chiama SDN List: chi finisce lì viene considerato come un “appestato finanziario”. Nessuna banca, nessuna compagnia di carte di credito, nessuna piattaforma di pagamento può avere rapporti con queste persone senza rischiare guai serissimi. Non solo negli Stati Uniti: anche le banche europee, sono obbligate di fatto a rispettare quella lista, perché se non lo fanno rischiano di essere tagliate fuori dai circuiti internazionali (tipo Visa, Mastercard, pagamenti in dollari, transazioni bancarie globali).

Il risultato è che Albanese ha i conti correnti bloccati e non è riuscita nemmeno ad aprire un conto corrente con banca Etica, che pure è solidale con la vicenda della relatrice. Perché se tu sei una banca e apri un conto a Francesca Albanese, il giorno dopo potresti vederti bloccati i rapporti con il sistema finanziario globale. Ovviamente nessuna banca può permetterselo, nemmeno Banca Etica.

Capite bene che impedire a una persona di aprire un conto in banca, nel 2025, è una privazione gigantesca della libertà. Ma come è possibile? È possibile perché il sistema americano dà al Presidente e al Dipartimento del Tesoro il potere di decidere chi rappresenta una minaccia o chi “lede interessi strategici degli Stati Uniti”. Non serve un processo, non serve una condanna. Basta una decisione politica, sostenuta da un atto amministrativo. In teoria è una misura eccezionale, ma nella pratica può essere usata come strumento di pressione geopolitica. Nel caso Albanese, l’accusa formale è di “delegittimare Israele” e “usare la sua posizione ONU per promuovere pregiudizi”.

Va bene, direte voi, ma perché la decisione di un singolo Paese può determinare le sorti finanziarie di una persona, anche in un’altra parte del mondo? 

Questo succede perché il dollaro e il sistema finanziario statunitense sono il cuore del sistema bancario globale. Quasi tutte le banche, anche italiane o europee, hanno rapporti con banche corrispondenti americane e passano per i circuiti di pagamento USA (SWIFT in dollari, Visa, Mastercard). Se un istituto non rispetta le sanzioni USA rischia di essere espulso dal sistema, con danni incalcolabili. Quindi, anche se formalmente un’italiana non è soggetta a leggi americane, di fatto lo è, perché nessuna banca può permettersi di sfidare gli Stati Uniti. 

Devo dire che è impressionante con quale discrezionalità una persona può essere tagliata fuori dal sistema finanziario internazionale per via delle sue posizioni, senza passare da un processo, senza aver violato il diritto internazionale, anzi per aver denunciato chi lo viola. È un campanello d’allarme che ci mostra che il sistema è capace di ritorsioni violente contro chi lo sfida e che anche le alternative etiche hanno dei punti critici dettati proprio dal loro essere inserite in questo sistema.

Avrete sentito parlare, immagino, dell’omicidio di Charlie Kirk. È un evento che sta facendo discutere non solo l’America ma anche l’opinione pubblica internazionale: perché Charlie Kirk era figura molto controversa della destra radicale statunitense, era molto importante peer Trump, perché sembra che il suo omicidio possa avere (anche se ancora non lo sappiamo con certezza) motivazioni politiche.

Kirk aveva solo 31 anni ma era diventato famosissimo negli Usa e non solo. Era il fondatore e leader dell’organizzazione Turning Point USA, un’organizzazione dell’universo MAGA che si è imposta negli ultimi anni soprattutto tra i giovani e nei campus universitari. Ed era famoso soprattutto per un format, popolarissimo su YT, in cui andava appunto nei campus Usa, da sempre presidio progressista, e sfidava a dibattito i e le giovani su tematiche woke, quindi ad esempio su questioni di genere. Ad esempio faceva domande come questa:

Contributo disponibile nel podcast

Cioè chiedeva ai suoi interlocutori domande apparentemente banali come: “come definisci una donna” cercando di smascherare i punti deboli dei ragionamenti altrui. La sua bravura nei dibattiti, fra l’altro un tipo di dibattito molto fazioso, in cui non è importante arrivare a capire qualcosa ma solo umiliare l’avversario, unita a montaggi sapienti trasformavano questi spezzoni in video virali che agli occhi della base Maga rappresentavano la rivincita intellettuale definitiva sui progressisti. Per questo era così importante per Trump, e anche così tanto finanziato dai repubblicani: perché dimostrava che si poteva guadagnare consenso persino nei campus universitari.

Il 10 settembre, durante un evento alla Utah Valley University, a Orem, Kirk stava parlando dal palco quando è stato colpito da diversi colpi d’arma da fuoco. È morto poco dopo. La scena, davanti a centinaia di studenti e sostenitori, ha scosso profondamente il Paese.

Subito dopo l’attacco è partita una caccia all’uomo durata oltre 30 ore. Finché un sospettato, è stato arrestato il 12 settembre grazie anche alla collaborazione di alcuni familiari che lo hanno riconosciuto dalle immagini diffuse. Si chiama Tyler James Robinson, ha 22 anni, ed è residente nello Utah.

Ora, non sto qui a rocostruoirvi tutto quello che sappiamo e non sappiamo su Robinson e sul movente che lo ha spinto a uccidere Kirk, se effettivamente è stato lui.

Diciamo che ci sono alcuni fattori che potrebbero mostrare un movente politico/ideologico: tipo le incisioni sui proiettili, il fatto che avesse una relazione con una persona in transizione di genere (il mondo trans era uno dei principali obiettivi ideologici della retorica di Kirk) e il fatto che sembra, secondo alcune fonti, che avesse “un’ideologia di sinistra”, come ha detto ad esempio il governatore dell Utah, – anche se altre fonti giornalistiche hanno riportato elementi che richiamano a subculture dell’estrema destra online.

Comunque, non è ancora certo il motivo. Ciò che mi interessa però qui osservare sono le conseguenze che questo omicidio sta avendo sulla società statunitense, e a cascata su molte società occidentali. Osservo cluster di reazioni: la reazione della destra Usa (e delle destre sovraniste in genere) è quella di parlare di una persona uccisa per le proprie idee, con paragoni che tirano in ballo Martin Luther King e di condannare la sinistra per diffondere l’odio e quindi causare episodi come questo. 

A sinistra invece osservo due tipologie di reazioni: la reazione “se l’è cercata”, che cita ad esempio il fatto che poco prima di essere ucciso Kirk stesse difendendo il diritto di possedere un’arma e avesse più volte indicato i morti per arma da fuoco come un sacrificio necessario per difendere quel diritto. E che in generale accusa la destra di diffondere messaggi di odio che inevitabilmente le si ritorcono contro.

E invece la reazione di condanna del gesto al di là di chi fosse la vittima, ovvero la linea: ogni omicidio è ingiustificabile. Con poi tutte le sfumatura del caso, tipo “Ogni omicidio è ingiustificabile, però un po’ se l’è cercata e così via. 

Ora non voglio infilarmi in questo dibattito che non ha niente di costruttivo, ma limitarmi ad osservarlo e magari a porre qualche domanda. 

Innanzitutto noto che tutte e tre le reazioni danno per certo il fatto che ci sia stata una motivazione ideologica, cosa che al momento non sembra scontata, e se anche c’è stata non è chiarissimo quale sia. 

Poi, se andiamo più sui contenuti, cis ono alcune cose che possonoi far riflettere. Una è proprio il paragone con Martin Luther King, che anche se è fatto evidentemente per far infuriare i progressisti, è interessante: perché è vero che, se la versione diciamo del movente politico verrà confermata, si tratta di un uomo ucciso per le sue idee. Ma le idee sono tutte uguali? Possiamo dirci tranquillamente che è tremendo essere uccisi per le proprie idee, ma è sbagliato esattamente allo stesso modo, allo stesso livello, essere uccisi per aver difesoi diritti di una minoranza sottomessa (come erano gli afroamericani) e per invece aver discriminato una minoranza, come le persone trans? Sono idee che hanno lo stesso valore? 

A me verrebbe da dire di no, che c’è una differenza, ma è vero che io mi identifico molto di più con le idee di King che di Kirk, quindi non posso essere oggettivo. Penso che sia una domanda interessante da porci.

E poi osservo anche che le reazioni a questo omicidio, che forse origina da un clima di odio diffuso e generalizzato, stanno andando perlopiù nella direzione di alimentare questo clima di odio, di diffidenza reciproca, di polarizzazione sociale. Quindi a rendere ancora più probabile – e non meno – il verificarsi di altri casi come questo, che magari a parole si condannano.   

Intanto i politici di tutti gli schieramenti negli Usa hanno sospeso tutte le conferenze e i dibattiti. E Trump ha chiesto la pena di morte per l’omicida e detto che Kirk diventerà un eroe del movimento MAGA.

C’è un reportage molto interessante del Financial Times che racconta la crisi del sistema di gestione dei rifiuti cinesi, non per un eccesso bensì per una mancanza di rifiuti. 

Il Financial Times racconta che dopo un decennio di investimenti per affrontare l’assedio dei rifiuti urbani, il Paese si ritrova con oltre 1.000 impianti e una capacità giornaliera superiore a 1,1 milioni di tonnellate, ma con volumi in ingresso che non tengono il passo; alcuni gestori ammettono linee ferme per buona parte dell’anno, altri cercano di rimpiazzare i flussi inventandosi soluzioni creative. Tipo andare a recuperare da vecchie discariche rifiuti già sepolti negli anni scorsi e bruciarli negli impianti, oppure importare rifiuti da altre province o da altre città, pagandoli, solo per avere abbastanza materiale da incenerire. 

Il calo dei rifiuti indifferenziati che finiscono a incenerimento in Cina è causato da un intreccio di fattori: un miglioramento nella gestione, della raccolta differenziata e delle norme sullo waste sorting. Assieme a fattori più macroscopici, come la demografia in calo e l’economia cinese che sta rallentando la propria crescita. Quindi ci sono i consumi che rallentano, i rifiuti che sono gestiti meglio e a valle arriva meno imballaggio, meno scarti, meno “carburante” per gli inceneritori. 

Ma perché mai un calo della produzione dei rifiuti dovrebbe essere un problema? Sapete che l’economia cinese si basa molto sulla programmazione che avviene attraverso questi Piani quinquennali, con cui la Cina stabilisce, ogni cinque anni, le priorità economiche, sociali e ambientali del Paese. 

Ecco, il 14° Piano Quinquennale, del 2021, per risolvere il problema dei rifiuti che attanagliava molte città ha spinto a costruire impianti a ritmo altissimo, centrando (e superando) gli obiettivi di capacità con anni di anticipo e finendo per produrre la situazione attuale che in gergo viene chiamata overcapacity, ovvero quando la capacità di smaltire rifiuti supera la capacità di produzione di rifiuti stessi. 

Uno potrebbe dire: vabbé, ma che problema c’è se ci sono degli inceneritori sottoutilizzati? In realtà è un problema, o perlomeno lo è per chi possiede gli impianti. Un inceneritore sottoutilizzato infatti continua ad avere costi fissi molto alti (di manutenzione, personale, ammortamento dei debiti), produce molta meno energia e quindi ha meno ricavi sia dalle tariffe di conferimento che dalla vendita di elettricità/calore. 

Inoltre, se il forno funziona a carico ridotto, può essere meno efficiente dal punto di vista energetico e delle emissioni, generando più inquinanti per tonnellata trattata. Quindi dal punto di vista sia economico che ecologico avere un inceneritore che poi non va a pieno carico, è una follia. 

Ora, non sappiamo come la cina risolverà questo problema. Se cambierà profondamente le sue politiche di smaltimento, andando seriamente verso la riduzione dei rifiuti e iniziando a smantellare gli impianti in eccesso, oppure se penalizzerà le proprie politiche ambientali pur di continuare a nutrire i suoi costosi inceneritori. 

Penso però che intanto la vicenda cinese ci possa insegnare alcune cose. Ovvero che ogni volta che discutiamo di un nuovo inceneritore (in Italia o altrove) dovremmo farci alcune domande semplici (e scomode).

Tipo: “Verso che società stiamo andando? Quanti rifiuti pensiamo di produrre fra 10, 20, 30 anni?” Perché se immaginiamo un futuro basato su riuso, vuoto a rendere, riparabilità, eco-design, deposit-return, tariffazione puntuale e cose così, come fra l’altro ci chiede l’Europa, allora dobbiamo considerare che l’indifferenziato scenderà. E che se facciamo un impianto gigantesco, come spesso tendo a leggere nei progetti, è molto probabile che rischierà di restare vuoto a metà vita utile.

Fra l’altro bisogna considerare che dal punto di vista economico gli inceneritori non sono un investimento di cinque anni. La vita media di un impianto è tipicamente attorno ai 30 anni (con molti casi progettati per 30–40 anni) e che il cosiddetto payback sia nell’ordine di 10–12 anni.

Insomma, prima di costruire uno di questi giganteschi divoratori di rifiuti è bene pensarci a fondo e fare due calcoli. È possibile che poi si debbano costruire comunque alcuni – pochi – inceneritori nel prossimo futuro, perché magari in alcuni casi sono necessari per fronteggiare delle emergenze, ma se li costruiamo in ottica di transizione verso sistemi che tendono a rifiuti zero, allora avrebbe senso costruire degli impianti piccoli, facili da smantellare quando non serviranno più, e non dei giganti che rischiano ad un certo punto di inchiodarci alla produzione di rifiuti, anche fosse solo per nutrirli.

Segnala una notizia

Segnalaci una notizia interessante per Io non mi rassegno.
Valuteremo il suo inserimento all'interno di un prossimo episodio.

Commenta l'articolo

Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi

Registrati

Sei già registrato?

Accedi

Ultime news

Associazione OIA'Daniela BartoliniFrancesco BevilacquaLodovico BevilacquaFilippo BozottiSara BrughittaCinzia CatalfamoPaolo CigniniFabrizio CorgnatiSalvina Elisa CutuliValentina D'AmoraEleonora D'OrazioAndrea Degl'InnocentiLisa FerreliFilòAngela GiannandreaChiara GrassoIndipEzio MaistoSelena MeliFulvio MesolellaPaolo PiacentiniSusanna PiccinElena RasiaAlessia RotoloEmanuela SabidussiMarta SerraDaniel TarozziValentina TibaldiBenedetta TorselloLaura TussiRoberto ViettiLaura Zunica

Italia che Cambia

L’informazione ecologica dal 2004

Italia che Cambia è il giornale web che racconta di ambiente, transizione energetica e innovazione sociale in Italia. Raccontiamo storie che ispirano e spieghiamo i problemi con approccio costruttivo. Offriamo strumenti concreti per chiunque voglia essere parte attiva di questa trasformazione. È il punto di riferimento per chi cerca esempi di sostenibilità, etica imprenditoriale e iniziative civiche che dimostrano che un altro mondo non solo è possibile, ma è già in costruzione.

Abbonati Registrati
Associazione OIA'Daniela BartoliniFrancesco BevilacquaLodovico BevilacquaFilippo BozottiSara BrughittaCinzia CatalfamoPaolo CigniniFabrizio CorgnatiSalvina Elisa CutuliValentina D'AmoraEleonora D'OrazioAndrea Degl'InnocentiLisa FerreliFilòAngela GiannandreaChiara GrassoIndipEzio MaistoSelena MeliFulvio MesolellaPaolo PiacentiniSusanna PiccinElena RasiaAlessia RotoloEmanuela SabidussiMarta SerraDaniel TarozziValentina TibaldiBenedetta TorselloLaura TussiRoberto ViettiLaura Zunica