Melissa, l’uragano mai visto: cosa ci dice sul nuovo clima – 30/10/2025
Dall’uragano Melissa in Giamaica all’operazione anti-narcos a Rio, passando per la crisi umanitaria in Sudan, la situazione a Gaza e due buone notizie su megattere e tartarughe marine.
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Fonti
#Uragano Melissa
The Guardian – Hurricane Melissa hits Cuba after turning Jamaica into ‘disaster area’
Rainews – L’uragano Melissa riprende forza nel percorso e fa ancora paura: allagamenti a Cuba
#Rio De Janeiro
Il Post – Operazione polizia a Rio: 64 morti, droni?
#Gaza
Rainews – Gaza: tregua infranta, Israele bombarda decine di morti, Hamas trovati corpi
Italia Che Cambia – La sfida di Mohammed Hmidat e dei contadini palestinesi
#Sudan
Il Post – I paramilitari sudanesi che stanno filmando i loro crimini di guerra
#Megattere e tartarughe
Italia Che Cambia – Megattere in Australia: record storico
Italia Che Cambia – 2025: record di nidificazione per le tartarughe marine in Italia
Trascrizione episodio
Martedì l’Uragano Melissa è atterrato in Giamaica. L’atterraggio, il cosiddetto landfall, è arrivato mentre Melissa era ancora un Uragano di categoria 5, la categoria più alta in assoluto, il che ha fatto di Melissa il più potente uragano mai registrato sull’isola da quando esistono i dati.
I media parlano di venti fino a 300 kmh, che è una roba che qui a queste latitudini non riusciamo nemmeno a immaginare. 300 km è una velocità da monoposto di F1. Sarebbe come se provaste a mettervi in piedi su una ferrari in pieno rettilineo, ecco, quello è il vento che avvertireste. Ovviamente un vento del genere è in grado non solo di portare via voi, ma di scoperchiare qualsiasi edificio, portarsi dietro alberi, piante, tralicci, infrastrutture.
I venti fortissimi uniti alla bassa pressione hanno anche causato quello che in gergo viene chiamato storm surge, un’onda di tempesta. Che è una specie di mareggiata ma a livelli 3.0. Quello che succede è che la tempesta porta con se una depressione atmosferica, insomma una pressione particolarmente bassa. Il livello del mare tende a salire per via della pressione più bassa dell’aria soprastante, e questo innalzamento improvviso, insieme ai venti fortissimi fanno si che si generino onde immense, che in questo caso hanno colpito l’isola.
In più le piogge intensissime che hanno causato allagamenti praticamente ovunque. Insomma, se mettete assieme tutti questi elementi, vento forte che scoperchia gli edifici, piogge torrenziali e allagamenti e onde marine che entrano nell’entroterra capite che lo scenario, per chi lo vive in prima persona, è praticamente apocalittico.
Tutto questo fra l’altro ha generato un blackout che ha colpito la maggior parte delle utenze. Il governo ha dichiarato l’intera isola “disaster area”: scuole e ospedali danneggiati o evacuati, migliaia di persone nei rifugi, strade impraticabili e comunità isolate.
Nelle prime ore post-uragano il premier Andrew Holness ha parlato di “distruzione diffusa”, con ospedali e strutture pubbliche sotto stress e centinaia di migliaia di utenze senza corrente.
Una delle zone più colpite è stata quella nel sud-ovest dell’isola (nella zona di Saint Elizabeth) dove l’acqua ha invaso case e campi. Fra l’altro i danni nella zona di St Elizabeth sono particolarmente preoccupanti perché quella zona è il cosiddetto granaio della Giamaica. Il fatto che l’acqua sia salita fino ai tetti proprio in quest’area non comporta solo danni immediati, ma problemi di sicurezza alimentare nei prossimi mesi se non anni.
Dopo la Giamaica l’uragano ha perso lentamente forza, attualmente è classificato Categoria 3, ma comunque ha causato grossi danni anche a Cuba, dove sono state evacuate oltre 700mila persone, ed Haiti, dove almeno 20 persone sono morte per via dell’esondazione di un fiume.
Anche a Cuba e Haiti ci sono stati prolungati blackout. Cuba fra l’altro è attraversata da una profonda crisi economica da molti mesi, per cui è stato particolarmente difficile per il governo rispondere all’emergenza.
Considerate che la rete elettrica cubana nel 2025 già di suo ha funzionato a singhiozzo, con molte “interruzioni programmate” ma anche blackout totali. Solo un mese fa c’è stato un blackout nazionale che ha coinvolto circa 10 milioni di persone e in generale la generazione elettrica copre solo tra il 50 % e il 70 % del fabbisogno. Capite che in questa situazione, un uragano è la goccia che fa traboccare il vaso.
Intanto, dalla Giamaica arrivano storie molto concrete che mostrano l’incredibile resilienza delle società umane di fronte a disastri come questo. Nel giro di poche ore sono stati attivati 881 rifugi nell’isola, gestiti sul territorio con il supporto di volontari, parrocchie e reti civiche. I team della Jamaica Red Cross (la croce rossa giamaicana) stanno collaborando incessantemente con i comitati parrocchiali e le reti di quartiere per trasferire le persone verso luoghi sicuri e offrire strutture sanitarie e supporto diretto nei rifugi.
Anche la macchina degli aiuti internazionali si è messa in moto velocemente. Prima del disastro l’Onu ha “stanziato 4 milioni di dollari ciascuno per Haiti e Cuba dal Fondo Centrale di Risposta alle Emergenze, per aiutare le comunità a prepararsi alla tempesta e a ridurne l’impatto, nell’ambito del programma di azione preventiva dell’Ufficio per gli Affari Umanitari. Sono che l’azione preventiva in questo caso è stata molto molto complicata.
Uno dei problemi principali di questo uragano infatti è stata la rapidissima intensificazione: Melissa è salito di categoria in pochissimo tempo, complicando le evacuazioni e la logistica. Un effetto dovuto in maniera piuttosto diretta alle temperature eccezionalmente alte dell’oceano Atlantico e in particolare del mar dei Caraibi, nei prossimi giorni la scienza dell’attribuzione ci dirà quanto sono legate al cambiamento climatico, ma ipotizzo un legame molto alto. Il calore è energia, energia che si trasferisce facilmente verso uragani che si potenziano più in fretta e diventano più imprevedibili. E cambiano struttura. I climatologi parlano di Melissa come di un uragano dalla struttura del tutto nuova e anomala, come non si era mai osservata in precedenza.
Un articolo scientifico pubblicato nel 2024 sostiene che ormai la scala di Saffir-Simpson, quella globalmente utilizzata per classificare gli uragani in 5 categorie di potenza, sia «sempre più inadeguata» per rappresentare l’intensità delle tempeste più estreme, alimentate da fenomeni connessi alla crisi climatica.
Quindi ecco, è importante rafforzare la resilienza delle nostre società, il che significa sì adattamento climatico di città e infrastrutture, ma anche, come vediamo in questi casi, reti sociali forti e che funzionano. Insomma, non basta il progresso scientifico, non bastano piani urbanistici adeguati, servono società in grado di comunicare rapidamente e con legami sociali solidi. Ma è anche urgentissimo smettere di buttare CO2 in atmosfera, anzi forse a un certo punto dovremo pensare a come fare a toglierne un po’, perché di fronte a fenomeni come questo nessuna società può dirsi preparata.
La giornata di ieri a Rio de Janeiro è stata definita dai giornali brasiliani la giornata più letale nella storia dello Stato di Rio. Stavolta però non c’entrano disastri naturali ma una gigantesca operazione di polizia nelle favelas del Complexo do Alemão e della Penha.
All’alba di ieri, attorno alle 4 locali, circa 2.500 tra agenti e reparti speciali, con blindati, elicotteri e droni hanno lanciato la “Operação Contenção” (operazione contenimento) contro il Comando Vermelho, che è una delle principali fazioni del narcotraffico della capitale brasiliana. Una foto scattata dall’alto, presumibilmente da un drone, alla fine dell’operazione mostra decine di corpi allineati in strada, portati fuori dai residenti che cercavano i familiari dispersi dopo ore di sparatorie.
Ci sono stati almeno 130 morti, fra cui 4 agenti, nessuna operazione prima aveva causato tutti questi morti. E poi almeno un centinaio di arresti. armi sequestrate, oltre mezzo tonnellata di droga, scuole e università chiuse, trasporti interrotti, autobus incendiati per bloccare le strade. Insomma, una guerriglia urbana, iniziata con una retata gigantesca a cui ha fatto seguito risposta altrettanto violenta dei gruppi armati, in un quartiere enorme e densissimamente popolato.
Si è trattato di un’operazione organizzata su doppio livello, sia a livello di governo federale che di stato di Rio de Janeiro. Il governatore di Rio Cláudio Castro, parlando della situazione nella capitale, ha parlato di “narco-terrorismo” e di uno Stato “in guerra”, promettendo presenza continuativa delle forze dell’ordine. Diverse testate riportano che i gruppi criminali avrebbero impiegato droni armati nello scontro con le forze dell’ordine, segno che l’escalation tecnologica sta arrivando anche nelle guerre urbane latinoamericane.
La situazione descritta da diversi giornali a A Rio de Janeiro è quella di una violenza armata diffusa ovunque e strutturale: tra il 2017 e il 2023 in città c’è stata una media di 17 scontri armati al giorno. Il territorio è difatto conteso tra due grandi organizzazioni criminali: i narcos, che poi a loro volta sono suddivisi in varie fazioni del narcotraffico, e le milícias, che sono invece dei gruppi para-mafiosi composti in parte da ex (o attuali) agenti o militari che erano nate in teoria per contrastare i narcotrafficanti ma che sono oggi delle strutture mafiose, che impongono il racket e controllano i servizi locali (come gas, acqua, internet, trasporti, edilizia) soprattutto nella Zona Ovest.
I narcos dominano punti chiave per lo spaccio e le rotte di armi, esercitando controllo territoriale con posti di blocco e coprifuochi; le milizie monetizzano il territorio tramite estorsioni e mercati dei servizi, con infiltrazioni istituzionali che ne accrescono il potere.
Quindi ecco, la situazione a Rio è abbastanza fuori controllo. Però c’è chi si chiede il senso e la legittimità di operazioni come quella condotta dalle autorità brasiliane. L’ONU e alcune organizzazioni per i diritti umani stanno chiedendo indagini indipendenti sulla letalità dell’operazione, che ha colpito soprattutto comunità nere e povere, senza scalfire le cause strutturali del crimine. Inoltre più fonti sottolineano che gran parte dei fermati sarebbero quadri medio-bassi delle fazioni; cioè persone sostituibili nel giro di poche settimane da parte dei clan.
C’è poi un tempismo diciamo sospetto. L’operazione infatti arriva a ridosso di una serie di eventi internazionali legati alla COP30 che si stanno per tenere a Rio nei prossimi giorni. Anche questo è un pattern abbastanza ricorrente: alla vigilia di grandi vetrine globali, si registrano strette securitarie: successe già con Olimpiadi del 2016 e con altri summit.
Ok vi dico altre due cose un po’ pesanti, perché sono importanti da sapere, poi cambiamo registro. Raccontavamo martedì che in Sudan, il gruppo paramilitare Rapid Support Forces ha conquistato la città di Al Fashir, nel Darfur, dopo un assedio durato quasi due anni e mezzo. Come temevamo, nei giorni successivi sono iniziati a emergere video girati dagli stessi miliziani che mostrano uccisioni di massa di civili, spesso su base etnica, con vittime appartenenti alle comunità nere africane, insultate nei filmati con termini razzisti come falangaya (“schiavi”).
Le immagini, che potrebbero costituire prove di crimini di guerra, mostrano esecuzioni sommarie, corpi di donne e civili bruciati nei veicoli, e prigionieri uccisi alle spalle dopo essere stati ingannati con la promessa della libertà. Le RSF, sostenute da armi e fondi provenienti dagli Emirati Arabi Uniti, sono l’evoluzione delle milizie janjaweed, responsabili vent’anni fa della pulizia etnica in Darfur. E quello che accade oggi purtroppo ricorda molto quella campagna di sterminio.
A Gaza il cessate il fuoco resta solo nominale: nelle ultime 24 ore l’esercito israeliano ha condotto nuovi raid aerei e operazioni di terra che, secondo fonti sanitarie palestinesi, hanno causato oltre 100 morti, di cui molti bambini, soprattutto nelle aree centrali e meridionali della Striscia. Le forze israeliane affermano di colpire “obiettivi di Hamas”, ma i bombardamenti continuano a coinvolgere quartieri densamente popolati, ospedali e campi profughi, mentre l’accesso agli aiuti umanitari resta estremamente limitato.
A proposito di Palestina, però, martedì abbiamo pubblicato un’intervista a un agronomo palestinese. L’ho intervistato personalmente, in un bar vicino alla stazione di Firenze, mentre stava facendo un tour in Italia organizzato da Altromercato. Mi ha raccontato la situazione a gaza e in cisgiordania dal punto di vista dell’agrcioltura, ma mi ha spiegato anche cosa possiamo fare per dare una mano e mi ha detto che gli ordini di prodotti palestinesi da parte del mercato equo sono in crescita costante.
Ieri su ICC abbiamo dato due notizie molto belle e incoraggianti sul piano ambientale. La prima è che in Australia non ci sono mai state così tante megattere. La popolazione di megattere dell’Australia orientale ha superato i 50.000 esemplari, e questo è uno dei più grandi successi di conservazione marina al mondo. Negli anni Cinquanta la specie era quasi estinta — ridotta a poco più di un centinaio di individui per la caccia industriale e quella illegale sovietica — ma una volta messa al bando la caccia, e grazie alla creazione di aree protette e decenni di monitoraggi scientifici, è iniziato un recupero costante, con una crescita media del 10% annuo.
In Italia invece un trend simile è quello della nidificazione delle tartarughe marine carretta carretta, che quest’anno hanno infranto ogni record. Nel 2025 quella che è la tartaruga marina piu diffusa nel mediterraneo ha scelto le coste italiane come principale area di riproduzione, con oltre 700 nidi censiti, un record storico e un aumento del 60% rispetto a due anni fa. Il risultato è frutto di un progetto europeo che si chiama LIFE Turtlenest, coordinato da Legambiente con partner italiani, spagnoli e francesi, che protegge e monitora i nidi lungo le spiagge grazie al lavoro di centinaia di volontari. Ma è anche in parte frutto dei cambiamenti climatici che stanno ampliando l’areale di nidificazione delle tartarughe.
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