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3 Giugno 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Una nave per Gaza, una fabbrica che inquina, un Presidente che divide – 3/6/2025

Una nave con Greta Thunberg sfida il blocco su Gaza, Sritex fallisce in Indonesia dopo uno scandalo ambientale, la Polonia elegge un presidente ultraconservatore, Russia e Ucraina si incontrano a Istanbul, e una grave alluvione colpisce la Nigeria.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Questo episodio é disponibile anche su Youtube

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Domenica è partita una nuova missione umanitaria diretta verso Gaza. Si chiama Madeleine, è una nave salpata l’altroieri da Catania, in Sicilia, con l’obiettivo – dichiarato – di rompere simbolicamente il blocco imposto da Israele sulla Striscia di Gaza. A organizzarla è la Freedom Flotilla, la stessa che nel 2010 portò a Gaza la Mavi Marmara – ve la ricordate? – e che finì con l’assalto dell’esercito israeliano e dieci attivisti uccisi.

Stavolta, tra le dodici persone a bordo, ci sono nomi anche piuttosto noti. C’è Greta Thunberg, sì proprio lei e sì, si pronuncia così, che continua ad allargare la sua battaglia per la giustizia climatica e sociale anche su questo fronte. C’è Rima Hassan, europarlamentare franco-palestinese, poi un’ex colonnella dell’esercito statunitense, attivisti e attiviste da vari paesi, e pure Liam Cunningham – attore holliwoodiano noto soprattutto per il suo ruolo in Game of Thrones.

Prima della partenza c’è stata una conferenza stampa, in cui Thunberg ha detto cose pesanti ma lucidissime. Vi mostro (o vi faccio ascoltare, se ascoltate la puntata) un breve estratto del suo intervento, per il quale ringrazio Andrea Diego Tringali.

Come avete ascoltato, sono parole molto dirette. GT ha parlato di genocidio in diretta mondiale, di fallimento della comunità internazionale, e ha detto: “Siamo noi gli unici adulti nella stanza”. “Il momento in cui smettiamo di provarci è il momento in cui perdiamo la nostra umanità.”

La situazione a Gaza è infatti tragica. Secondo le Nazioni Unite, tra il 19 e il 27 maggio sono riusciti a far entrare circa 200 camion di aiuti, contro i 900 richiesti. Cibo, medicine, carburante – tutto bloccato. E nel frattempo, i casi di malnutrizione grave si contano a migliaia. Letteralmente.

Quindi ecco, la missione della FF non è solo simbolica, è anche tanto pratica e necessaria. E anche rischiosa. La precedente nave della Freedom Flotilla, al-Damir, è stata colpita da un drone a inizio maggio, al largo di Malta. Anche lì, secondo il Times of Malta, dietro c’era Israele.

Insomma, è una sfida, simbolica ma pericolosissima, a un blocco che va avanti dal 2007, ma che nell’ultimo anno ha raggiunto livelli di disumanità mai visti. E la sensazione, ascoltando chi è a bordo della Madeleine, è che più che un’azione politica, questa sia un grido: basta silenzio.

Intanto arrivano importanti novità anche relative alla Global March to Gaza, la marcia organizzata dalla società civile per fermare il genocidio e far entrare gli aiuti. La delegazione Algerina ha ottenuto ufficialmente l’autorizzazione. Si legge sul gruppo Telegram dell’iniziativa: “Con grande soddisfazione comunichiamo che la Delegazione Algerina è la prima, tra le 35 delegazioni della Global March to Gaza, ad aver ricevuto l’autorizzazione ufficiale da parte del proprio Governo a partecipare alla marcia. Un segnale forte di impegno e solidarietà che, come Global March, accogliamo con profonda gratitudine. Ci auguriamo che questo gesto possa ispirare anche gli altri governi a sostenere attivamente questa iniziativa collettiva per la giustizia, la dignità e la pace a Gaza”.

Intanto, dall’Indonesia arriva una notizia piuttosto grossa che mette insieme economia, ambiente e diritti civili. La Corte Suprema indonesiana ha dichiarato il fallimento della Sritex – un gigante del tessile che riforniva marchi globali come H&M e Uniqlo – e ha contemporaneamente accolto una class action promossa da quasi 200 residenti contro la sua controllata, la PT RUM.

La storia è questa: RUM, che aveva uno stabilimento in Giava Centrale, è stata ritenuta responsabile di un pesantissimo inquinamento ambientale, sia atmosferico che fluviale, nella zona del fiume Bengawan Solo. Stiamo parlando di acido solforico, zinco, disolfuro di carbonio scaricati per mesi nel fiume e nell’aria, senza controlli, grazie anche a una legge omnibus del 2020 che aveva tolto poteri alle autorità locali. Solo che poi le comunità locali si sono ribellate – proteste, denunce, mobilitazioni – e sono riuscite a far chiudere l’impianto nel 2023.

La cosa interessante è che, dopo la chiusura, la natura ha iniziato a riprendersi: la fauna è tornata, l’ambiente ha mostrato segni di recupero. E adesso, con questa sentenza, i cittadini riceveranno un risarcimento – poco più di 500 milioni di rupie, 5 milioni di euro – e l’azienda sarà obbligata a bonificare l’area.

Ma non è finita qui. Perché mentre esplodeva il caso ambientale, anche i conti della Sritex andavano a rotoli. Le vendite erano già crollate durante la pandemia, e l’azienda, che negli anni era cresciuta tantissimo fino a diventare il più grande produttore tessile del Paese, non è riuscita a reggere. Più di 10.000 persone hanno perso il lavoro.

E, come se non bastasse, pochi giorni fa è stato arrestato Iwan Lukminto, amministratore delegato di Sritex, accusato di corruzione. Ora è al centro di un’indagine che potrebbe far venire a galla gravi irregolarità nella gestione delle risorse aziendali.

Insomma, un caso che racconta molto: di un’industria – quella del fast fashion – che continua ad appoggiarsi su filiere opache e insostenibili, ma anche della forza delle comunità che si organizzano e riescono, almeno in parte, ad ottenere giustizia.

Allora, in Polonia è votato al ballottaggio per le presidenziali e per un amnciata di voti, ma proprio una manciata, ha vinto Karol Nawrocki ha vinto e sarà il nuovo presidente del Paese. Prenderà ufficialmente il posto il 6 agosto, quindi fra un paio di mesi.

Lui ha 42 anni, è di Danzica, e prima che il partito ultraconservatore Diritto e Giustizia – il PiS, per capirci – lo candidasse nel novembre 2024, era noto solo in certi ambienti, diciamo quelli intellettuali e molto allineati col partito. Poi, però, in campagna elettorale ha guadagnato un po’ di visibilità, e anche una certa dose di carisma – dicono.

Nawrocki è uno storico, ha un dottorato e si è occupato soprattutto del ruolo dell’Unione Sovietica nella storia recente della Polonia e di Solidarność, quel sindacato famoso guidato da Lech Walesa, che poi diventò presidente nel ’90. Il suo prof dell’epoca, che oggi guarda caso era nel comitato che l’ha sostenuto, l’ha descritto come uno tosto, con un carattere forte. E vabbè.

Ha diretto il museo della Seconda guerra mondiale di Danzica, poi è passato all’Istituto della Memoria Nazionale – un ente pubblico che ufficialmente si occupa di storia, ma che in pratica è diventato uno strumento di riscrittura della memoria storica in chiave ultraconservatrice. E chi l’ha gestito negli ultimi anni, appunto Nawrocki, ha contribuito parecchio in questa direzione.

Fin qui il curriculum. Ma durante la campagna elettorale sono uscite anche un po’ di storie, diciamo, meno edificanti. Tipo che ha comprato una seconda casa a un prezzo stracciato da una persona anziana disabile, quando in pubblico continuava a ripetere che lui, come la maggior parte dei polacchi, ha solo una casa. Oppure la sua passione per la boxe – che di per sé va bene – ma che lo avrebbe portato vicino a certi ambienti un po’ borderline, tra buttafuori e gruppi neonazisti. C’è anche un’accusa, riportata da Onet, secondo cui avrebbe gestito un giro di prostituzione quando lavorava in un hotel a Sopot. Roba grave, se fosse vera.

Ma la vicenda più assurda è quella della doppia identità. Che sembra una roba uscita da un romanzo, e con un romanzo ha a che fare. Nawrocki aveva scritto sui social di aver incontrato Batyr di persona; viceversa in alcune interviste Batyr sosteneva di essersi ispirato al lavoro di storico di Nawrocki per la sua opera, elogiandolo molto. In una di queste interviste Batyr/Nawrocki parlava con la voce camuffata e l’immagine sfocata, per non essere riconosciuto. 

Nelle ultime settimane il video era circolato online e in molti lo avevano preso in giro per questa goffa trovata pubblicitaria. Dopo avere ammesso che effettivamente dietro il nome di Tadeusz Batyr c’era proprio lui, Nawrocki aveva spiegato che la copertura serviva a proteggerlo dalle ritorsioni della criminalità organizzata, e che «gli pseudonimi letterari» non erano «nulla di nuovo». La copertura non era comunque così impenetrabile: Tadeusz è il suo secondo nome.

A livello politico, Nawrocki è ultraconservatore. Contro l’aborto, contro la contraccezione d’emergenza, contro le unioni civili. Ha detto che la Russia è uno “stato barbaro”, ma è anche contro l’ingresso dell’Ucraina nella UE e nella NATO. Il suo slogan era “prima la Polonia, prima i polacchi”, e ha criticato più volte il sostegno dato ai rifugiati ucraini, dicendo che dovrebbero passare dopo i polacchi in coda negli ospedali.

È euroscettico, detesta il Green Deal, ce l’ha con Francia e Germania, ma ha un ottimo rapporto con Donald Trump, che ha incontrato più volte.

La vittoria di Nawrocki – che inizierà il suo mandato di cinque anni il prossimo 6 agosto – non è una buona notizia per il governo europeista, entrato in carica dopo aver vinto le elezioni del 2023 mettendo fine a otto anni di governi del PiS. Molte delle riforme e dei provvedimenti promessi da Tusk in campagna elettorale, fra cui un maggiore accesso all’interruzione di gravidanza, sono state bloccate dal presidente uscente Andrzej Duda, espresso anche lui da Diritto e Giustizia.

Secondo diversi esperti la convivenza tra Tusk e Nawrocki sarà ancora più complicata di quella finora vissuta con Duda: «Nawrocki è un dottrinario, è pronto e lo ha detto: la sua missione principale sarà quella di bloccare il governo Tusk», aveva avvertito prima del voto il politologo Wawrzyniec Konarski, rettore dell’Università Vistola di Varsavia.

Passiamo alla guerra in Ucraina, perché lunedì 2 giugno si è tenuto a Istanbul un nuovo incontro tra le delegazioni di Russia e Ucraina. Era il secondo faccia a faccia di questo tipo – il primo si era svolto a maggio – ed è durato circa un’ora, ma senza portare a passi avanti significativi verso un cessate il fuoco o un accordo di pace.

Le due parti si sono limitate a concordare lo scambio di alcuni prigionieri di guerra – in particolare i più giovani o gravemente malati – e il rimpatrio dei corpi di circa 6.000 soldati per parte. Prima del vertice, l’Ucraina aveva inviato una proposta di cessate il fuoco di 30 giorni, mentre la Russia ha presentato le proprie condizioni solo durante l’incontro. Kiev ha detto di aver bisogno di tempo per valutarle, e un nuovo incontro è previsto per fine giugno.

L’appuntamento arrivava all’indomani di un attacco molto significativo da parte ucraina, che ha colpito cinque basi aeree in Russia distruggendo, secondo Kiev, una quarantina di bombardieri. L’operazione, pianificata per oltre un anno, è stata condotta con oltre 100 droni trasportati in camion fino a migliaia di chilometri dentro il territorio russo, fino in Siberia.

Da mesi la Russia sembra puntare a prendere tempo, continuando a porre condizioni difficilmente accettabili. Questo atteggiamento comincia a irritare anche l’amministrazione Trump, che sta portando avanti negoziati separati con Mosca e Kiev, finora senza risultati concreti.

Giovedì della scorsa settimana c’è stata una grossa alluvione in Nigeria, che si è trasformata in una delle peggiori tragedie climatiche degli ultimi decenni per il paese. Piogge torrenziali si sono abbattute sulla città di Mokwa, nello Stato del Niger, provocando inondazioni devastanti che le autorità locali hanno definito le peggiori degli ultimi sessant’anni.

Il bilancio è drammatico: oltre 200 persone hanno perso la vita, circa 500 risultano disperse e più di 3.000 sono state costrette a lasciare le proprie case. Le acque hanno travolto interi quartieri, distrutto ponti, spazzato via strade, isolando migliaia di persone. Le squadre di soccorso hanno ormai sospeso le ricerche, dichiarando che è improbabile trovare altri sopravvissuti.

Alcuni residenti sospettano che a peggiorare la situazione sia stato il crollo di una diga a monte, ma questa ipotesi al momento non è stata confermata dalle autorità. Resta il fatto che disastri di questo tipo stanno diventando sempre più frequenti e gravi, e mettono in luce, ancora una volta, la crescente vulnerabilità di intere regioni agli eventi climatici estremi. Vulnerabilità che è legata non solo alla crisi climatica in sé, ma anche alla mancanza di infrastrutture adeguate per la gestione delle acque e alla fragilità dei sistemi di prevenzione.

Non è la prima volta che in Nigeria, durante la stagione delle piogge che dura normalmente da aprile a ottobre, avvengono alluvioni del genere. Tuttavia la potenza distruttiva di quest’ultima è stata piuttosto eccezionale. Durante tutta l’estate del 2022, anno in cui le piogge erano state particolarmente intense, le alluvioni avevano causato la morte di circa 600 persone in totale.

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