“Consenso libero e attuale”: verso una rivoluzione sulla violenza sessuale? – 14/11/2025
Dalla riforma dei reati di violenza sessuale all’approvazione dell’Omnibus I che indebolisce il Green Deal, passando per il nuovo bonus elettrodomestici e le elezioni in Iraq.
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Fonti
#Consenso e violenza sessuale
Italia che Cambia – Senza consenso è violenza: alla Camera il primo via libera alla riforma del reato di stupro
Italia che Cambia – Ancona ribalta Macerata: nessuna assoluzione per la violenza sessuale sulla 17enne
Italia che Cambia – Il sesso senza consenso è stupro: riforma storica in Francia
#OmnibusI / Green Deal UE
Materia Rinnovabile – Omnibus I, via libera dal Parlamento UE: a rischio sostenibilità e democrazia UE
#BonusElettrodomestici
RaiNews – Bonus elettrodomestici, il click day dal 18 novembre: come ottenere lo sconto fino a 200 euro
#Iraq
Il Post – Il primo ministro al Sudani ha vinto le elezioni in Iraq, ma ci sono molti “ma”
Trascrizione episodio
Ieri la Commissione Giustizia della Camera ha approvato all’unanimità un emendamento che cambia profondamente l’articolo 609-bis del codice penale, che è l’articolo relativo al reato di violenza sessuale. In che senso lo cambia radicalmente? Nel senso che la nuova versione prevede che sarà punito con il carcere chi “compie o fa compiere o subire atti sessuali a un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima”.
Le parole chiave qui sono “consenso libero e attuale”. Cioé, si dice che se non c’è consenso libero e attuale allora si parla di violenza sessuale, stupro. Sapete che in giurisprudenza ogni parola scelta ha un peso e si porta dietro un bagaglio di interpretazioni. Allora analizziamole un attimo queste parole. Consenso innanzitutto è un termine ormai molto utilizzato comunemente, molto diffuso a livello culturale, ma che fin qui non compariva nella legge.
Fino ad oggi in Italia il reato di violenza sessuale si basava sul concetto di “costrizione”. Quindi dovevi dimostrare che c’era stata violenza fisica, o minaccia, o che eri in una condizione tale da non poter reagire. Il consenso non era esplicitamente nominato nella legge e i giudici lo ricostruivano a posteriori, caso per caso, cercando segni di resistenza, urla, graffi. Però era un consenso costruito per sottrazione, cioé, era l’assenza di costrizione: se mancava costrizione fisica, verbale, ecc, allora si presumeva il consenso.
Oggi inserire questa parola nella legge ribalta il concetto. Il consenso deve esserci, esplicito,non è più sufficiente l’assenza di una costrizione dimostrabile.
Già questo è un cambio di paradigma radicale. Perché spesso – e lo mostrano anche diversi studi – chi subisce una violenza resta paralizzato, impietrito, cerca solo di farla finire il prima possibile. Non sempre si ribella, urla o graffia. In psicologia e nelle neuroscienze si parla delle 3F con cui gli esseri umani, a livello puramente istintivo, reagiscono al pericolo reale o presunto. fight, flight e freeze, ovvero aggressione, fuga o congelamento. Nella legislazione attuale, il congelamento – una delle 3 tipologie di risposta basilari dell’essere umano – è del tutto ignorato.
Per questo da anni esperte, centri antiviolenza e associazioni chiedono una riforma centrata sul consenso e un modello che metta al centro la volontà della persona e non la sua capacità di difendersi. Quindi, stiamo andando in quella direzione.
Ma la riforma non si limita a dire che deve esserci consenso ma anche che deve essere libero e attuale. Che vuol dire?
Allora, libero: ovviamente significa che il consenso non può essere a sua volta ottenuto con una costrizione. Cioé non è che se mi punti una pistola alla tempia e mi obblighi a dire di sì, allora è valido. Qui però “libero” ha anche una sfumatura ulteriore. Come abbiamo spiegato in una nostra news di ieri, il concetto di libero viene collegato, nell’emendamento, a quello di vulnerabilità. Cioè, il consenso è libero se viene da una persona che non è in quel momento in una condizione di vulnerabilità.
Il concetto di vulnerabilità era già presente nella legge ma viene esteso non solo alla vulnerabilità fisica e psichica, ma anche emotiva, economica e psicologica. Che vuol dire? Vuol dire che non si può parlare di consenso libero non solo se sei è legato o drogato, o priva di sensi, ma anche se sei spinta a dare il consenso da dipendenze materiali, ricatti affettivi, insicurezze profonde, situazioni di subordinazione lavorativa o familiare.
Capite che è un cambio di prospettiva importante. E poi c’è la parola attuale, che significa che il consenso deve essere presente nel momento dell’atto. E può essere ritirato in ogni momento. Non è che se ti ho detto ok un’ora fa, e adeso non voglio più, quell’ok è ancora valido. Posso ripensarci in ogni momento. Perché in diversi casi è successo che un consenso ritenuto implicito, fornito in una fase iniziale, sia stato letto come una attenuante o persino una prova di innocenza.
Di recente c’è stato un caso abbastanza ecclatante di una sentenza in cui il giudice del Tribunale di Macerata avevano assolto un uomo accusato di violenza sessuale sostenendo che vittima «aveva già avuto rapporti» e si trovava «in condizione di immaginarsi i possibili sviluppi della situazione». In altre parole, aveva sostenuto che salendo in macchina la giovane poteva immaginarsi come sarebbe andata a finire.
Ecco, se questa riforma verrà approvata dal Parlamento, questo tipo di ragionamento diventerà inammissibile in una corte.
Sì perché la riforma non è ancora stata approvata, ma ci sono ottime possibilità che lo sia. Per ora l’ha approvata “solo” la Commissione giustizia della Camera. Ma l’ha approvata all’unanimità, che è un segnale molto forte. Perché questo emendamento è frutto di un accordo bipartisan tra Partito Democratico e Fratelli d’Italia, mediato direttamente da Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Una cosa interessante. Anche perché la storia ci insegna che i grandi cambiamenti, quelli sistemici, si ottengono solo quando da più parti, attori diversi, remano nella stessa direzione. Quando si smette di giocare a quel giochino – divertentissimo, per carità – del noi contro di loro.
Comunque, il passaggio è di quelli storici, che allineerebbe il nostro paese con una tendenza più ampia già in atto. Ad esempio recepisce quello che prevede già la Convenzione di Istanbul — che l’Italia ha ratificato nel 2013 — ovvero il modello del “solo sì è sì” e a cui alcuni paesi stanno dando seguito. Qualche giorno fa una riforma simile è stata approvata dal Parlamento francese. In quel caso si parla di consenso “libero, preventivo e revocabile”, ma siamo lì. E leggi simili sono già presenti in Belgio, Spagna, Svezia, Danimarca, Germania, Grecia. A breve anche il nostro paese potrebbe comparire nella lista.
Insomma, un passaggio significativo. Ovviamente ci sono dei se, dei ma e delle domande. Dal lato del pensiero conservatore, arrivano alcune preoccupazioni sul fatto che la giurisprudenza potrebbe spostare troppo l’onere della prova sul presunto aggressore, che dovrebbe dimostrare che c’era consenso, cosa non sempre facile da fare.
Mentre dal lato progressista della società arriva perlopiù soddisfazione ma anche un monito sul fatto che non possiamo pensare che sia il diritto penale a risolvere tutto. Serve formazione per chi lavora nella giustizia, nelle forze dell’ordine, nei pronto soccorso. Servono risorse per i centri antiviolenza, per l’educazione al consenso nelle scuole, per costruire una vera cultura del rispetto. Insomma questo è un pezzetto di un puzzle molto più ampio.
Ovviamente la sessualità, l’attrazione, il flirtare, negli esseri umani è un aspeto estremamente complesso, stratificato, molto spesso contraddittorio perché frutto di pulsioni che non sono mai del tutto razionali. Quindi capite che qualsiasi sforzo di ridurre tutto a un sì o no, a una estrema razionalizzazione non può diventare una regola assoluta perché rimarrà sempre una zona grigia gigante, di casi in cui magari c’è stato un consenso, ma si sospetta che ci sia una subordinazione psicologica, sì ma valla a dimostrare, e oltre quale soglia dinamica di sbilanciamento diventa una vera e propria subordinazione tale da non poter parlare di scelta libera…
Insomma capite che è molto complesso. Questa complessità però c’era anche prima. Diciamo che la legge sposta solo l’asticella in una direzione, sposta l’onere di dimostrare l’accaduto dalla presunta vittima all’imputato. Poi come sempre servirà il buon senso nell’attuazione, e serviranno un sacco di altri ingredienti dal punto di vista educativo e culturale, se vogliamo vedere cambiare la società, che già comunque sta cambiando.
Mentre a Belém nuovi attori si contendono la leadership climatica globale, ieri il parlamento europeo ha fatto un altro passo indietro, indebolendo ulteriormente il Green deal con l’approvazione del pacchetto Omnibus I.
Che è il primo di una serie di pacchetti – ci sono l’Omnibus II,III, IV, V e il digital Omnibus su GDPR e AI – con cui la Commissione von der Leyen dice di voler “semplificare” le regole per le aziende e snellire la burocrazia. Il primo di questi pacchetti, quello che il parlamento ha approvato ieri, è proprio quello sulla sostenibilità, che va a “snellire” due pilastri del Green Deal, ovvero le regole sulla sostenibilità (CSRD) e sulla due diligence delle imprese (CSDDD).
La cosa assurda è che non solo diversi giuristi e ambientalisti, ma le stesse aziende europee, molte delle quali si erano già adeguate alle leggi, avevano chiesto alla Commissione di non procedere, mentre a spingere per lo snellimento era stato nientemeno che Trump, nel suo incontro famosi sui dazi con Von der Leyen, che temeva che normative più stringenti avrebbero penalizzato le aziende Usa.
Comunque facciamo un passetto indietro. Stiamo parlando di due normative chiave: una è la cosiddetta CSRD, cioè le regole su come le aziende devono rendicontare il loro impatto ambientale e sociale, che obbliga le imprese più grandi (e poi via via altre) a pubblicare bilanci di sostenibilità standardizzati, con emissioni, inquinamento, diritti dei lavoratori, filiera, rischi climatici, piani di transizione, ecc. L’altra è la CSDDD, la direttiva che dovrebbe obbligarle invece a controllare lungo tutta la filiera se ci sono violazioni dei diritti umani, danni ambientali, eccetera.
E come vengono semplificate? Non tanto rendendo le regole più chiare, ma introducendo una serie di riduzioni al numero di aziende che devono rispettarle, rinviando scadenze, alleggerendo gli obblighi. Insomma, secondo molti il rischio concreto è che quello che era nato come “spina dorsale” del Green Deal sulla responsabilità delle imprese venga svuotato dall’interno a colpi di piccole modifiche tecniche.
E ci sono anche diverse questioni collaterali, come fa notare un articolo su Materia Rinnovabile. Innanzitutto il metodo: si sceglie il pacchetto omnibus, che permette con un unico provvedimento di ritoccare pezzi di leggi diverse tutto insieme. Molto comodo politicamente, perché invece di aprire ogni volta un negoziato completo su una singola direttiva, si infilano le modifiche dentro un maxitesto e si fanno passare in blocco, spesso in tempi stretti e con meno valutazioni di impatto e meno consultazioni pubbliche del normale.
Un metodo non proprio democratico e forse nemmeno conforme al diritto europeo, tant’è che il 10 novembre più di cento giuriste e giuristi hanno mandato una lettera alla Commissione giuridica del Parlamento europeo affermando il rischio di una bocciatura da parte della Corte di Giustizia. E persino la Banca centrale europea ha segnalato il rischio di caos giuridico.
Poi c’è il tema, come accennavo, che le imprese europee negli ultimi anni hanno già iniziato ad adeguarsi alle nuove regole, hanno investito soldi e competenze per prepararsi alle normative, che adesso iniziano a cambiare e depotenziarsi.
Poi appunto, c’è la dimensione geopolitica. Non è un mistero che dagli Stati Uniti, soprattutto dopo l’insediamento di Trump, siano arrivate pressioni esplicite su Bruxelles per “rivedere” la CSDDD e, più in generale, per annacquare le regole europee considerate troppo severe rispetto agli standard americani.
E poi c’è la parte forse più preoccupante, ovvero che la maggioranza che ha votato il provvedimento non è quella bipartisan della commissione. No. Al Parlamento europeo sta emergendo e ha praticamente preso il controllo un’altra maggioranza, a cui la stessa commissione strizza sempre più l’occhio, ed è quella composta dai popolari (PPE), i conservatori (ECR) e i patrioti e sovranisti. Cioè si consolida l’asse PPE (centrodestra)–destra–estrema destra che, di fatto, potrebbe diventare la maggioranza operativa per il resto del mandato von der Leyen.
Dal 18 novembre parte un nuovo bonus elettrodomestici. In pratica se rottami un vecchio apparecchio e ne compri uno nuovo ad alta efficienza, hai uno sconto in fattura fino a 100 euro, che sale a 200 euro se hai un ISEE sotto i 25mila euro. Il bonus, leggo su la Repubblica, copre fino al 30% del costo, vale solo per prodotti fabbricati in Europa e della stessa categoria di quello rottamato (tipo se rottamo un vecchio frigo posso usare il bonus per un nuovo frigo, non per un tostapane). Per ottenerlo bisogna fare domanda su una piattaforma online (gestita da Invitalia e PagoPA): e se si è in possesso dei requisiti, ci viene dato un codice da usare in negozio e lo sconto viene applicato direttamente in fattura.
Allora parliamone. Il bonus viene presentato facendo leva sul risparmio sui consumi di energia, e in effetti a chi acquista economicamente sembrerebbe anche convenire. Leggo dall’articolo di Rai News che “ad esempio un frigo nuovo in classe A può farti risparmiare circa il 67% di energia rispetto a un vecchio modello in classe F, un’asciugatrice efficiente arriva a tagliare quasi il 70% dei consumi, lavatrice, forno e lavastoviglie ti fanno comunque risparmiare tra il 40% e il 50% sulla bolletta elettrica”.
Ma ci sono molti ma. Innanzitutto dal punto di vista ambientale bonus come questi sono una catastrofe, perché spingono le persone a rottamare elettrodomestici seminuovi ancora funzionanti (il bonus si attiva solo se rottami, non se vendi) per comprarne di ancora più nuovi. Per risparmiare magari pochi spiccioli in bolletta, senza contare poi il famoso effetto rebound, che fa sì che molto spesso il risparmio ottenuto con l’efficienza energetica venga compensato in poco tempo con un cambiamento delle nostre abitudini (diventiamo più spreconi).
Questo non vuol dire che anche questo bonus, come tutte le cose, non possa essere usato in maniera sensata. Come sempre bisogna usare la testa. Ci sono ormai studi su praticamente ogni cosa. In questi casi la parola chiave da cercare è LCA, life cycle assessment, che è un indicatore di sostenibilità che considera tutto il ciclo di vita. Ad esempio, uno studio dice che perché sostituire un frigorifero funzionante con un modello più efficiente, in un paese dal mix energetico medio come l’italia, sia una buona idea dal punto di vista della sostenibilità, il frigo deve avere almeno 10-11 anni. Studi così li trovate su quasi tutti gli elettrodomestici. Fatevi due conti, insomma.
In Iraq si è votato per rinnovare il parlamento e, secondo i primi risultati, la coalizione dell’attuale primo ministro al Sudani — che si chiama “Ricostruzione e cambiamento” — è arrivata prima in 8 province su 18. Non abbastanza però per governare da sola. E quindi ora si apre la solita lunga fase di trattative tra partiti sciiti, sunniti e curdi, come succede quasi sempre nel paese. Intanto, nonostante un’affluenza piuttosto bassa e accuse di voto di scambio, la politica irachena resta anche il campo di battaglia tra influenze opposte: da una parte l’Iran, che finanzia le milizie più potenti, dall’altra gli Stati Uniti, che invece vorrebbero scioglierle. Al Sudani cerca di tenere insieme tutto, ma non è detto che venga riconfermato.
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